tam tam |  mobbing  |
Lombardia a rischio?
A.O. - 25-01-2005
Sono un impiegata di trentadue anni, e negli anni dell'università ho lavorato come barman stagionale in diverse località turistiche che mi hanno portato un po' in giro per l'Italia. Dalla Costa Smeralda, alla riviera Romagnola, alle bellissime località della Valdaosta e del Trentino, oggi risiedo in Lombardia (Milano) da cinque anni e mio malgrado ho potuto constatare essere la regione "piu' mobizzante" d 'Italia " dove i comportamenti da "gentaglia" sono distribuiti equamente tra colleghi di lavoro e superiori. c'è un motivo?
Forse c'è troppa gente e i posti di lavoro non bastano per tutti, quindi la competizione sul lavoro diventa spietata?
E' possibile che solo la regione Lazio abbia avuto il coraggio di rendere esecutiva la legge sul mobbing? Non servirebbe forse anche di più in Lombardia dove i lavoratori sono così tanto incattiviti da spingersi a comportamenti deprecabili che danneggiano loro stessi oltre che l'azienda (che il più delle volte cerca di sfruttare a proprio vantaggio i tafferugli dei suoi dipendenti)?
Cosa ne pensate?

  discussione chiusa  condividi pdf

 Grazia Perrone    - 26-01-2005
La legge antimobbing della Regione Lazio è stata
cancellata da una sentenza della Corte Costituzionale secondo la quale (…)”in considerazione della diffusione del fenomeno mobbing a livello nazionale non può aversi una disciplina differenziata da Regione a Regione. (…)”

Allo stato, dunque, il nostro Paese è totalmente sprovvisto (a differenza di altri Stati europei e nonostante precise disposizioni comunitarie) di una legislazione finalizzata alla tutela della salute psicofisica dei lavoratori e al contrasto della violenza psicologica nei luoghi di lavoro.

L’unica (ed efficace) forma giuridica di contrasto antimobbing consiste nell’articolo 2087 del “vecchio” codice civile (1943!!!) in base al quale l’imprenditore (sia pubblico che privato) è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità dei lavoratori.

L’onere probatorio è a carico della vittima il che – in talune situazioni – risulta assai difficile specie in considerazione della "scarsa propensione" (tutti tengono famiglia") alla collaborazione da parte di superiori e colleghi.

Ma tant’è.