Un New Deal per la scuola di base
Gianni Gandola, Federico Niccoli - 27-01-2005
Riprendiamo l’invito di ScuolaOggi.org allo schieramento di centro-sinistra ad aprire un dibattito, a ragionare in termini propositivi sulla “scuola che vogliamo”.

Francamente non riusciamo a capire perché questo sforzo di elaborazione e di proposta dovrebbe riguardare le forze politiche e sindacali e non anche i “movimenti” di insegnanti e genitori, la cui funzione secondo alcuni consisterebbe principalmente (se non esclusivamente) nel chiedere l’abrogazione della riforma Moratti. Ma non è nostra intenzione innescare o alimentare polemiche, al contrario. Si tratta, semplicemente, di una posizione che non condividiamo. Al centro-sinistra noi chiediamo di più: chiediamo di esplicitare, almeno a grandi linee, i punti essenziali di una nuova scuola pubblica statale, diversa da quella prospettata dalla legge n.53/2003. In questo senso diciamo che l’abrogazione della legge Moratti da sola non basta: occorre un’idea e un programma alternativi di riforma della scuola, occorre andare “oltre la Moratti”.

Proviamo allora qui, senza pretesa alcuna di esaustività, ad entrare nel merito della discussione avviata indicando quelli che, a nostro modesto avviso, dovrebbero costituire altrettanti punti qualificanti, una possibile piattaforma per un rinnovamento della scuola di base. Una sorta di “nuovo corso”, di New Deal dell’era (auspicabile) del dopo-Moratti.

1) Una scuola di base unitaria.

Riteniamo che vada ripresa l’idea centrale della riforma Berlinguer (legge 30/2000) di una scuola di base continua e unitaria che superi la separatezza storica dei due tronconi attuali della scuola dell’obbligo, scuola elementare e scuola media (o primaria e secondaria di primo grado, come li rinomina, non a caso, la legge Moratti) e porti a compimento l’esperienza degli istituti comprensivi (una realtà diffusissima sul territorio nazionale ma attualmente ingessata, rimasta “in mezzo al guado” e senza prospettive). In una prima fase si possono ipotizzare i primi 4 anni gestiti dagli attuali docenti elementari, gli ultimi due dai docenti dell’attuale scuola media e un anno di saldatura integrato, misto, con interventi dei docenti elementari/medi sulla classe, approfondendo naturalmente nei dettagli gli aspetti organizzativi. A regime, però, anche in virtù della formazione universitaria di tutti i docenti della scuola di base, si dovrà procedere ad una compiuta unificazione dello stato giuridico di tutti i docenti e ad un’unica modalità di assegnazione classi/formazione gruppi. Questo comporterebbe quindi una revisione degli attuali stati giuridici, degli orari, dei modelli organizzativi e didattici. Punto comune, la riaffermazione a tutti i livelli del “gruppo docente”, della contitolarità-corresponsabilità-collegialità dei docenti nella gestione dei gruppi classe.

2) Orari e organizzazione didattica.

Poiché non è realistico pensare ad una diffusione generalizzata e/o imposizione su tutto il territorio nazionale del tempo pieno e prolungato, si potrebbe mantenere una distinzione tra un orario base di 30 ore obbligatorio (con rientri pomeridiani e mensa facoltativa) per i genitori che scelgono questo modello e un orario a “tempo pieno” (mensa inclusa) di 40 ore (o di 38 ore, nell’ipotesi del punto 7). Le 30 ore di insegnamento/apprendimento sono il tempo necessario (con i tempi distesi e il rispetto dei ritmi di insegnamento/apprendimento di ciascun alunno) per rispondere alle esigenze di tutti gli alunni, mantenendo il legame indissolubile tra attività curricolari tradizionali e attività afferenti alla cosiddetta didattica laboratoriale. Il tempo pieno o prolungato dovrebbe tornare, com’era alle origini, a qualificarsi sulla base di Progetti educativi presentati dalle scuole autonome, approvati e verificati da Collegi docenti e Consigli di istituto. Questi Progetti dovrebbero prevedere e garantire attività di classi aperte, gruppi di alunni, laboratori, e quindi comportare un organico docenti adeguato con compresenze assicurate (e magari in numero superiore rispetto al tempo pieno attuale, come peraltro era in passato). Il Tempo pieno tornerebbe ad essere una “scelta” consapevole, anche sul piano del modello pedagogico, da parte di docenti e famiglie e non un modello orario precostituito, buono per tutti gli usi. Un Tempo pieno di contenuti, di progetti didattici innovativi, e quindi dotato di risorse adeguate per realizzarli. Dovrebbe inoltre essere potenziato, all’interno dell’orario di servizio dei docenti, il tempo riservato alla programmazione didattica settimanale ed alla progettazione/verifica di inizio/fine anno riaffermando l’importanza di una seria programmazione delle attività didattico-educative del gruppo docente.

3) Più (e non meno) insegnanti, più qualificati e meglio distribuiti.

Quindi: non solo la conferma del doppio organico sulle classi con Progetto educativo di TP, ma anche la conferma degli specialisti di lingua straniera (irrealistica e balzana l’idea che tutti i docenti possano insegnare inglese!), insegnanti (almeno a part time) addetti ai laboratori di informatica, insegnanti facilitatori per l’accoglienza/inserimento degli alunni stranieri (assolutamente indispensabili nelle scuole “a forte processo immigratorio”), insegnanti di sostegno per gli alunni disabili. In questo senso quindi un organico funzionale (funzionale alle esigenze, quindi “arricchito” e non impoverito). Questo comporta inevitabilmente investimenti sulla scuola, non solo in termini di strutture ma anche di risorse professionali adeguate. Dovrebbero inoltre essere rivisti i meccanismi di reclutamento e di selezione del personale docente e la formazione in servizio, obbligatoria e parte integrante dell’orario di lavoro/funzione docente.

4) Rinnovamento dei programmi didattici.

Riprendere come base di discussione i programmi del 1985 e del 1979 e i curricoli Berlinguer-De Mauro e da lì ripartire, apportando gli aggiustamenti necessari (con il contributo di esperti disciplinari, pedagogisti, ecc. ricostituendo commissioni di lavoro allargate), scartando la pochezza culturale e didattica delle Indicazioni nazionali del “gruppo di lavoro Bertagna”.

5) Riaffermazione del “valore” della continuità didattica.

Premesso che la sostituzione dei docenti assenti è indispensabile per garantire il servizio (e quindi il ricorso alle supplenze è una necessità che richiede assoluta certezza di copertura finanziaria per le scuole) occorre, a nostro avviso, rivedere a fondo l’attuale meccanismo delle graduatorie di fascia, mettendo al primo posto le esigenze del servizio e il diritto dell’alunno alla prestazione ed alla continuità di rapporti educativi. Prevedere quindi per le supplenze annuali graduatorie su base nazionale ma per le supplenze brevi graduatorie su base provinciale e limitate a due-tre istituti (con supplenti immediatamente reperibili, com’era nelle vecchie graduatorie di circolo, e meno turn over). Le graduatorie devono essere definite prima dell’inizio dell’anno scolastico (in ogni caso le graduatorie -tutte- valgono con l’anno scolastico successivo alla data della loro pubblicazione). Dopo venti giorni dall’inizio delle lezioni la supplenza assegnata non si revoca più, per continuità didattica (a meno che non si tratti di supplenza sopraggiunta e di durata annuale), com’era anni addietro. Occorre garantire inoltre stabilità e continuità didattica in particolare al sostegno agli alunni disabili, per i quali il continuo avvicendamento di insegnanti è assolutamente destabilizzante. Non utilizzare per le sostituzioni, se non in casi di emergenza, le ore di compresenza dei docenti per non intaccare le attività didattiche programmate.

6) Forme di incentivo per i docenti che lavorano di più e meglio. individuando un meccanismo il più possibile condiviso ma chiaro di valutazione/valorizzazione della professionalità docente (l’attuale fondo di istituto distribuisce di fatto pochi euro a tutti o quasi, ma non compensa adeguatamente le competenze e le professionalità migliori…)

7) Insegnamento della religione cattolica effettivamente facoltativo.

Se l’IRC è facoltativo e opzionale, lo dice la parola stessa, deve essere data realmente la possibilità di scelta alle famiglie che intendono avvalersene o meno non ponendo le ore di religione cattolica all'interno dell'orario base, del curricolo obbligatorio e uguale per tutti.

8) Potenziamento del sistema dei laboratori.

Tornare alla lezione di De Bartolomeis e dotare le scuole di “ambienti di apprendimento” funzionali, di attrezzature e strutture adeguate. Non solo informatica e nuove tecnologie, ma anche laboratori creativo-espressivi, audiovisivi, ecc.

9) Funzioni tutoriali svolte da tutti i docenti.

E’ compito di tutti gli insegnanti del gruppo docente occuparsi dell’accoglienza, guida, orientamento, cura degli alunni – in particolare degli alunni con problemi - in maniera collegiale e condivisa e con un adeguato supporto di competenze specialistiche e di consulenti esterni (psicologi, psicopedagogisti), assolutamente necessario per la scuola

10) Scheda di valutazione degli alunni uniforme, omogenea su tutto il territorio nazionale, con l’indicazione dei livelli essenziali delle competenze e delle abilità che gli alunni devono raggiungere.

E’ evidente, ribadiamo il concetto, che un simile modello di scuola comporterebbe sicuramente un investimento, un aumento delle risorse finanziarie destinate alla scuola di base e non la prosecuzione della politica di tagli (di fondi, di organici) avviata negli ultimi anni. A dimostrazione del fatto che sulla scuola si deve investire non solo a parole (internet, inglese, ecc.) ma concretamente, sul serio. E che il sistema dell’istruzione pubblica è veramente una priorità per un governo di centro sinistra.


Gianni Gandola, Federico Niccoli (dirigenti scolastici Cgil scuola - Milano)





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