Educazione cristiana
Gianni Mereghetti - 12-01-2005
A proposito del dibattito sui bambini ebrei ospitati in Francia durante la guerra da famiglie o istituzioni cattoliche

Il 28 dicembre il «Corriere della sera» ha pubblicato un documento del Sant’Uffizio, avallato da Pio XII, che interveniva sulla questione dei bambini ebrei ospitati presso istituzioni cattoliche o famiglie francesi durante la seconda guerra mondiale. A partire da quella pubblicazione si è aperto un dibattito che ha visto numerosi intellettuali intervenire e tra questi Alberto Melloni, Amos Luzzatto, Vittorio Messori, Andrea Tornielli, Peter Gumpel, Giovanni Miccoli, Riccardo Di Segni, Emma Fattorini, Anna Foa, Renato Moro, Daniel Jonah Goldhagen, Lucetta Scaraffia, Giorgio Rumi, Ernesto Galli della Loggia, Claudio Magris. La maggior parte degli interventi ha portato sul banco degli imputati la Chiesa e in particolare il pontefice di allora Pio XII, colpevoli di antisemitismo. Quasi tutti i commentatori però sono incorsi in un errore, perché, al posto di cercare di comprendere le ragioni per cui la Chiesa ha messo in campo una fondata preoccupazione nei confronti di ognuno dei bambini ebrei salvati dall’Olocausto e alcuni dei quali battezzati, ha guardato il tutto con gli occhi del pregiudizio: infatti che aspettarsi di buono da una Chiesa preconciliare, tanto più se guidata da un Papa come Pio XII? Diversa avrebbe dovuto essere la modalità con cui affrontare una questione, com’è questa dei bambini ebrei: don Luigi Giussani nel libro “Perché la Chiesa”, analizzando altre vicende storiche che hanno visto implicata la comunità cristiana, ha indicato a chiare lettere quale debba essere il metodo corretto in simili situazioni: “una minima sensibilità storica – ha scritto - impone di collocare le affermazioni che si prendono in esame nel contesto del tempo in cui sono state pronunciate e di considerare tutte le circostanze che le hanno motivate”.

Sarebbe quindi ora, dopo tanti articoli carenti di criticità, individuare le ragioni storiche che hanno spinto la Chiesa a preoccuparsi del destino di ognuno dei bambini ebrei ospitati in Francia dai cattolici, rifiutando facili soluzioni meccaniche, come quella di restituirli tout court alle comunità ebraiche.

La ragione è molto semplice, è che la Chiesa non ha considerato i bambini ebrei, che i cattolici avevano salvato dall’Olocausto, come un insieme razziale, a cui applicare una prescrizione comune, in questo caso la restituzione - spesso non si sapeva nemmeno a chi perché i genitori erano stati uccisi. Per la Chiesa la situazione di ogni bambino doveva essere valutata e affrontata come caso a sé stante, allo scopo di trovare la soluzione migliore per ognuno di loro. Questo comportamento, lungi dall’essere antisemita e preconciliare, era invece ispirato ad uno dei fattori sempre presenti nella vita della Chiesa, il valore incommensurabile della persona umana. Del resto è anche per questo che la Chiesa era preoccupata dell’educazione cristiana dei bambini che erano stati battezzati, perchè la libertà di coscienza di quei bambini non era data solo dal loro essere ebrei, ma implicava anche il legame con le persone che li avevano accolti - si doveva quindi tenerlo presente, altrimenti si sarebbe compiuta una grave violenza nei loro confronti.

Se stato commesso un errore, e non dalla Chiesa in quanto tale, è stato nel caso in cui bambini ebrei siano stati battezzati senza il consenso dei genitori, laddove vivi. Infatti in questo caso si sarebbe lesa la libertà di coscienza, in quanto la Chiesa battezza i bambini, non ancora in grado di un gesto pienamente consapevole, per la domanda che ne fanno i genitori e la libertà di coscienza si afferma proprio per tale legame.

Quindi la Chiesa di Pio XII, in coerenza con i principi cristiani, si è mossa in quella particolare circostanza del dopoguerra in Francia con uno scopo ben preciso, quello di garantire una giusta destinazione ad ognuno dei bambini ebrei ospitati da cattolici: è stato il valore primario e insopprimibile della persona umana all’origine delle sue prescrizioni, e non l’antisemitismo!

Da ultimo che ogni occasione sia buona per svalutare la personalità di Pio XII è quanto di più inaccettabile ci possa essere in un contesto culturale, tanto più che a Papa Pacelli è già stato riconosciuto da personalità dello stesso mondo ebraico ciò che “aveva fatto personalmente o attraverso suoi rappresentanti per salvare centinaia di migliaia di vite di ebrei”. (NOI RICORDIAMO: UNA RIFLESSIONE SULLA SHOAH, 1998, Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo).





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 Redazione    - 11-01-2005
Crediamo che sia giusto - al fine dello sviluppo di un dibattito consapevole ed il più possibile pluralista - proporre, alla cortese attenzione dei lettori di frg, la lettura del testo iniziale pubblicato sul Corsera al quale si fa riferimento in questa nota e le reazioni che si sono succedute.


Una disposizione del Sant'Uffizio, datata ottobre 1946, rivela nuovi aspetti di una vicenda dolorosa.

Pio XII a Roncalli: non restituite i bimbi ebrei

Ma il futuro Giovanni XXIII disattese gli ordini giunti da Roma e favorì il ritorno a casa dei minori accolti nei conventi francesi


Chi augurerà buon anno a Charles de Gaulle il 1° gennaio 1945? Questa domanda, apparentemente sciocca, angoscia Pio XII nel dicembre 1944 e segna uno snodo importante per la politica vaticana di allora e dei decenni successivi. Nella Parigi liberata di quei mesi si va infatti ricostituendo il rituale civile, a partire dagli auguri che il corpo diplomatico porge al capo di Stato. Per tradizione tali voti augurali venivano letti dal nunzio, decano del corpo diplomatico in Francia. Ma per il Capodanno del 1945 il nunzio ancora non c’è. De Gaulle ha fatto cacciare monsignor Valeri, disponibile al dialogo col regime collaborazionista di Vichy. Nominare un nunzio vuol dire riconoscere il diritto di de Gaulle a epurare la Chiesa; ma non nominarlo significa cedere all’anziano ambasciatore dell’Urss il diritto di pronunciare il discorso dell’Eliseo - e per Pio XII questo sarebbe un immeritato regalo a Stalin. La questione non è protocollare.

La cartina d’Europa del Capodanno 1945 racconta di destini imminenti e fatali. Per ciascun Paese è vicina la vittoria, la vendetta, la catastrofe, la libertà, la rinascita, la divisione. E il Vaticano deve riposizionare se stesso, dopo che alcuni capisaldi prima scontati (l’indulgenza verso il confessionalismo autoritario, l’anticomunismo ideologico, il pregiudizio antisemita, la diffidenza per la democrazia liberale) si sono rivelati radici della tragedia bellica. Ma la Chiesa può accettare una politica che adotti la democrazia nella sfida al comunismo e la rottura col nazifascismo come principio da cui essa stessa non è esentata? E a rovescio: può la Chiesa rinunciare a vivere il futuro dell’Europa per limitarsi al rimpianto d’un passato inglorioso? Questo è il groviglio in cui sono impigliati gli auguri a de Gaulle del Capodanno 1945.
Pio XII taglia quel nodo con una mossa personale e audace. Piglia da Istanbul, ultima retrovia della politica estera pontificia, un diplomatico di basso rango e, contro il parere di molti suoi collaboratori, lo manda a Parigi.

Monsignor Angelo G. Roncalli, un bergamasco fino a quel momento sconosciuto ai più, ma non agli ebrei che aveva aiutato a fuggire verso la Palestina, sale così al primo posto della diplomazia vaticana.

Il suo compito è arduo: il ministro degli Esteri Georges Bidault, proprio perché cattolico, è il più intransigente nel pretendere la testa di molti vescovi accusati di collaborazionismo; il ricomporsi politico della nazione coincide con una rinascita impetuosa della ricerca teologica che Roma guarda male; e mille questioni - dal processo di Norimberga alla nascita dell’Unesco, dalla conferenza di pace alla nomina di nuovi vescovi - bussano alla sua porta. Che Roncalli se la cavi con buon successo era già noto. Ma ora possiamo capire molti dettagli inediti, perché con il volume Anni di Francia. Agende del nunzio Roncalli 1945-1948 , Étienne Fouilloux, uno dei massimi storici francesi, pubblica le fitte note quotidiane di quel periodo.

Esse svelano poco dell’uomo Roncalli (che con un filo di ironia trema dei successi del Pci a Sotto il Monte, suo paese natale), ma dicono molto dei dilemmi che attraversano la politica vaticana. Il cattolicesimo francese, infatti, è stato su tutti i fronti: ha collaborato e ha resistito; chiede un ricambio e offre copertura; pensa vie nuove teologico-politiche e sporge le denunzie al Sant’Uffizio. Roncalli si muove fra questi scogli con studiata lentezza, che i testi inediti documentano ora per ora. È un nunzio fedele alla politica di Pio XII, ma ha una sua sensibilità e una sua storia.
È così per la Shoah. Roncalli, appoggio sicuro negli anni d’Istanbul per il rabbinato e per l’Agenzia ebraica, trova a Parigi un ambiente attento e attivo: nella capitale francese Jules Isaac sta promuovendo la rete di intellettuali che redigerà i «punti di Seelisberg», coi quali si chiedeva alla Chiesa di ripudiare ogni variante dell’antisemitismo; da Parigi passa il gran rabbino di Palestina Herzog, per cercare di ottenere che vengano restituiti alle organizzazioni ebraiche i bambini salvatisi nelle case e nei conventi cattolici.

Roncalli, racconta l’ Agenda , riceve il rabbino Herzog nel 1946 come un amico e, con una lettera del 19 luglio, lo autorizza «ad utilizzare della sua autorità presso le istituzioni interessate, di modo che ogni volta che gli fosse stato segnalato, questi bambini potessero ritornare al loro ambiente d’origine». Tuttavia (come rivela uno straordinario documento, parte dell’apparato del secondo tomo delle Agende di Francia , che i lettori del Corriere possono leggere in anteprima) al nunzio arrivano nello stesso 1946 istruzioni elaborate dal Sant’Uffizio e approvate da Pio XII. Al nunzio Roncalli, la cui fraternità con gli ebrei in transito dalla Turchia non era passata inosservata, si trasmettono ordini agghiaccianti: non deve dare risposte scritte alle autorità ebraiche e precisare che «la Chiesa» valuterà caso per caso; i bambini battezzati possono essere «dati» solo a istituzioni che ne garantiscano l’educazione cristiana; i bambini che «non hanno più i genitori» (proprio così!) non vanno restituiti e i genitori eventualmente sopravvissuti potranno riaverli solo nel caso che non siano stati battezzati...
Alcune delle vicende su cui queste disposizioni cadono si risolveranno felicemente, ma non tutte.

Di casi di sottrazione dei bambini ebrei - repliche del caso Mortara dei tempi di Pio IX nella Francia del dopoguerra - non c’è per ora un censimento, se non nella memoria ferita delle vittime di questa tragedia umana e spirituale. Nemmeno Roncalli ne annota in dettaglio gli sviluppi, abile com’è nel filtrare tutto in uno stile ecclesiastico apparentemente impassibile. Ma è difficile credere che questi episodi non siano alla base della sua risposta positiva a Jules Isaac, che nel 1960 gli chiede di aprire una riflessione sui punti di Seelisberg: quando nel 1955 Isaac li aveva portati a Pio XII, il Papa gli aveva detto «li appoggi su quel tavolo», quasi a marcare un abisso fisico fra due umanità; quando nel 1960 li porterà a Giovanni XXIII, questi li accoglierà e farà iscrivere il ripudio degli antisemitismi nell’agenda del Concilio Vaticano II.

Decisione capitale, perché diceva a tutti che la Chiesa non vive immacolata negli orrori della storia, ma ne è parte, nel bene e nel male; diceva che nell’Europa senza più innocenza del secondo Novecento il futuro non vive di mitologie del sé, ma di una memoria umile e sincera, radice d’indispensabile cambiamento, anima della speranza nel tempo.

Alberto Melloni

Corriere della Sera 28 dicembre 2004



IL DOCUMENTO

«I piccoli giudei, se battezzati, devono ricevere un’educazione cristiana»

Pubblichiamo la traduzione dall’originale francese del documento, datato 20 ottobre 1946, che fu trasmesso dal Sant’Uffizio al nunzio apostolico Angelo Roncalli. L'originale si trova presso gli Archivi della Chiesa di Francia.


A proposito dei bambini giudei che, durante l’occupazione tedesca, sono stati affidati alle istituzioni e alle famiglie cattoliche e che ora sono reclamati dalle istituzioni giudaiche perché siano loro restituiti, la Congregazione del Sant’Uffizio ha preso una decisione che si può riassumere così:

1) Evitare, nella misura del possibile di rispondere per iscritto alle autorità giudaiche, ma farlo oralmente
2) Ogni volta che sarà necessario rispondere, bisognerà dire che la Chiesa deve fare le sue indagini per studiare ogni caso particolare
3) I bambini che sono stati battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l’educazione cristiana
4) I bambini che non hanno più i genitori e dei quali la Chiesa s’è fatta carico, non è conveniente che siano abbandonati dalla Chiesa stessa o affidati a persone che non hanno alcun diritto su di loro, a meno che non siano in grado di disporre di sé. Ciò evidentemente per i bambini che non fossero stati battezzati
5) Se i bambini sono stati affidati (alla Chiesa) dai loro genitori e se i genitori ora li reclamano, potranno essere restituiti, ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo.

Si noti che questa decisione della Congregazione del Sant’Uffizio è stata approvata dal Santo Padre.

Corriere della Sera

Da leggere anche il commento di Amos Luzzatto

quello di Vittorio Messori

e quello di Pietro De Marco

La "querelle" così come la interpreta il quotidiano l'Avvenire che rimprovera al Melloni grossi svarioni in merito alla traduzione del documento pubblicato dal Corriere. Secondo il quotidiano cattolico Melloni ha sbagliato la data, l'ha attribuito al Sant'Uffizio e ha omesso tutta una serie di dati utili. Non ha detto, ad esempio, che il foglio manca del seguito e si interrompe senza che vi appaia alcuna firma. Non ha detto che è dattiloscritto su carta semplice. Non ha detto che reca l'intestazione (anch'essa dattiloscritta) della nunziatura apostolica di Francia; e come luogo e data dà "Paris le 25 octobre 1946". Non ha detto che in cima al foglio appaiono degli appunti a penna che accennano a una successiva trasmissione di quel testo al cardinale Gerlier, arcivescovo di Lione.
Insomma un documento tutto ancora da verificare e sul quale - c'è da scommetterci - si polemizzerà a lungo.

Per seguire l'intero dibattito che si sta svolgendo sul Corriere



 Pierangelo    - 11-01-2005
Gianni, hai fatto un titolo così lungo da fare impallidire Lina Wertmuller.

Gianni, ma toglimi una curiosità, non esiste argomento al mondo sul quale non sia intervenuto don Luigi Giussani in un qualche suo scritto?

Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita. Ma un bambino ebreo non lo posso battezzare contro la volontà dei suoi genitori, se viventi, e a maggior ragione non lo posso sradicare dalla comunità ebraica se i genitori sono morti. Oggi, dopo il Concilio, solo l'idea ci fa rabbrividire. Ma anche Pio XII, al quale non possiamo fare una colpa del suo essere preconciliare, sembra che non si fosse rammentato delle avventurose conseguenze scaturite da un'altra "amorevole adozione internazionale" di un bimbo ebreo di nome Mosè.
E se certi atteggiamenti nei confronti degli Ebrei non fossero stati sbagliati, allora che senso ha secondo te che il Papa in persona sia andato a chiedere perdono nella sinagoga di Roma?

 Irene Baule - insegnante del 1° Circolo di Alghero (SS)    - 16-01-2005
Mereghetti scrive:<... la Chiesa non ha considerato i bambini ebrei, che i cattolici avevano salvato dall’Olocausto, come un insieme razziale, a cui applicare una prescrizione comune, in questo caso la restituzione - spesso non si sapeva nemmeno a chi perché i genitori erano stati uccisi. Per la Chiesa la situazione di ogni bambino doveva essere valutata e affrontata come caso a sé stante, allo scopo di trovare la soluzione migliore per ognuno di loro. Questo comportamento, lungi dall’essere antisemita e preconciliare, era invece ispirato ad uno dei fattori sempre presenti nella vita della Chiesa, il valore incommensurabile della persona umana>
No, mi dispiace. TUTTI sapevano benissimo PERCHE' erano stati deportati e "fatti sparire" gli ebrei: Se non bastassero i libri e i documenti, a casa questi racconti erano e sono patrimonio della famiglia, perchè entrambi i miei genitori avevano visto un giorno "spostare" i compagni di classe in un'altra scuola, e mia madre con altre compagne aveva preso parte all'espatrio clandestino in Svizzera di diverse compagne. TUTTI sapevano. Forse facevano finta di non sapere.
E' questa è esattamente la storia dei piccoli nativi americani strappati alle tribù dei "selvaggi" per essere battezzati, REDENTI e cresciuti nei collegi religiosi... solo un secolo di differenza.
Il genocidio degli ebrei non è riuscito solo perchè (a differenza dei nativi americani) qualcuno di loro aveva molti soldi... MOLTI.

 ilaria ricciotti    - 19-01-2005
Pierangelo ed Irene, naturalmente concordo con voi.
La storia e le testimonianze ancora viventi sono chiare a riguardo. Basta leggerle o interrogarle senza faziosità.