Questo brano è tratto dalla postfazione del libro libro "REGIME" di Marco Travaglio e Peter Gomez
"Quando lavoravo alla Rai, ogni sabato sera, prima di andare in onda, mi chiamava il direttore generale Biagio Agnes: «Con la stima che ci lega, signor Grillo, si ricordi che lei si rivolge alle famiglie». Io regolarmente rispondevo: «Non c'è nessuna stima, signor Agnes, fra me e la sua famiglia ... ». Poi, subito dopo la sigla, avvertivo il pubblico: «Pochi minuti fa
mi ha telefonato il direttore generale e ha cercato di corrompermi».
La censura della Rai democristiana non era brutale e intimidatoria, violenta e ottusa come quella di oggi. Non cercava di annientarti, di rovinarti con le denunce. Era più bonaria, famigliare, melliflua. Si presentava col volto del vecchio zio burbero benefico, che ti dà buoni consigli per il tuo bene.
E tu, con un po' di astuzia, la potevi aggirare. Per esempio: era vietato parlare di P2, allora io una sera andai in scena con una lavagna e fornii una complicata ma persuasiva dimostrazione matematica dell'esistenza di Pietro Longo. Alla fine usciva il suo faccione in un triangolo, il simbolo massonico. Successe un casino. Pippo Baudo si arrabattava poi a rimediare con le sue arti democristiane. Anche a lui ricordavo la differenza fra la mia famiglia e le «famiglie» delle sue parti, Catania e dintorni. Ecco,
quella censura metteva alla prova la creatività del censurato, quasi lo sfidava ad aggirare l'ostacolo.
Poi arrivò Craxi e cambiò tutto. Mi tennero lontano dalla Rai per diversi anni, dal 1986 al 1993, per due battute che anticipavano Tangentopoli. In una, ammiccando allo spot che facevo per uno yogurt bussando alle porte della gente per offrire un assaggio, raccontai di aver bussato a casa Craxi.
Bettino apriva e faceva per richiudere l'uscio: «No, grazie, non mangio yogurt». E io: «Ma non sono qui per quello. E' che mi hanno fregato il motorino, e pensavo che lei ne sapesse qualcosa».
Nell'altra, parlavo della mitica missione in Cina del premier socialista, che s'era portato dietro un codazzo di parenti, famigli, amici, portaborse, damazze, contesse, fidanzate. Giunto a Pechino, l'avevano avvertito: «Sa, presidente, qui siamo tutti socialisti». E lui aveva risposto: «Ma allora a chi rubate?».
Poi, nel '92-'93, li portarono tutti in galera. Nel '93, dopo lunga quarantena, si rifece viva con me la Rai dei «professori»: tutte brave persone, che non capivano un tubo di televisione. Feci due serate in diretta, poi cominciarono a capire qualcosa di televisione e decisero che bastava così. Nel '94 mi richiamò la Moratti. Stessa manfrina di sempre: «Grillo, lei potrà fare e dire quello che le pare. Ha carta bianca». Conoscendo i miei polli, li
misi con le spalle al muro: «Guardate, io vi mando una cassetta del mio spettacolo, e voi potete tagliare qualsiasi cosa, quello che volete».
Risposero:
«Ma noi non vogliamo tagliare niente». Tagliarono tutto, nel senso che la cassetta non andò mai in onda. Non era quel che dicevo, il problema. Il
problema ero io, quel che rappresentavo con le mie battute e le mie denunce sulle case automobilistiche, la ricerca fasulla, i consumi, le pubblicità, i Nobel comprati, il petrolio e l'idrogeno, gli spazzolini inquinanti. Perché in Italia puoi dire peste e corna del presidente della Repubblica, ma se tocchi un formaggino ti fulminano. Dì quel che vuoi, ma non sfiorare i fatturati.
E' così anche nell'Italia berlusconiana. Il Cavaliere mica s'incazza se si fa satira sociale, sulle pensioni, sulle riforme, sulle ville, sulla statura, sulla pelata. S'incazza se parli dei suoi processi e del suo
monopolio, che poi sono le vere ragioni per cui fa politica: in una parola, i guadagni di Mediaset. Quello è il tabù. Per questo sono saltati Biagi, Santoro, Luttazzi,la Guzzanti, Fini, Rossi e tutti gli altri. Perché lo toccavano negli affetti più cari: i fatturati. E lui, quando gli toccano i fatturati, va fuori di testa. Parla di «uso criminoso della televisione», lui che la usa criminosamente da vent'anni. E così trasforma in eroi e in martiri dei professionisti che si limitavano a fare onestamente il loro mestiere di giornalisti o di artisti.
Niente di rivoluzionario: solo il loro mestiere, anche se è vero che in Italia solo i veri rivoluzionari fanno ancora il loro mestiere.
Ecco, lo stile è lo stesso di Craxi. Anche se Craxi non possedeva tutte le tv d'Italia: gli sarebbe piaciuto fare quel che fa oggi Berlusconi, ma non poteva. Aveva il 13% dei voti o giù di lì. All'inizio credevo anch'io
che fosse uno statista. Poi capii che era un ometto. Me ne accorsi quando, con mio grande stupore, lo sentii - lui, il presidente del Consiglio - pronunciare il nome di un comico genovese: il mio. «Chi si crede di essere Grillo?», disse. Solo un ometto poteva scomodarsi per me, abbassarsi a tanto. Fosse
stato intelligente, avrebbe detto: «C'è un birichino di Genova che mi prende in giro, ma io mi diverto moltissimo». E mi avrebbe ucciso per sempre.
Rovinato. Invece fece di me un eroe, un martire. Da quel giorno non ebbi più fans, ma parenti. Fratelli. I grandi personaggi, anche nel male, ti fanno i
complimenti in pubblico e poi te lo mettono in quel posto in privato, a tempo debito.
A freddo. Sono i mediocri, gli ometti che cadono nella trappola delle epurazioni, delle censure sfacciate e brutali, addirittura preannunciate dalla Bulgaria.
Sono i poveracci, che si sentono deboli e insicuri.
I «grandi comunicatori» che, alla terza volta che vanno in televisione, fanno scappare la gente perché non ne può più. Lasciamoli fare, si stanno autoeliminando da soli (dopodiché bisognerà occuparsi dello smaltimento delle scorie che lasceranno ... ).
E noi, intanto? Protestiamo, certo, contro il regime mediatico. Cerchiamo di perforarlo con le notizie che nessuno dà, e che sono il miglior antidoto.
Ma facciamo pure tesoro della censura per sviluppare la creatività, aguzzare l'ingegno, imparare nuovi sistemi per aggirarla. Certo, bisogna rinunciare
a qualcosa per poter dire ancora quel che si vuol dire. Certo, ora che la censura s'è fatta più brutale e scientifica, aggirarla è più difficile di prima. Anche perché la censura riesce a occultare pure la censura stessa.
Ed è difficile far capire alla gente che, in questa overdose di informazione, nessuno ci informa davvero. Era molto più facile nella Russia di Brezney,
quando c'era solo la «Pravda» e infatti il giornale più letto era il «Washington Post»: tutti sapevano di vivere nel regime della menzogna, e tutti andavano a cercarsi le notizie vere. Oggi siamo pieni di «Pravde» e le scambiamo per tanti «Washington Post». Ci manca l'informazione, ma non lo sappiamo.
Per questo, nel prossimo spettacolo, ho deciso di fare politica anch'io. Senza candidarmi. Senza dare nell'occhio. Di nascosto. L' ho fatto per tanti anni nei teatri. Ora voglio abbinare i teatri e la rete, cioè Internet.
Per fare politica senza intermediari, senza politici: quelli non servono più, sono obsoleti, superflui, cadaveri ambulanti. Non rappresentano più nessuno, nemmeno se stessi. Lancio un movimento politico che, tanto per cominciare, punta a smuovere un milione di persone. A tirar fuori il furore che c' è in loro. Lo chiameremo "A furor di popolo". Voglio un pò vedere come potranno ignorarlo. E, soprattutto, come faranno a censurarlo".
Beppe Grillo
dall'Unità - 13-01-2005
|
Dovremmo davvero essere tutti africani per capire il dramma, il sangue, le lacrime, la fame e la disperazione che si vivono quotidianamente, da decenni e da secoli in quello straordinario, enorme e dimenticato continente. E invece, da secoli e da decenni, di ciò che succede in Africa, in quella profonda e tribale, ma anche in quella che si affaccia sulla cosiddetta civiltà occidentale, non importa granché. L'Africa si «s»comunica. E quasi non esiste. Lo dicono, con una sintonia significativa, uno studio realizzato dall'università di Siena e le parole e l'impegno di un «comunicatore» singolare come Beppe Grillo che, questa sera, nell'aula Franco Romani di piazza San Francesco, dialogherà - ma monologherà anche - con gli studenti e con i docenti che nel pomeriggio discuteranno di quanta e di quale Africa viene raccontata dai media.
«L'idea di discutere di Africa - racconta Beppe Grillo - mi sembra rappresenti esattamente quello che è il nostro futuro come persone. Non possiamo non dirci coinvolti da ciò che succede là. La mia, ovviamente, sarà una testimonianza personale. Ascolterò con attenzione gli esiti della ricerca e cercherò di interagire con gli studenti. Credo che sia necessario interpretare certi segnali che ci arrivano. Siamo nel pieno della terza guerra mondiale e io faccio il partigiano».
L'osservatorio del dipartimento di scienze della comunicazione dell'università di Siena ha svolto un'anlisi quantitativa e qualitativa di due mesi di informazione italiana per capire quanto pesi sui mezzi di comunicazione un continente che conta 900 milioni di persone e oltre 50 nazioni. A illustrarla saranno i docenti Maurizio Boldrini, Giovanni Gozzini e Marcello Flores, assieme a Giulio Cederna della onlus Amref, organizzazione sanitaria in Africa, ai giornalisti Jean Leonard Touadi e Pietro Veronese e il poeta Fuzum Brham Tesfai.
Fra un paio di settimane, Beppe Grillo inizierà la tournée con il nuovo spettacolo Beppegrillo.it. Da casa sua, al telefono, Grillo accetta di rispondere a qualche domanda.
Allora Beppe, cominci dall'Africa per parlare del nostro futuro...
Diciamo che comincio dall'Africa perché è il nostro futuro, il futuro dei nostri figli, ciò che saremo. Se non capiamo certi segnali che ci arrivano, non sapremo dove andare. L'Africa non sta bene, ma nessuno sa ciò che succede nel Darfur, nel Ruanda, nessuno ha capito che è in atto la terza guerra mondiale. Nessuno lo sa per eccesso di informazione. Che è disinformazione. E di disinformazione si muore. Dobbiamo smetterla di pensare ai prodotti interni lordi, alla beneficenza “dopo”, ai messaggini sempre “dopo” e mai “prima”. Dobbiamo arrivare prima.
Ma le informazioni arrivano. Poche, ma arrivano. I media hanno raccontato i genocidi, ci sono campagne di solidarietà. La storia registra gli eventi.
In realtà credo che, riguardo al Ruanda, siamo mediati dagli hutu e dai tutsi. I media creano la sommersione di idee. E la storia non ci ha insegnato nulla. Tutto il male si ripete da secoli. E la solidarietà che facciamo a suon di spiccioli o di milioni francamente mi sembra patetica e falsa.
E allora?
E allora occorre che le gente cerchi le informazioni attraverso un altro modo, attraverso un altro mediatore. Lo sta già facendo, per fortuna, e mi sento abbastanza ottimista. Credo che il nuovo modo sia la rete. Ovviamente ci sono pericoli anche qui: le multinazionali, le spa, le finestre globali che qualcuno gestisce e determina, ma ho fiducia. Diciamo che ho più fiducia di prima perché nella rete io agisco con qualcun altro. E mi sento di dare un consiglio ai politici: fate un programma in rete.
Parli dei politici perché forse li ritieni una categoria di intermediazione tra la gente e i problemi?
Dovrebbe essere così. Ma non è così. Il politico sguazza e saltella, ma non esce dal laghetto. Invece, dovrebbe osservarsi e capire che la rete lo sta by-passando. Pensa a quell'immagine del ministro degli esteri Fini al banchetto dei dispersi dello tsunami. Ha raccontato cose che la gente sapeva già da tempo da internet. La gente si era mossa già prima.
Quindi se la politica non si adegua ai nuovi strumenti è fuori gioco?
In un certo senso sì. Non siamo ancora a quel punto cruciale. Ma con la rete, gli sms, i blog, le riunioni interattive e quando la tecnologia sarà un po' più semplice ancora, ecco, la gente avrà un motore straordinario di civiltà.
E i politici non avranno più senso?
Avranno senso se riusciranno a capire cosa significa pluralismo e democrazia. Adesso sono dei pubblicitari, ingannano con la parola come Goebbels, che diceva che il lavoro rendeva liberi e lo faceva scrivere sui campi di concentramento... Tieni conto che io penso che la parola pubblicità sia buona perché evoca il pubblico. Ma ora è l'opposto: è «privatità». Uno che si fa le leggi per se stesso e per gli amici, eccetera eccetera. Già negli anni Trenta i nazisti fecero la campagna contro il fumo e contro l'amianto e i tumori già si conoscevano e c'era già il mito dello stare in forma. E poi il guarire, e l'ebreo come tumore da estirpare... No, ragazzi, non conosciamo la storia e la storia si può ripetere. Per questo io faccio il partigiano. Riceviamo un’overdose di informazioni, ma siamo abbastanza incapaci di intendere e di volere. Stiamo nel comma 22 e siamo sempre allo stesso punto: chi è pazzo può essere esonerato dalle missioni, ma chi chiede di essere esonerato dalle missioni non può essere pazzo....
Sei, però, più ottimista: l'hai detto prima.
Decisamente più ottimista. Ho scovato quella che può essere una soluzione: le reti, nella produzione energetica e nell'informazione. Piccole microproduzioni, che generano scambi, così nell'energia, come nei blog. È ovvio che sia necessario stare molto attenti. Perché il nostro governo di marketing è basato sulle parole. Se, in una legge sui diritti d'autore e internet, cambiano la parola lucro con profitto posso rischiare quattro anni di carcere quando scambio un file con un altro. Ma la strada è questa, non esiste altra possibilità. I media non informano, passano ciò che passa il convento, lo spirito critico non esiste, ci resta solo la rete. Usiamola bene. La democrazia è essere in due, uno di là e uno di qua, per scambiarsi le idee.
|
claudio - 19-01-2005
|
condivido l'intento del comico genovese: l'unico modo per far aprire gli occhi alla gente, di fronte a questa dipendenza mediatica, è fondare un movimento politico come sembra voglia fare Grillo, approfittando delle infinite potenzialità di internet. E allora Grillo for president!
PS Ma lui, fino a pochi anni anni fa, non era scettico su internet? |