tam tam |  NO WAR  |
Giuliana Sgrena rapita in Iraq
Fuoriregistro - 04-02-2005
Guai a occuparsi di Falluja scrive la Redazione di Radio Città aperta che preannuncia, per le 16.00 di oggi, una conferenza stampa della redazione del Manifesto sul sequestro di Giuliana Sgrena.

Sono ancora poche le notizie che abbiamo a disposizione sul sequestro di Giuliana Sgrena avvenuto questa mattina a Bagdad. Sappiamo che la corrispondente del Manifesto aveva chiamato alle 12.00 la redazione del giornale. Sappiamo che da lì a poco aveva un appuntamento con gli sfollati di Falluja ospitati in una moschea sunnita di Bagdad. Sappiamo che pochi minuti dopo la sua telefonata è stata sequestrata. Questo è tutto quello che sappiamo del sequestro di Giuliana Sgrena. Però sappiamo anche che in Iraq ogni giornalista o cooperante che ha voluto indagare su quanto avveniva a Falluja è stato sequestrato e in qualche caso ucciso come avvenuto a Baldoni. Da mesi ormai un silenzio tombale è sceso su Falluja e su quello che è accaduto durante il raid e i rastrellamenti delle truppe di occupazione statunitensi affiancate dai peshmerga kurdi e da consiglieri militari israeliani. A Falluja nessuno ha trovato Al Zarkawi che era stato utilizzato come pretesto per bombardare, assediare ed espugnare la città ma a Falluja, che aveva quasi 300.000 abitanti ne sono rimasti solo 15.000. Gli altri sono scomparsi o scappati ed è con questi che aveva appuntamento Giuliana Sgrena prima di essere anche lei sequestrata nel mattatoio iracheno. Il messaggio è chiaro: guai ad occuparsi di Falluja.


Riportiamo, di seguito, la versione on line del Manifesto che annuncia il rapimento.







  discussione chiusa  condividi pdf

 Giuliana Sgrena    - 05-02-2005
Un articolo recente: Florence e gli altri

«Non andate in Iraq», ha detto Chirac ai giornalisti francesi. Gli ha fatto eco Fini da Roma. Le varie ambasciate, sotto pressione Usa, avevano già intimato ai giornalisti presenti a Baghdad prima dell'inizio dei bombardamenti, il 20 marzo 2003, di abbandonare il campo. L'intimazione non ha però avuto successo e la guerra è stata rappresentata, bene o male, sia da chi doveva subire il controllo del ministero dell'informazione iracheno che da chi, «embedded», era censurato dal Pentagono. L'ulteriore deterioramento della situazione irachena ha reso ancora più difficile fare informazione. I giornalisti sono ostaggio di tutti gli effetti perversi provocati dall'occupazione militare e dalla privatizzazione della guerra. L'ostilità degli iracheni verso l'occupazione si è ampliata fino a coinvolgere tutti gli stranieri: contractor, giornalisti o lavoratori umanitari. Non basta più essere francesi - per la posizione della Francia verso la guerra e l'occupazione - per avere un trattamento diverso. Del resto, quando si spaccia un intervento militare per «missione di pace» (come ha fatto il governo italiano), non si può pretendere che dall'altra parte si facciano distinzioni sottili. E purtroppo in questa spirale perversa Enzo Baldoni ha pagato di persona.

Ora anche l'esercito italiano ha «aperto» a corsi per i nostri aspiranti «embedded». Peggio: è arrivata alla camera, ed è già passata al senato, la revisione del codice penale militare che prevede l'applicazione della
legge marziale nello «stato di pace» anche ai civili, giornalisti compresi, per «illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari». Naturalmente il riferimento immediato è alla «missione di pace» a Nassiriya.

L'informazione si è dunque militarizzata: a volte, come è successo a Falluja, è impossibile seguire quel che accade senza essere al seguito di un esercito. Ma la prospettiva resta esclusivamente militare, anche se qualche volta sfuggono immagini scioccanti come quella del marine che spara sul ferito disarmato dentro la moschea di Falluja.

Ribellarsi a questi schemi è rischioso, ma è un rischio che bisogna correre per fare informazione, per fare conoscere una realtà che altrimenti finirebbe solo nei bollettini di guerra o nei pamphlet di propaganda. Sempre di guerra.


Florence Aubenas ha sempre corso il rischio di informare: in Ruanda, Kosovo, Algeria, Afghanistan e Iraq. Anche per questo ci sentiamo al suo fianco.

ll Manifesto
14 gennaio 2005



ALTRI ARTICOLI E NOTIZIE AGGIORNATE