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La dignità umana al primo posto
Espresso on line - 12-02-2005
l'Espresso n. 6/2005

Povero papa. Mi intenerisce questo vecchio prete vestito di bianco, afflitto dagli anni, dal Parkinson, dal dolore del mondo. Chino, a meditare sul senso della vita che fugge; chiude gli occhi per raccogliere le sue emozioni e forse ripete quella frase del Vangelo che dice: "Signore, resta con noi, perché ormai si fa sera".

Apparentemente distaccato di fronte alle testimonianze di affetto della folla, penso ripercorra spesso certi momenti della sua vita.
Nella piazza di Cracovia c'è una torre da dove, allo scadere di ogni ora, un trombettiere lancia i suoi squilli per rievocare l'allarme che annunciò l'arrivo dei turchi: il rito si ripete, perché c'è sempre un nemico in agguato.

Non suonò quando le colonne della Wehrmacht dilagarono per le brutte strade polacche; e in venti giorni arrivarono a Varsavia. E il giovane Wojtyla conobbe l'umiliazione della sconfitta, la fatica della fabbrica, la violenza e la fame.
È cresciuto dalle parti di Oswiecim, un paese che tutti conoscono con un altro nome: Auschwitz. Ha sentito forse il fischio dei treni che correvano verso l'ultima stazione, Birkenau, il posto delle betulle, un itinerario senza ritorno. Sua Santità certamente ha nel cuore quelle immagini grigie: da allora i treni della Polonia hanno un fischio lugubre, nella notte.

Karol vide quello strazio senza grida, senza proteste, e sa che dopo la croce uncinata ce ne sono state tante altre, e non avremo più una nuova Norimberga: ma lo conforta nella fede, quel giudizio finale che separerà i buoni dai malvagi.
Ha conosciuto la miseria dei contadini, nei villaggi tutti uguali: campi di segale e canneti, il mercato dove si radunano i carretti, le chiese con le cantorie polverose, i santi di legno hanno le facce stravolte, le Madonne gli occhi pazienti delle serve di fattoria.

In Polonia c'è una antica rassegnazione al male, ma predicò un severo vescovo, il cardinale Stefano Wyszynski: "La Polonia è stanca di essere il Cristo delle nazioni".
Il papa stanco riascolta i racconti dei nonni che hanno affrontato il knutt dei poliziotti o le prigioni dello zar, i lamenti delle donne che non sanno come mettere in tavola la ciotola di zuppa, come vestire i bambini.

Quando venne eletto pontefice, lo trovarono solo, inginocchiato in una cappella: pregava e piangeva.
Bernanos ha detto che il dramma del sacerdote è la solitudine: e la notte, nel silenzio delle grandi stanze del Vaticano, mentre la città dorme, forse ritrova, come tutti i vecchi prigionieri, dei ricordi: profumi, momenti, volti della giovinezza.

Ha tanto viaggiato, ma non si è mai allontanato dai villaggi della sua terra: le foreste, il buio delle abetaie, l'acqua morta delle paludi, i cimiteri e non è vero che la vodka libera da tutti i fastidi. È questo prete venuto da lontano che ha dato la picconata a quel Muro che divideva, con la forza delle idee, e con le armi poliziesche, il mondo.

Diceva papa Giovanni: "Il comunismo è nemico della Chiesa, ma la Chiesa non ha nemici". Wojtyla ha combattuto anche contro il capitalismo egoista. Ha guardato al mondo con occhi liberi dal pregiudizio e attenti alla realtà e ha fatto tanto per cambiarlo. Sono caduti non solo i muri, ma anche le barriere ideologiche. E l'intolleranza e il rancore hanno lasciato segni anche sul suo corpo.

Ha chiesto perdono per gli errori del passato; in polemica con Paul Claudel, André Gide diceva: "Non si deve convincere la gente a colpi di crocefisso". La storia racconta di tanti roghi, anche 'laici', e sempre accesi in nome della salvezza, e forse abbiamo finalmente capito come sono pericolosi quelli che vogliono imporre il loro modello di felicità.

Auguri Santità: anche dai non credenti, anche dai cattolici con saltuarie manifestazioni di fede. Lei, non solo si è battuto perché la Polonia, la sua patria, e il mondo dell'Est, fossero meno vittime delle dottrine comuniste, ma per il rispetto dell'umanità, per la dignità della persona.
Dio la conservi.

Enzo Biagi
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 Pierangelo    - 19-02-2005
Da Repubblica del 19.2.2005

Il protagonista

Il sacrificio e il coraggio

di RALF DAHRENDORF

Ancòra una volta, il papa Giovanni Paolo II è sfuggito alla morte per un soffio. Dimesso da un ospedale romano, è tornato in Vaticano; e vediamo la sua figura comparire alla ben nota finestra, immagine di sofferenza e di coraggio. Ma ora la sua voce è appena udibile. Anche per un non cattolico quale io sono, è un´occasione per valutare quale sarà la perdita che il mondo subirà quando il corpo del papa finirà per soccombere ai suoi malanni. Il quadro che emerge presenta una varietà di colori. per chiunque consideri il tracollo del comunismo, nell´89, come un evento seminale della storia del XX secolo, il papa Giovanni Paolo II è un eroe.
In Polonia è stato il punto focale di tutte le attività della società civile. Se per altri Paesi - più particolarmente la Romania, ma anche l´allora Cecoslovacchia e l´Ungheria - l´alternativa al comunismo era il vuoto, o tutt´al più qualche organizzazione isolata della società civile, la Polonia poteva contare su una fonte alternativa di legittimità: il suo più autorevole rappresentante, anche prima di essere eletto papa, è stato il cardinale Karol Wojtyla di Cracovia.
La sua elezione al Soglio pontificio ha avuto quindi un grande significato, molto al di là dei confini della Chiesa. Ma Giovanni Paolo II non gradiva l´identificazione della sua Chiesa con la società civile - tanto che una volta, nel corso di una conversazione, ha protestato: «No, la Chiesa non è società civile, è società sacra».
Emerge qui un altro aspetto del suo papato, più rilevante all´interno della Chiesa che per il mondo esterno. Nelle questioni di dottrina e di etica, Giovanni Paolo II rappresenta una visione conservatrice. È il contraltare di Giovanni XXIII, che nei primi anni 1960, con il Concilio Vaticano II e per molte altre vie, aveva tentato la riconciliazione tra cattolicesimo e modernità.
Il papa Giovanni Paolo II ha fermato questo processo, tentando anzi di invertire la rotta. Per i teologi progressisti quali Hans Küng ha perciò rappresentato e rappresenta una forza antimodernista, e persino antilluminista.
Al tempo stesso però, il papa è stato il primo grande pontefice itinerante dei tempi moderni - quasi un simbolo del mondo globalizzato. Per questo, la sua immagine - se non la sua parola - ha raggiunto milioni di individui che non appartengono alla sua Chiesa. Non sono in molti a poter essere riconosciuti, come Giovanni Paolo II, in ogni parte del mondo.
Questo fatto, già di per sé, ha arricchito di una dimensione spirituale un´epoca dominata da interessi mondani, quali la ricchezza o il business dello spettacolo. Chiunque creda in una cultura multidimensionale gli sarà riconoscente per i suoi immensi sforzi, così come per il suo cattolicesimo nel senso originario del termine, e per una sollecitudine che tutto abbraccia.
Sull´altro piatto della bilancia, e nonostante la globalità della sua visione, Giovanni Paolo II non può essere considerato come un papa particolarmente ecumenico. L´ecumenismo cristiano, nato sotto i suoi predecessori, non ha fatto molti passi avanti nei suoi 25 anni di pontificato.
Paradossalmente, gli riusciva più facile il rapporto con le religioni non cristiane. In particolare, il dialogo tra la Chiesa cattolica e l´ebraismo con lui era in buone mani. Quando un eminente studioso israelita lo ringraziò per quanto aveva fatto in favore dei rapporti tra cattolici ed ebrei, il papa rispose: «Non io, ma la Divina Provvidenza»; ma poi aggiunse, con il suo inimitabile sorriso: «per mio tramite».
È stato un uomo di pace? Sì, certamente. Ma il suo pontificato abbraccia un periodo che ha visto l´esplosione violenta di molti conflitti regionali. Certo, nel Kosovo o in Congo il papa non poteva far granché.
I tempi del papato di Giovanni Paolo II non sono stati propizi all´affermazione del soft power. Perciò è tuttora attuale la celebre domanda di Stalin: «Ma questo papa, quante divisioni ha?» Domanda tanto più pertinente nella misura in cui Giovanni Paolo II non è un innamorato degli Usa. Secondo alcuni, condivide anzi il vecchio pregiudizio diffuso nell´Europa centrale, per cui l´America è espressione di una civiltà materialista, capace di fornire ogni possibile mezzo per qualunque esigenza - ma non le idee.
In altri termini, Giovanni Paolo II ci lascerà il retaggio di una storia di grande forza, ma anche di considerevoli debolezze. Il suo ritratto sarebbe però incompleto se si omettesse di menzionare le sue doti umane: il suo calore, la sua amabilità, la sua curiosità, il suo umorismo. Per molti versi, questo papa è un intellettuale, e in questo senso è stato forse sottovalutato. Ma al tempo stesso è anche un uomo semplice e spontaneo nei suoi contatti con gli altri. Dall´epoca del tentativo di assassinio subìto nel 1981, ha sopportato le sue sofferenze con dignità. La sua personalità non ha mai mancato di colpire i suoi numerosi visitatori. Persino nell´attuale stato di menomazione dovuto alla malattia, il papa Giovanni Paolo II è un simbolo delle potenzialità umane.

Copyright Project Syndicate
Institute for Human Sciences
(Traduzione di Elisabetta Horvat)