breve di cronaca
Il manager? Faceva il capoclasse
Repubblica - 07-01-2005

Il sondaggio inglese rivela che il 90% degli attuali capitani di industria già da piccolo era sicuro di sé, ambizioso carrierista. Insomma, un leader
Il manager? Faceva il capoclasse
Il "Financial Times": la voglia di successo comincia dall´infanzia
I vincenti di oggi tenevano testa agli insegnanti, fascinosi e brillanti
Il 65% afferma che fin da bambino preferiva guidare che essere guidato


di ENRICO FRANCESCHINI


LONDRA - C´è sempre un leader incontestato nei nostri ricordi di scuola: il compagno che puntualmente veniva eletto capoclasse, quello che faceva per acclamazione il capitano nella squadra di calcio o di basket o di pallavolo, non necessariamente il tipico «primo della classe» secchione e con i voti migliori, ma sicuramente il più brillante, simpatico, estroverso, capace di affascinare i coetanei e tenere testa agli insegnanti, di primeggiare nello sport o almeno di dare questa impressione.
Di tipi così, ce n´è stato almeno uno in ogni classe di tutti i tempi e di tutte le latitudini, il ragazzo (o la ragazza) di cui professori e genitori dicevano con ammirazione: «Si vede già che avrà successo nella vita». Ebbene, avevano ragione. Uno studio pubblicato in prima pagina dal "Financial Times" rivela che il 90 per cento dei «capitani d´industria», ossia degli uomini (e delle donne) oggi alla guida delle maggiori aziende in Gran Bretagna, ricoprivano due o più incarichi rappresentativi, di comando e di prestigio nella scuola della loro adolescenza. Erano insomma, fin da giovanissimi, dei leader naturali, piccoli carrieristi, ambiziosi e vincenti.
Il quotidiano della City dà risalto alla notizia perché essa conferma, dati alla mano, un diffuso luogo comune: secondo cui la leadership non sarà scritta nei nostri geni, ma si mette in mostra molto chiaramente in un´uniforme scolastica. Commissionato da una società di consulenze internazionale all´istituto di statistica Mori, il sondaggio ha interpellato oltre cento dirigenti d´industria britannici, dando loro la garanzia di mantenere l´anonimato; e i grandi manager, in genere riluttanti ad ammettere in pubblico una smodata ambizione giovanile, stavolta confidano con candore i loro «ricordi di scuola».
I risultati sono statisticamente impressionanti: il 70 per cento erano capoclasse, il 23 per cento caposcuola, il 37 per cento moderatori di dibattiti scolastici, il 50 per cento capitani di squadre agonistiche di vari sport, dal calcio al rugby al cricket, il 34 per cento presidenti di club scolastici, il 28 per cento protagonisti di commedie, concerti o musical messi in scena dalla scuola, il 25 per cento capi di qualche associazione extra - scolastica come i Boy Scouts. Ed erano anche perfettamenmte consapevoli del perché e del come potessero occupare quelle prime «poltrone» della loro carriera: il 65 per cento afferma che fin da allora preferiva «comandare e guidare anziché essere guidato», il 59 per cento ammette di essere sempre stato «molto ambizioso», una minoranza intorno al 15 per cento si assegna la parte dell´eroe riluttante, «lo facevo perché nessun altro si candidava a farlo», soltanto il 10 per cento si descrive come uno studente solitario, poco appariscente, senza il desiderio di eccellere.
Appena il 5 per cento degli odierni capitani d´industria ammette di essere «sorpreso» di avercela fatta: tutti gli altri se l´aspettavano, realizzando dunque - più o meno - le proprie aspirazioni giovanili.
Illuminanti, al riguardo, sono le loro parole: «A scuola mi facevo notare semplicemente perché ero il più svelto, il più bravo in tutto». Un altro: «Ero un piccolo figlio di puttana che otteneva sempre ciò che voleva». Un terzo: «Ero molto maturo per la mia età, determinato, sicuro di me». E ancora: «Ci tenevo a fare il capoclasse, per distinguermi e per gratificazione personale». Naturalmente è vero che le scuole inglesi, in particolare quelle private e di elite, sono un po´ diverse dalle scuole italiane o di altri paesi occidentali.
Ma almeno in parte lo studio del "Financial Times" vale per tutti: in fondo il deamicisiano Ernesto Derossi, primo della classe di «Cuore», non era molto differente dagli ex-capiclasse ed ex-capisquadra interpellati dal sondaggio inglese.



L´intervista all´industriale Anna Maria Artoni
"Più che capo mi sentivo un coach"
Un gioco
Bisogna saper rischiare come in un gioco e metterci passione


di ALESSANDRA RETICO

ROMA - Timida, e non si direbbe guardando dov´è. Eppure è la prima cosa che dice di sé oltre al fatto «che sin da piccola ero assolutamente convinta che avrei avuto un ruolo, e importante, all´interno dell´azienda di famiglia». Anna Maria Artoni, presidente dei giovani imprenditori di Confindustria oltre che titolare di una serie di incarichi di alto profilo, racconta il suo percorso di formazione verso i vertici dell´industria italiana.

Leader sin dai banchi di scuola?
«Rappresentante di classe per un anno, sì. Un ruolo che mi dava modo di esprimere quella che sin da allora è una mia caratteristica: essere, più che "capo" in senso classico e autoritario, coach di una squadra, trascinatore e catalizzatore di passioni. Nel mio lavoro conta sentire il fuoco e saper rischiare, aprirsi ai contributi di tutti, specie se diversi. Proprio come nel gioco».

Un destino segnato per indole o anche per tradizione familiare?
«Essere "figlia di papà" anche per me, come per altri, è stato un vantaggio e uno svantaggio. Avere la strada aperta, una fortuna. Ma quando devi confrontarti e possibilmente superare un modello, nel mio caso paterno, significa guai. Imitarlo non mi avrebbe fatto crescere. Valorizzare la mia personalità, essere timida ma anche molto determinata, ha liberato le mie energie».

Domanda classica: l´essere donna e giovane e grande manager, è stata ed è una difficoltà?
«Da bambina no, mi consentiva anzi di mimetizzarmi. Col passare degli anni qualche ostacolo in più. Ma oggi anche le donne, se valgono, arrivano dove vogliono».
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 Anna Di Gennaro Melchiori    - 10-01-2005
Amarcord...anch'io fui eletta capoclasse dalle mie compagne all'Istituto magistrale Carlo Tenca della mia città: Milano. Sono sempre stata tuttavia piuttosto riservata e non ho mai saputo o voluto recitare!
La vita riserva certe sorprese...
Anna Di Gennaro