Dal buon senso delle intenzioni al… buon senso delle azioni!
Maurizio Tiriticco - 01-03-2005
Per il secondo ciclo siamo prossimi ad una svolta? Chissà! La posta in gioco è molto alta e la confusione – io la registro ovunque vada – lo è ancora di più! Si affollano sul mio computer e nella mia testa file su file relativi allo schema di decreto e ai documenti connessi! Il guaio è che è impossibile comprendere quali siano i più attendibili! Forse lo stesso ministro non sarebbe più in grado, ormai, di capirci qualcosa!
Ma un altro guaio discende dal primo: il fatto che riesce molto difficile avanzare proposte concrete per correggere, aggiungere, togliere, riscrivere! Dai documenti propositivi… ed anche oppositivi che ho letti evinco che un po’ tutti sono caduti nella trappola del mare magnum che la documentazione semiufficiosa ci ha teso! Così alle parole si aggiungono altre parole, per cui, anche se si giungesse ad un tavolo aperto e largo per ridiscutere il tutto – il punto e a capo sembra tanto caro al nostro ministro! – sarebbe un po’ arduo ritrovare il bandolo, o i tanti bandoli, di questa intricatissima matassa! Anche perché ottobre è molto vicino!
Forse occorrerebbe riprendere il tutto un po’ alla larga, ma con chiari punti fermi, affrontare i problemi ancora aperti con un po’ di… buon senso… che sto mai dicendo! Il buon senso delle intenzioni di qualche tempo fa e della ricerca del consenso ad ogni costo, al di là di ogni ideologismo – così si diceva - non ha avuto fortuna! Anzi, è stato un elemento di ulteriore confusione! Io intendo un altro buon senso, quello del fare concreto, del rimboccarsi le maniche, del ridefinire alcuni concetti chiave e poi… a partire da questi e con assoluta determinazione, riprendere il cammino, ma ai livelli operativi delle iniziative delle autonomie.
Quali potrebbero essere questi concetti chiave? Provo a definirli.

Primo: non una riforma, ma una rifondazione – E’ necessario finirla con il pensare al nuovo sistema di istruzione e formazione con l’ottica di una “riforma della scuola”. Faremmo un pessimo servizio ad una reale rifondazione del sistema pensando solo in termini di scuola! Ed è il grosso errore in cui sono caduti gli anonimi “esperti” del Miur quando si sono cimentati a scrivere con l’occhio rivolto al passato più che al futuro, con l’ottica della “riforma”, appunto, quando, invece il problema era un altro! Del resto, la stessa epigrafe della legge 53 lo esplicita (ed in questo senso il punto e a capo sarebbe giustificato!): “delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”. E’ un netto richiamo al Titolo V della Costituzione! Si tratta di un assunto che va molto al di là di una riforma.
Pertanto, si trattava di innovare l’intero sistema per adeguarlo ad una Costituzione assolutamente nuova! Non bisognava riscrivere altri programmi, anche se gli “esperti” li hanno chiamati con nomi nuovi, Indicazioni, Osa, Lep, Pecup, Larsa, obiettivi formativi, ologrammi… ed altre diavolerie del genere. Occorreva interpretare la svolta impressa dalla Costituzione e scrivere le linee del processo del cambiamento con un proposito ben diverso da quello che animava le commissioni ministeriali di un tempo, quando c’era un Mpi, totalizzante ed autoreferenziale, che oggi non esiste più.
Il Miur non è il Mpi, è una struttura di servizio, non di governo! Di governance, semmai, come piace ad alcuni, non di government! Ma com’è bello l’inglese! E le linee guida per “scrivere” la nuova carta dell’istruzione non sono soltanto nella nuova Costituzione, ma anche nelle indicazioni che ci vengono dall’Unione europea, nelle trasformazioni profonde che investono il mercato del lavoro e delle competenze in tutti i Paesi ad alto sviluppo, e nella stessa legislazione sul lavoro che nel nostro Paese – con tutte le luci e le ombre che è anche possibile leggervi – sta comunque trasformando radicalmente livelli e forme della occupabilità e modi e tempi degli stessi profili professionali!
Ebbene, una simile ampiezza di vedute è completamente assente da tutte le sudate carte dei nostri “esperti”. Si sono affaticati ad affastellare Osa, discipline e quadri orario senza minimamente pensare che il loro lavoro doveva essere un altro! Indicare – appunto! – finalità, standard, i “livelli essenziali delle prestazioni” che Stato e Regioni devono garantire, piste di percorsi curricolari: il tutto a livello di quella “progettazione formativa” – ma le teorie del curricolo sono ormai ferri vecchi! – che è compito del decisore politico, e che è altra cosa dalla “programmazione didattica”, che è compito di chi opera sul campo. La stessa fatica del ’97, la ricerca sui nuovi saperi e sui nuclei fondanti delle discipline, sembra essere stata solo tempo perso, roba del governo di centro sinistra, quindi tutta da cestinare! Si parla tanto di Stato leggero – e di ministeri leggeri! – ma gli “esperti” hanno voluto scrivere tutto, da bravi scolaretti! E dalle loro attenzioni non solo è stata lontanissima la Costituzione, ma anche la stessa autonomia delle istituzioni scolastiche e formative! Insomma, hanno scritto per il Principe, non per una Repubblica delle autonomie, delle istituzioni scolastiche, delle comunità, delle Regioni!

Secondo: attuare il Titolo V! – Occorre avere la consapevolezza che – anche con i tempi lunghi che occorreranno – le Regioni assumeranno l'amministrazione (organizzazione e gestione) delle istituzioni scolastiche, fatta salva la loro autonomia in termini di curricoli formativi, di conduzione dei percorsi, personalizzati quanto si voglia, ma pur sempre verso obiettivi comuni e condivisi, razionalmente fondati e fondanti. In tale scenario le stesse maglie organizzative delle istituzioni scolastiche sul territorio dovranno ristrutturarsi, in reti o in consorzi – del resto lo prevede e lo auspica l’articolo 7 del dpr 275/99 – o in altre forme purché possano meglio coordinare le loro offerte formative, anche per il confronto con quella “programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale”, che è di competenza delle Regioni, e con le altre competenze degli Enti locali. Sono numerose le attribuzioni trasferite dallo Stato ai poteri locali in forza degli articoli 138 e 139 del dlgs 112/98 in materia di istruzione, attribuzioni che precedono la stessa riforma del Titolo V e che da questo sono inglobale e legittimate ad un rango costituzionale.

Terzo: rafforzare la prospettiva regionalista – E’ veramente fuori del tempo e fuori dalla norma continuare a pensare in termini di istruzione pubblica erogata tout court dallo Stato, in quanto – se mi è concesso – sono essenzialmente le Regioni la nuova forma di Stato sul territorio. Ovviamente, si incontreranno numerose difficoltà sulla strada di questa riconfigurazione della nostra Res Publica, ma si tratta pur sempre di un cammino verso una più compiuta democrazia e verso l’erogazione di un servizio più efficiente ed efficace.
La struttura regionale ce la siamo data fin dalla Costituzione del ’47 e nello stesso articolo 115 avevamo scritto che “le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni”. E’ davvero inconcepibile quell’atteggiamento purtroppo assai diffuso per il quale, mentre da un lato ci si lamenta della invadenza dello Stato, dall’altro si teme di perdere la sua funzione di grande mamma, severa sì, ma… che dà sempre tanta tanta sicurezza! Ormai lo abbiamo deciso! Alle Regioni compete l’intera amministrazione degli “affari scolastici” – e la stessa Corte costituzionale lo ha confermato più volte! – come a loro compete la legislazione esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale.

Quarto: superare la dicotomia tra licei e non licei – Purtroppo, se il progetto costituzionale è chiaro, assolutamente meno chiaro è il processo che si è avviato con la legislazione ordinaria. Nella legge delega 53/03 gli “esperti” dell’amministrazione hanno scritto l’articolato con l’ottica del vecchio Mpi! Così, mentre da un lato nella legge si afferma che l’istruzione e formazione professionale è di competenza legislativa esclusiva regionale, dall’altro gli esperti, quando hanno descritto il sistema dei licei, ne hanno elencato ben otto, e tre addirittura con indirizzi. Gli “esperti” non hanno fatto altro che trascrivere nell’articolato il sistema statale esistente, con l’ottica miope e spudorata dell’amministrativo che non sa leggere un nuovo disposto costituzionale. Così, gli otto licei non sono altro che una riscrittura – se non una copiatura – di quelli di sempre! E con qualche invenzione in più! I nostri non si sono minimamente sforzati di pensare che, nella nuova stagione formativa inaugurata dal nuovo Titolo V, occorreva rileggere e riscrivere l’intero sistema formativo, in modo da dare veramente a dio e a cesare ciò che a ciascuno spetta!
Se i nuovi padri costituzionali hanno affidato alle Regioni istruzione e formazione professionale, hanno operato nella consapevolezza che un tale percorso deve essere più vicino al mondo produttivo il quale peraltro ha assunto dimensioni assolutamente più ampie ed impegnative di quanto non fosse ai tempi della prima Costituzione. In altri termini, se negli anni Quaranta il costituzionalista poteva anche supporre e definire “l’istruzione artigiana e professionale” come un percorso destinato ai più, subalterno rispetto a quello più nobile, gestito dallo Stato e destinato a una platea ristretta, ai capaci e ai meritevoli, il costituzionalista del 2001 opera in una realtà ben diversa, in cui non ci sono i più e i meno, ma ci sono i tutti che hanno il diritto e il dovere di istruirsi, perché il mondo del lavoro è radicalmente cambiato rispetto agli anni Quaranta. Il nuovo padre costituzionale prende atto di questa nuova realtà e dà indicazioni di linea, di natura costituzionale, appunto. E’ il legislatore ordinario che non ha saputo leggere la nuova Costituzione.
Allora, come si può parlare di pari dignità, quando tutta l’istruzione del secondo ciclo viene fagocitata dal sistema dei licei? E’ dal marzo di due anni fa che grossi interrogativi pesano sugli istituti tecnici e professionali! Sono due anni che docenti e studenti di questi istituti vivono in grande difficoltà! Ma è quella scelta sciagurata degli 8 licei tutti statali che l’ha creata! Se il Miur fa l’assopigliatutto, che cosa rimane alle Regioni? Ovviamente i vecchi percorsi residuali di serie B e C fino alla Z che sono stati loro assegnati dalla Costituzione del ’47! E la Costituzione del 2001 che fine ha fatto? Se le Regioni volessero avviare percorsi di pari dignità, dovrebbero istituire dei doppioni dei licei, con questi concorrenziali! Si rendono conto i nostri “esperti” del pasticcio che hanno innescato?
E’ mancato il coraggio di liberarsi dei gioielli del vecchio Mpi! Ed è anche mancata la prospettiva di insieme! In sede di legge delega ci si doveva limitare, da un lato, ad individuare un percorso liceale forte, finalizzato agli studi terziari, e, dall’altro, ad indicare chiaramente, nel pieno rispetto del disposto del Titolo V, che la definizione dei percorsi di istruzione e formazione professionale erano demandati alla competenza ed alla iniziativa delle Regioni. E queste ultime, nelle loro istanze di coordinamento unitario avrebbero legiferato nel merito. Ed in sede di Conferenza unificata si sarebbe dato corpo alla delega per quanto riguarda i dettagli dei percorsi e dei curricoli dell’uno e dell’altro sistema. Così non è stato! Per non dire poi che i licei durano 5 anni e i corsi regionali 4! Ricordo che nella prima versione della legge tutti i corsi erano quadriennali per permettere l’uscita dei giovani al compimento di 18 anni di età! Per allinearci alla maggioranza degli Stati europei. E poi c’è stato il can can dei licealisti! Hanno gridato: che ne sarà della nostra cultura se il liceo perde un anno di studi? E l’amministrazione si è ricreduta. E siccome i professionalisti – se si può dir così – non hanno battuto ciglio, l’istruzione e formazione professionale è rimasta di 4 anni! Altro egregio esempio di leggerezza legislativa! Così andarono le cose ed oggi sembra davvero impossibile emendare quel disposto di cui al punto g del comma 1 dell’articolo 2 della legge 53. Ed allora che fare?

Quinto: la risorsa dei campus – Come realizzare, ora, quella pari dignità che, al di là di qualsiasi norma, deve comunque garantire qualunque percorso formativo? A mio giudizio, se è vero com’è vero che sono garantiti i passaggi dall’uno all’altro sistema, e che la stessa alternanza li investe ed incrementa ambedue, la via da seguire è quella di por mano ad una intelligente e fattiva integrazione. Ci sono le esperienze, ci sono le premesse normative. Alludo ad una serie di dispositivi: l’’Accordo quadro Stato-Regioni del 19/06/03 per l’avvio di corsi triennali di istruzione/formazione; l’ Accordo Stato–Regioni del 15/01/04 per la prima definizione di standard formativi dei percorsi triennali; la circolare del Mlps n. 40 del 14/10/04 relativo al nuovo contratto delle tre forme di apprendistato (per l’espletamento del diritto/dovere di istruzione; l’apprendistato professionalizzante; per l’acquisizione di un diploma o percorsi di alta formazione); l’Accordo Stato-Regioni del 28/10/04 per la certificazione finale e intermedia e riconoscimento dei crediti formativi; il decreto del Miur n. 86 del 3/12/04 sui modelli di certificazione dei crediti per i passaggi dall’Istruzione e Formazione Professionale e dall’apprendistato all’istruzione statale; l’ordinanza del Miur n. 87 del 3/12/04 sui passaggi dei giovani dall’IFP all’istruzione statale.
Si tratta di percorsi che nei fatti permettono di superare la dicotomia delle “due gambe” e di avviare curricoli in cui di volta in volta si commisurano e si integrano conoscenze teoriche e competenze in ordine a precisi obiettivi formativi. E’ la logica dell’insegnare/apprendere che una volta disegnai con la metafora del millepiedi, alludendo al fatto che è sempre vano cercare di distinguere ciò che è della teoria e ciò che è della pratica, in quanto la loro connessione dialettica dà luogo a mille gambe, altro che a due!. Ed è una logica curricolare, sistemica e modulare, che è anche conforme con quella prospettiva, sulla quale tutti ormai concordiamo, che la nostra società richiede sempre più lavoratori della mano e della mente insieme, della informazione e della conoscenza, della tecnologia e della ricerca.
Accennavo al Punto secondo che l’attuazione sul territorio di reti e consorzi di istituzioni che erogano istruzione ed anche formazione consente di elaborare in modo più organico e mirato l’offerta formativa in concomitanza con le competenze degli Enti locali. Una logica analoga è quella che governa i campus per quanto attiene l’offerta formativa di istruzione e formazione e livello di secondo ciclo.
In qualche parte ho letto – e riscrivo a memoria – che il campus implica la riorganizzazione delle istituzioni formative esistenti in un territorio (licei, istituti tecnici, istituti professionali, Cfp e apprendistato) in un sistema educativo unitario, articolato nei due sottosistemi dei licei e dell’istruzione e formazione professionale. In tal modo si introducono forti elementi di flessibilità e continuità. In effetti, il campus è in grado di aggregare tutte le possibili offerte formative presenti sul territorio e può anche sollecitarne altre. Pertanto, il giovane che accede al secondo ciclo, sostenuto da attività di tutoring, orientamento e riorientamento, può effettuare un percorso formativo nell’uno e nell’altro dei due sistemi mediante passaggi intermedi che gli consentono di accrescere le competenze preprofessionali e/o professionalizzanti secondo le sue attese ed attitudini. Indubbiamente è un modo diverso di fare scuola! Ma questa è la sfida che attende noi e tutte le scuole dei Paesi ad alto sviluppo.

E per finire... è necessario guardare sempre ad orizzonti più ampi: ad un mercato delle conoscenze e del lavoro sempre più globalizzato ed esigente; agli impegni che abbiamo assunto a Lisbona, a Copenaghen, ed a Maastricht lo scorso dicembre; alle lezioni che dobbiamo trarre dal Pisa 2003 e alle scadenze del Pisa 2006. E considerare anche che la long life learning ci obbliga a guardare agli sviluppi che occorre imprimere ai corsi IFTS, alla “fatiche” che si fanno in sede universitaria per rinnovare percorsi in cui l’istanza professionalizzante e quelle della ricerca siano il più possibile congruenti anche se distinte.
E’ uno scenario in movimento complesso e veloce, a fronte del quale le miserie e i limiti della legge 53 sono solo pagliuzze di cui i tempi lunghi faranno giustizia!
Sempre che si abbia una chiarezza di fondo! Agli equivoci del buon senso delle intenzioni e delle norme è bene che succeda il buon senso del fare, però il fare delle autonomie delle Istituzioni Scolastiche e Formative e delle Regioni, ma… illico et immediate!


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