breve di cronaca
Falce martello e cervello
l'Unità - 11-02-2005

L’appello che due europarlamentari - eletti l’uno in Ungheria, l’altro in Lituania, con l’appoggio di una decina di europarlamentari dei Paesi dell’Est appena entrati nell’Unione - hanno rivolto al vicepresidente della commissione, l’italiano Franco Frattini, al fine di emanare una direttiva europea che, visto che si è presa in considerazione l’idea di bandire il simbolo nazista della svastica, fissi il divieto di usare all’interno dell’Unione i simboli del comunismo - cioé la falce e il martello - merita un’attenta riflessione sul piano storico come su quello politico.
È vero che gli autori chiedono per ora l’avvio di una riflessione, più che un’immediata direttiva ufficiale, ma questo non cambia la natura e l’importanza del problema.
Né vale ricordare quel che pure è innegabile sul piano storico: il fatto cioè che nei due Paesi indicati, come in altri dell’Europa orientale, ci furono partiti fascisti e filonazisti che durante la seconda guerra mondiale entrarono a far parte o capeggiarono governi collaborazionisti con la Germania nazionalsocialista che li occupava. E che quei governi, amici della svastica, deportarono centinaia di migliaia di ebrei nei campi di concentramento e di sterminio.
Il problema accolto da Frattini, che con ogni probabilità ha l’occhio volto all’imminente campagna elettorale italiana e alle ossessive filippiche del presidente del Consiglio Berlusconi (l’uomo che lo ha designato all’incarico europeo) ancora convinto che la sola arma a sua disposizione sia l’appello anticomunista, nasce da una meccanica equivalenza, fissata proprio dagli anticomunisti non democratici, tra comunismo e nazionalsocialismo: una equivalenza che ora rischia di diventare dottrina ufficiale dell’Europa politica.
Ci si rifà, ma a torto, al celebre saggio di Hannah Arendt che, scrivendo negli anni più cupi della guerra fredda, ha paragonato il regime staliniano e quello nazista hitleriano e ha definito entrambi regimi totalitari, non trascurando di osservare che, dal punto di vista dei due fenomeni, è quello sovietico che appare come il totalitarismo più perfetto e compiuto giacché il potere politico é completamente integrato a quello economico a differenza di quello nazionalsocialista che mantiene in vita il potere economico degli industriali e degli agrari almeno fino a quando scoppia la guerra e travolge gli spazi residui di autonomia delle classi abbienti e degli imprenditori rispetto al partito e allo Stato nazista.
Ma la falce e il martello non sono soltanto il simbolo del partito comunista sovietico che è stato alla base del totalitarismo sovietico, ma anche di tutti gli altri partiti comunisti europei, a cominciare da quello italiano. E non si può parlare, per la storia dei partiti comunisti europei, di accettazione e pratica totalitaria in qualche modo paragonabile a quella nazista rappresentata dal segno razzista della svastica hitleriana.
Al contrario, nel caso del movimento comunista italiano, l’avvento al potere del nazionalsocialismo determina un mutamento politico e culturale che porta prima ai fronti popolari contro i fascismi a metà degli anni Trenta, quindi alla lotta per la liberazione dell’Italia dalle truppe naziste e dai fascisti di Salò loro alleati insieme con tutte le altre forze cattoliche e democratiche. E, dopo la Resistenza e la fine della guerra, il partito, pur mantenendo quel simbolo e i legami con l’Unione Sovietica, è tra i principali protagonisti della lotta per la democrazia repubblicana e per la Costituzione che ancora regge gli italiani.
Quei simboli hanno retto e guidato le lotte sociali e politiche delle classi subalterne nell’Italia repubblicana per affermare i diritti dei lavoratori nello Stato uscito dalla guerra e dalla Resistenza ma anche per difendere la Costituzione repubblicana e i suoi valori contro i tentativi che la destra fascista ha portato, in più di un’occasione, contro gli istituti democratici previsti per realizzare la democrazia parlamentare nel nostro Paese.
Qualcuno tenta, insomma, di farci dimenticare che i comunisti italiani furono la forza determinante per la difesa della democrazia italiana contro le trame occulte delle stragi e dei terrorismi negli ultimi trent’anni della nostra storia?
Se è così bisogna parlare con chiarezza di fronte alla pretesa che Frattini vuol portare avanti in Europa. Ed è bene che tra i primi lo faccia chi, come me, non è mai stato comunista nella sua vita ma con loro ha sempre collaborato per la difesa della democrazia repubblicana.
Se la svastica ha significato e significa ancora una politica legata all’esempio di Hitler e della Germania nazista che ha seminato sangue e terrore e ha perpetrato il più grande massacro degli ebrei e degli oppositori politici e militari nella seconda guerra mondiale, la falce e il martello sono stati i simboli di movimenti comunisti assai diversi tra loro e quelli europei, in particolare quello italiano, hanno sicuramente commesso errori nella loro storia ma non sono in nessun modo assimilabili al modello totalitario di cui parlano gli europarlamentari dell’Est.
Il fallimento e la condanna dello stalinismo sono ormai chiari e netti a livello storico ma non possono trascinare con sé la storia del movimento comunista italiano ed europeo.
Affrontare il problema dell’equiparazione dei simboli a livello europeo nello stesso momento in cui il presidente del Consiglio Berlusconi, leader del partito da cui Frattini è stato espresso come ministro degli Esteri e poi come commissario europeo, sta facendo di tutto per assicurare alla sua coalizione il movimento di Alternativa Sociale guidato da Alessandra Mussolini che ha al suo interno componenti fasciste e filonaziste come, ad esempio Forza Nuova, rappresenta un’insopportabile beffa di fronte alla storia del movimento comunista italiano e alla forte tradizione democratica cui oggi continuano ad ispirarsi in Italia tutte le forze politiche della sinistra.

Nicola Tranfaglia
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 Pierangelo    - 11-02-2005
Da Repubblica del 11.2.2005

Cosa nasconde un simbolo politico

Viaggio nel paradosso comunista

È stata l´icona del movimento operaio poi il declino con la crisi delle ideologie
L´Europa dibatte se abolirlo perché equiparabile alla svastica o provare a conservarlo
Per milioni di persone è stato prima emblema di libertà poi di terrore e dispotismo


Devo subito dire di trovare la pratica o anche solo l´intenzione di vietare per legge in sistemi democratico-liberali l´esposizione di simboli o la diffusione di idee improntate a questo o a quel credo politico in nessun modo condivisibile. Non condivisibile in via di principio, perché quali che siano le intenzioni, il ricorso a forme di censura politica obbedisce ad una logica per cui si richiede al "braccio secolare" di assumere un indebito ruolo di potere ideologico. E non condivisibile anche per quanto attiene all´efficacia, perché le idee e i valori, sublimi o perversi che siano o li si giudichi, hanno la natura dell´aria, dell´acqua e del fuoco: si infiltrano ovunque, a meno che non si costruiscano barriere invalicabili, le quali però non sono allora in grado di nulla distinguere. Ho sempre ammirato, a proposito, la costituzione americana, la quale lascia piena libertà ad ogni espressione di simboli ed idee e al contempo impone la repressione degli atti che minacciano la convivenza civile, sulla base del presupposto che, quando le istituzioni considerano come un dovere consentire la circolazione di queste ma non di quelle idee, non si sa mai come si finisce; in quanto basta che ad una maggioranza ne succeda un´altra perché ai simboli e valori accettati come legittimi se ne sostituiscano di diversi magari di segno del tutto opposto. Verità è, infatti, che, come l´esperienza dovrebbe insegnare, la saldezza dei valori della libertà, della tolleranza, della convivenza civile poggia sempre e soltanto sul consenso che tali valori effettivamente ottengono nella coscienza comune. È nel foro interiore di questa coscienza che essi vincono o perdono la loro battaglia. Reprimere per legge un simbolo e un´ideologia, anche i più turpi, induce i loro seguaci ad atteggiarsi a perseguitati, li spinge a quel camuffamento unicamente esteriore che nessuna legge è in grado di impedire, rende in ultima analisi più difficile a chi non li condivide combatterli e a chi li condivide abbandonarli.
Sono portato a fare queste considerazioni non già da motivi teorici astratti, ma in relazione all´invito rivolto al Parlamento europeo da parlamentari lituani e ungheresi di prendere in considerazione unitamente al divieto dell´esibizione della svastica nazista quello della falce e del martello, in quanto simboli equiparati del dispotismo totalitario. Dopo aver già espresso i motivi per cui personalmente non ritengo opportuno che si vieti per legge qualsivoglia simbolo, vorrei svolgere alcune riflessioni su questa equiparazione.

La svastica fu il simbolo di un movimento e di una forma di potere che dagli inizi alla fine e programmaticamente si propose come scopo il dominio assoluto della razza ariana sulle altre, alcune da sterminarsi e altre da ridurre ad uno stato di schiavitù o di servaggio, il potere dittatoriale di una élite di padroni su masse amorfe soggiogate, la guerra come legge della vita dei popoli fino all´annientamento di ogni nemico. La svastica non ebbe altri seguaci se non coloro che lottarono per il trionfo del nazismo e trovò nelle SA e nelle SS i suoi più tipici portabandiera. Orbene, domando, chi, non spinto da un sordo risentimento pur reso comprensibile dalle violenze patite ad opera delle dittature comuniste, può affermare ragionevolmente qualcosa di simile a proposito della falce e del martello? Chi può non vedere e tener conto del fatto che, mentre i nazisti non furono altro che nazisti, nelle correnti del movimento operaio e nei partiti che alzarono il vessillo della falce e del martello - il quale non fu solo dei comunisti - vi furono tanti uomini che non solo non ebbero nulla a che fare con gli uomini di Stalin e dei suoi consimili, ma che, restando fedeli a quel vessillo, lottarono per ideali e scopi del tutto diversi, si opposero agli Stalin e ne furono le vittime più odiate e vilipese? Chi può assimilare i milioni di operai e contadini che lottarono per una maggiore giustizia sociale levando la falce e il martello, i comunisti dell´antifascismo e della Resistenza alle schiere agitanti la svastica?
La svastica fu dunque sempre e soltanto un simbolo di oppressione e di morte; la falce e il martello un simbolo di speranza e di emancipazione stravolto e tradito dal dispotismo comunista. Chiunque analizzi la storia del comunismo moderno non può non scontrarsi con la sua complessità, le sue plurivalenze, le sue ambiguità e profonde antinomie. Esso è stato al tempo stesso un movimento di liberatori e di oppressori, di chi è morto per alti obiettivi umani e per servire utopici ideali di liberazione totale e di chi ha messo in atto le più ignobili sopraffazioni, di chi, insomma, ha operato per dare un senso e un futuro alle più grandi speranze e di chi quelle speranze ha spento. Certo, e qui sta un nodo che non è dato ignorare, molti sono stati i comunisti che hanno incarnato l´uno e l´altro ruolo, che hanno inteso servire la loro utopia mettendo in atto o sostenendo pratiche del potere che il fine contraddicevano frontalmente. Tirate le somme, nessuno può e deve negare per un verso che il significato della svastica è opposto a quello della falce e del martello, per l´altro che il comunismo è stato il movimento che ha promosso lotte nobili e generose, ma che là dove è andato al potere, ha assunto il volto tragico del totalitarismo.

Vietare il simbolo della falce e del martello al pari della svastica equivale a compiere una reductio ad unum del significato del comunismo moderno che non ha giustificazioni né storiche né umane. Chi lo fa si assume la responsabilità di assimilare Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Gramsci, Terracini, l´eroe della Resistenza italiana Giambone, schiere di operai e contadini probi e coraggiosi in lotta per il miglioramento della loro esistenza, non solo a Stalin ma anche a Hitler e a Goebbels. Chi lo fa indurrà - ed è questo un aspetto da considerare attentamente - i comunisti dell´Unione Europea che continuano a portare nelle loro bandiere la falce e il martello, avendo rigettato il comunismo dei dittatori, a sentirsi dei perseguitati, additati come paria politici. Non sentono il peso e non colgono le implicazioni di una simile operazione i deputati europei dei paesi dell´Est che invocano questa reductio ad unum e Frattini che li incoraggia e sostiene?

MASSIMO L. SALVADORI