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Fermo (di polizia) preventivo
Radio Archimede - 31-01-2005
Trascinato con la forza e trattenuto per quasi tre ore in questura Piero Ricca, l'uomo che qualche mese fa chiamò Silvio Berlusconi, buffone (o «puffone» come sostenne lui) dopo la deposizione del premier al processo Sme. Alle 17.30 l'hanno lasciato andare con queste parole: «La diffido a ritornare di nuovo al palazzo delle Stelline. Lei ha precedenti di ordine pubblico».

Arriva Berlusconi: fermo preventivo per Piero Ricca che gli gridò «puffone»

Trascinato con la forza e trattenuto per quasi tre ore in questura. È successo a Piero Ricca, l'uomo che qualche mese fa chiamò buffone (o «puffone» come sostenne lui) Silvio Berlusconi, dopo la deposizione del premier al processo Sme. Sabato Piero era a Milano davanti al palazzo delle stelline.
Voleva assistere al convegno a cinque anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, lo stesso a cui avrebbe dovuto partecipare Berlusconi. Per questo, per evitare eventuali contestazioni, la polizia lo ha fermato per quasi tre ore. Alle 17.30 l'hanno lasciato andare con queste parole: «La diffido a ritornare di nuovo al palazzo delle Stelline. Lei ha precedenti di ordine pubblico». Morale? Nel Paese di Berlusconi il dissenso è impedito preventivamente.

Trattenuto per quasi tre ore in commissariato a Milano, senza una ragione plausibile. Giusto il tempo di far parlare il premier al convegno in ricordo di Bettino Craxi. È quello che è successo nell'Italia di Berlusconi a Piero Ricca, l’uomo che durante un'udienza del processo Sme, gridò «buffone» (o «puffone» come sostenne lui) all’indirizzo del Cavaliere. E così, una pratica poliziesca diffusa nel ventennio, quella di fermare gli oppositori prima
delle visite del Capo del governo, torna di moda.

Sabato pomeriggio Piero Ricca era a Milano, davanti al palazzo delle Stelline, per assistere al convegno organizzato dalla Fondazione Bettino Craxi in memoria del leader socialista scomparso cinque anni fa. Il convegno a cui doveva partecipare anche Silvio Berlusconi. Per questo il «contestatore»
potenziale Piero Ricca è stato «trascinato via dalla polizia, fermato per due ore e mezza e diffidato», secondo quanto denuncia lui stesso.

Racconta indignato Ricca sul sito centomovimenti.com : «Quando torno al convegno il pomeriggio, trovo nell'atrio un ampio schieramento di forze dell'ordine. È atteso Berlusconi. Un agente all'ingresso mi chiede il documento, glielo do. Mi chiedono di uscire in strada. Esco. Dopo dieci minuti mi dicono che devo seguirli in commissariato per accertamenti relativi alla mia identità».

Pietro rifiuta, fa notare di essere un libero cittadino incensurato. Tutto inutile: «Sono circondato da agenti, ribadiscono che devo seguirli. Mi appunto i nomi di alcuni di loro. Poi arriva un ordine: Caricatelo in auto! Faccio resistenza passiva. In cinque mi trascinano con la forza. Assistono alla scena varie persone, tra le quali giornalisti e fotografi. Nessuno parla. Annuncio agli agenti a voce alta: Questo è un abuso, siete fuori legge! Mi toccherà denunciarvi».

In commissariato non c’è nessun dirigente che vuole parlare con Ricca: «Rimango in un ufficio, in compagnia di un simpatico agente di polizia da trent'anni in servizio a Milano, che si dice costernato quanto me. Prendo nota di ogni dettaglio. Mi trattengono fino alle 17,30».

Poi lo congedano con queste parole: «La diffido a ritornare di nuovo al palazzo delle Stelline. Lei ha precedenti di ordine pubblico».

Morale? Nel Paese di Berlusconi il dissenso è impedito preventivamente.

Radio Archimede al link: http://www.uonna.it/puffo(ne)-buffo(ne)-fermate-ricca.htm

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 da Centomovimenti    - 02-02-2005
Un tranquillo sabato di regime


In Italia è riconosciuto solo il diritto all’applauso. Non mi riferisco a censura e manipolazione dell’informazione. C’è di più: la repressione preventiva di ogni possibile dissenso individuale. Ne ho avuto conferma alle ore 15 di sabato 29 gennaio, quando sono stato trascinato in un’auto da diverse persone qualificatesi come agenti di polizia, e portato a forza in un commissariato del centro di Milano, da cui mi hanno liberato oltre due ore e mezza dopo.
Mi trovavo davanti al palazzo delle Stelline in corso Magenta, dove stavo per entrare per assistere a un convegno organizzato dalla Fondazione Craxi, con il patrocinio anche delle Presidenze di Camera e Senato.

L’occasione era di tipo celebrativo: si magnificava l’azione di politica estera dell’ex segretario del Partito Socialista Italiano, cittadino – se ricordarlo non è blasfemo – pluricondannato dalla giustizia italiana.

Molti i convenuti illustri: il sindaco di Milano Albertini, il presidente della provincia Penati, il “presidente di tutti” Formigoni. E ambasciatori, statisti in pensione, ex ministri, storici, l’ex sindaco Tognoli, già condannato a tre e passa, che oggi presiede il Policlinico, Fedele Confalonieri in veste di amico di Famiglia, l’avvocato sardo-milanese Giannino Guiso, un tizio che assomiglia a De Michelis, ci sono pure i liberalsocialisti bellocci Carlo Ripa di Meana, con cravatta fru fru e vestito di panno verde, e Margherita Boniver, stretta nel suo grugno. In trasferta da Cogne il garantista a 24 carati, l’on. Avv. Prof. Carlo Taormina. Insonorizzato dalle cuffie per la traduzione, siede assopito in prima fila l’elettricista-premio Nobel Lech Walesa. Una cosa senza pretese: tra storiografia domestica e apologia di reato.

Ero già stato in mattinata a quel convegno e – tranne qualche noiosa domanda di alcuni zelanti agenti della Digos – avevo potuto partecipare tranquillamente e prendere appunti per un articolo che avevo in mente di scrivere per una testata on line. Lo può confermare anche la mia amica Maria Vittoria Pillitteri.

Qualche gemma rimasta sul taccuino.

Lagorio: “La politica estera era il suo (di Craxi, ndr) interesse prioritario”.

Badini: “Ha avuto sempre in mente la crescita morale del Paese”.
Ruggiero: “Va ricordato come uno dei padri dell’Europa Unita”.

Craveri 1: “Era troppo in anticipo sui tempi, tutto ricomincia con Craxi”.

Craveri 2: “La cruna dell’ago è un libro da leggere per capire quegli anni”.

Guiso (in corridoio): “Siamo qui per contribuire a una parola di verità”.

Alle 13.30 tutti a pranzo. "Di pomeriggio ci sarà il saluto del presidente del Consiglio", annuncia lo speaker.

Torno per la sessione pomeridiana, e trovo nell’atrio un ampio schieramento di forze dell’ordine. Un agente all’ingresso mi chiede il documento; glielo dò. “Perché solo a me?”, chiedo. “Li stiamo controllando a tutti”, rispondono. Non è vero. Mi chiedono di uscire in strada. Esco. Dopo dieci minuti di attesa mi dicono che devo “seguirli in commissariato per accertamenti relativi alla mia identità”. Alla mia richiesta di chiarimento, aggiungono che “un dirigente vuole parlarmi”. Intanto trattengono il mio documento. Io: “Da qui non me ne vado, perché non ho fatto nulla di male e sono un libero cittadino incensurato; fate pure i vostri controlli e poi ridatemi il documento”.

Sono circondato da agenti, ribadiscono che devo seguirli.
Alla storia del dirigente che vuole parlarmi se ne sovrappone un’altra, meno lusinghiera: “Bisogna verificare meglio il suo documento”. Mi appunto i nomi di alcuni di loro. Uno si qualifica come “Focaccia Piero”. Ha l’espressione irridente, di quelli che non dovrebbero mai rivestire alcuna autorità. Esisterà un “Focaccia Piero” nella polizia di Milano? Poi arriva un ordine: “Caricatelo in auto, dai!”. Oppongo resistenza passiva. In cinque – stipendiati dai contribuenti italiani – mi trascinano con la forza in un’auto. C’è anche una donna, “l’agente Bonamico”. Assistono alla scena varie persone, tra le quali alcuni giornalisti. Un fotografo scatta. Nessuno parla. Urlo: “Questo è un abuso, siete fuori legge! Mi toccherà denunciarvi!”

Mi portano al commissariato di San Sepolcro, nella piazza in cui si affaccia il balcone milanese di Mussolini. Rimango in un ufficio, in compagnia di “Massimo Benedetti”, un poliziotto romano da trent’anni in servizio a Milano, che si dice costernato. Ci siamo già visti in varie manifestazioni e convegni degli ultimi anni. Prendo nota di ogni dettaglio. Non c’è nessun dirigente che vuole parlarmi, tanto meno il capo di quel commissariato che mi viene indicato nella figura del “dott. Vincenzo D’Agnano”. Chiedo di poter fare una telefonata. “Per ora non è possibile”, mi viene risposto. Rispondo alle chiamate di un paio di amici, uno dei quali pubblica in tempo reale una cronaca sulla testata centomovimenti.com, e mi informa dei flash di agenzia, tra le altre l’Asca, che dice che io non avrei dato il documento alla polizia e che avrei offeso alcuni agenti: l’esatto opposto della verità.

Chiedo ancora spiegazioni. “Sono in corso accertamenti sulla sua identità”, mi si dice. Benedetti riceve qualche telefonata, verosimilmente da un superiore, al quale racconta l’accaduto. A domanda risponde: “No, non ci ha offesi”.

“Si stanno prendendo paura”, mi confida. “E pensare che ero alle Stelline soltanto a portare un documento, hanno scelto me perché sanno che sono un tipo calmo. Ma ora dovrò scrivere una relazione”.
Passo il tempo a guardare la collezione di stampe appese in corridoio e la vasca con minuscoli pescetti blu. Nella stanza accanto un agente scribacchia qualcosa. “Ce l’ha un avvocato?”, mi chiede. “Forse servirà ai vostri capi”, gli rispondo. Ne entra un altro. Protesto anche con lui. “Non aggravi la sua posizione. Lei ha fatto resistenza a pubblico ufficiale”, mi dice. Gli rido in faccia. Chiedo al poliziotto romano: “Ma è vero che un questore, dopo una contestazione a Fini, è stato licenziato?”. Mi risponde pronto: “Sì, è successo a Trento”.

A un certo punto si appalesa una dirigente di polizia qualificatasi come “dottoressa Pagani”, giovane capelli neri occhialetti, che mi offre questa spiegazione: “Abbiamo sviluppato il suo nominativo, per sapere chi è lei, se è un terrorista…”. La interrompo: “Non si giustifichi, per me è tutto chiaro”. “Vengo al dunque. Lei ora può andare, ma la diffido dal ritornare di nuovo al palazzo delle Stelline”. “Perché?” “Lei ha precedenti di ordine pubblico". “Sa che cosa vuol dire questa espressione vero?”, le chiedo mentre mi appunto il suo nome. “Questa decisione è stata presa dall’autorità di polizia e non certo da me personalmente”.
L’autorità è impersonale: alibi vecchio come il cucco.
Mi viene restituito il documento ed esco. Sono passate le 17.30. Scoprirò che, mentre contemplavo i pesciolini blu, Sua Eccellenza Capelluta Prescritta e Liftata, al convegno delle Stelline, davanti a un folto pubblico di plauditori e diversi pregiudicati, proclamava: “La nostra è la casa di chi ama la libertà”.

Fendendo la folla del sabato pomeriggio, vado a un internet point a scrivere un comunicato. Mi torna in mente il detto: “Libero fischio in libero Stato”, del socialista Sandro Pertini, uno che la galera se l’è fatta e non per corruzione. Ora i fischietti li usano per espellere e neutralizzare, nel silenzio degli astanti, i cittadini liberi e incensurati, che ancora vedono lo scandalo. Come nei giorni gloriosi del ventennio.

Morale? Nell’Italia del 2005 solo il consenso è garantito. I cittadini che non rinunciano alla libertà di espressione vengono identificati, trascinati via, sequestrati e diffidati, senza alcun ragionevole motivo, in evidente violazione delle leggi, quando il capo di turno, padrone di casa dei “liberali”, si esibisce in pubblico, magari per commemorare un ex latitante.
Sotto il governo dei prescritti il dissenso viene preventivamente impedito dalle forze dell’ordine, i cui dirigenti forse ritengono più grave il rischio di un intralcio alla propria carriera che la lesione ai diritti di libertà sanciti da quella Costituzione alla quale hanno giurato fedeltà.

Questo desideravo far sapere. Ora cercherò un parlamentare di opposizione che intenda promuovere al riguardo un’iniziativa istituzionale. Ho deciso inoltre di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Milano. Cosa che decisi di non fare – e ora me ne pento – per un motivo analogo, nel giugno 2004, quando ricevetti il medesimo trattamento davanti al seggio dove era atteso per il voto il signor Berlusconi (era la volta successiva al famoso e illegale “comizio” a urne aperte). Ero lì – annunciata la mia presenza alla stampa – per “vigilare” sulle regole. Mettevo in pericolo l’ordine pubblico, dunque.

Se anche per voi la libertà non ha una casa, inviate questo articolo ai vostri amici.

Piero Ricca

Centomovimenti