breve di cronaca
Il feroce mantovano
L'unità - 04-01-2005
Chi è veramente quel misterioso figuro, d’origine Mantovana, sbucato in Piazza Navona a Roma, tra presepi e pastorelli, per lanciare un trespolo contro il presidente del Consiglio? Un atto esacrato ed esacrabile che ha sollevato emozione e sdegno dalle Alpi alle Piramidi. Tutto il mondo ne parla e la tragedia asiatica si è dissolta.

Giornali, radio, televisioni sono invasi da dibattiti, riflessioni, denuncie. Emilio Fede si strappa i capelli tutte le sere. C’è chi sostiene che quel trespolo era in realtà un terribile mitra Kalashnikov camuffato. C’è chi ha visto nel terribile Mantovano una riedizione dello studente serbo Gavrilo Princip, quello dell’attentato di Sarajevo che col suo gesto provocò la prima guerra mondiale. Ora non basteranno certo le scuse. L’uomo di Piazza Navona dovrà arruolarsi tra i mille giovani al servizio della casa delle Libertà, chiamati ad affossare nelle elezioni ogni pretesa della sinistra. Non per denaro, certo. Per una spinta insopprimibile. Missionari, non mercenari.

Altri però, con disonesta malvagità, vedono, invece, nell'attentatore, una specie d’Enrico Toti (non Totti come potrebbe pensare qualche romanista). Alludono all’eroe (o presunto tale) volontario dei bersaglieri ciclisti che a Monfalcone il 6 agosto del 1916 “quantunque privo della gamba sinistra”, colpito a morte da un proiettile “con esaltazione eroica, lanciava al nemico (austriaco) la gruccia e spirava baciando il piumetto”.

Tali esaltatori fomentano una forsennata campagna d’odio. Non a caso autorevoli esponenti della sinistra hanno raccomandato l’uso di parole non altisonanti. Imprese come quelle del Mantovano, tra presepi e pastorelli, non avrebbero luogo se si usasse un linguaggio dolce, mellifluo, nei confronti dell’interlocutore politico, ovverosia il presidente del Consiglio, persona amabile ed ispirata da alti sentimenti di bontà.

Ora lui, Silvio, leggiamo sui giornali, è rimasto molto amareggiato. Non tanto però, per quell’infame trespolo. C’è stato un dopo e un prima. Il dopo era impersonato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che la sera di Capodanno non aveva dedicato nemmeno una parola a quel tragico fatto. Non solo: aveva dato un’immagine distorta del Paese, elencando numerosi problemi economico-sociali.

E c’era stato il “prima”. Quando Silvio, a pochi secondi dall’odiosa aggressione (così leggiamo nelle pagine di Cronaca del “Corriere della sera”) si era avvicinato ad un banco tra la folla e aveva chiesto “Come vanno gli affari?”. La venditrice aveva risposto: “Mica tanto bene. Nessuno ha più una lira da spendere”. Ecco: qui è sceso il manto di tristezza sul Premier.

Perché aveva capito che nessuno si era accorto della sua Italia cambiata, rispetto ai tempi cupi del centrosinistra. Con i pensionati che ora vivono allegramente, con i metalmeccanici che se la spassano con salari favolosi, con le zucchine al mercato che costano pochi centesimi, con i giovani che possono saltellare con comodità da un lavoro all’altro.

Gli italiani non sanno nulla. Il risentimento, i gesti efferati nascono, più che dalle campagne d’odio, da questa totale ignoranza. Urge mettere a disposizione del Premier un qualche canale televisivo.

Bruno Ugolini

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 Pierangelo    - 04-01-2005
da Repubblica del 4.1.2005

LAPSUS

TREPPIEDE
di STEFANO BARTEZZAGHI

Già un microfono, all´epoca del suo primo incarico, ruppe un dente all´attuale premier. In una sorta di nemesi mediatica ora è stato vulnerato da un treppiede, utile e normalmente inoffensivo accessorio per foto e videocamere.
Curata con rapidità la nuca presidenziale, la mascalzonata di piazza Navona ha avuto conseguenze soprattutto verbali: certo non le peggiori immaginabili. Nel sollievo bipartisan si fanno strada maliziosi tentativi analogici fra il treppiede di Dal Bosco e la stampella di Toti. Enigma: qual è l´animale che cammina con quattro zampe a mattino, con due a mezzogiorno e con tre alla sera, chiedeva? Mentre Toti seguiva l´indicazione della Sfinge e aggiungeva la stampella alla sua insufficiente coppia di gambe naturali, nella sera romana Dal Bosco, ebbro non del patriottismo di Toti (o non solo di quello) scagliava edipicamente tre gambe tutte artificiali contro il sovrano. Il treppiede si è trovato così a essere l´oggetto improvvisamente animato che si installa fra il bipede e il quadrupede: e ora fiorisce nella satira e nella chiacchiera un tripudio di treppiedi sotto gli occhi trepidanti di Tripodi (così si chiama l´avvocato che difende l´aggressore).


La politica nel treppiedi
di FRANCESCO MERLO

La confutazione del berlusconismo non può essere fatta a colpi di treppiedi, a meno che non si voglia lasciare la politica agli squilibrati. Non ci pare infatti un campione d´equilibrio chi assume il treppiedi come interlocutore della politica. Calderoli, Gasparri, Bondi e i giornali della destra denunciano l´esistenza di una linea di filiazione diretta dalla falce e martello al treppiedi. È un´idiozia. E sfidiamo Sandro Bondi, che è un ex compagno, a trovare nelle bibliografie della filosofia classica tedesca una sola riga, fosse anche a piè di pagina, dove si sostiene che il treppiedi è la critica delle armi, lo strumento per la conquista di Palazzo Chigi.
Al contrario quel colpo di treppiedi non merita nessuna attenuante perché l´intrusione della stupidità in politica rende dignitosa anche la politica più indegna. Infatti l´Italia per bene, di destra e di sinistra, sta dalla parte della nuca di Berlusconi e non dalla parte del treppiedi.
Malauguratamente le sinistre a tre piedi, di Rosy Bindi, dei verdi Pecoraro Scanio e Paolo Cento, dei comunisti Oliviero Diliberto e Marco Rizzo, del girotondino Pancho Pardi, e purtroppo anche quella del poeta Mario Luzi stanno lavorando per l´inamovibilità di Berlusconi dalle massime cariche istituzionali della repubblica. Subire violenza è infatti il modo più sicuro per purificarsi.
Il treppiedi rende familiare e simpatico persino Berlusconi, quel cerotto ne fa una figura fuori dal luogo e dal tempo, una nostra abitudine, un caro difetto nazionale, un Cristo che va protetto dagli squilibrati.
In questo senso il treppiedi di Capodanno è più istruttivo di un seminario sulla demagogia, più formativo di un corso di laurea sul giornalismo, più utile di una scuola per attori. Sicuramente ci sta aiutando a rendere più chiare certe cose oscure. Innanzitutto che c´è ancora un pezzo di Italia di sinistra che, affascinata e sedotta dal mito allegro del giustiziere popolare, condanna e al tempo stesso assolve il muratore di Mantova, cattivo per bene, violento per ingenua bontà, balordo al servizio della legge, una specie di Charles Bronson in sedicesimo che avrebbe ceduto alla pulsione collettiva del treppiedi, a un istinto ignobile al servizio di una causa nobile. Mario Luzi, poeta finissimo e senatore a vita, è l´uomo che, più di tutti, persino più degli autori dei mille sms futuristi che hanno invaso i nostri telefonini, sta esprimendo quest´Italia che vorrebbe fare le cose che non si fanno, assapora il gusto del cattivo gusto e la ragione dell´irragionevole, si identifica nel cazzotto che non osa dare, nella lezione che vorrebbe impartire, nella violenza che non riesce a liberare. Per Luzi infatti Berlusconi «se l´è cercata», «provoca», «fa come Mussolini che si mise un cerotto sul naso»; e poi: «il treppiedi non è un´arma», «in questo clima prima o poi accadono certi episodi»?
Ebbene, intervistato dal Messaggero, Luzi con queste sue licenze poetiche più che corrodere Berlusconi, lo corrobora. Fuori dalla politica infatti Berlusconi va affrontato con la fantasia, l´allegria, la spiritosaggine, la battuta sarcastica e non certo con il treppiedi.
A molti può venire voglia di prendere a pedate un avversario politico. Anche Togliatti promise calci nel sedere a De Gasperi. La politica ammette le intemperanze verbali, le iperboli, le più grosse sparate. Ma nessuno in nome della battuta di Togliatti cercò davvero di infliggere a De Gasperi gli scarponi chiodati.
È sicuramente vero che il clima politico si sta arroventando, ed è giusto così visto che stiamo andando verso le elezioni, ma mai Fassino ha detto «armatevi di treppiedi e colpite Berlusconi» e non è certo di sinistra questo ambiguo sentimento di ripulsa e di attrazione per l´aggressione solo perché, alla fine, la violenza, risolvendosi in un cerotto, somiglia allo sberleffo, alla caricatura di un vero attentato, a un agguato da barzelletta. Un treppiedi sulla testa non è una pernacchia, non è come la cacca sulla porta di casa, non è come quel «buffone!» che fu gridato nel corridoio di un tribunale. Insomma qui poteva anche finire male.
Ma l´Italia di oggi è il trionfo di tutti i futurismi. Un premier elegantemente misurato avrebbe minimizzato e avrebbe ammesso che la politica non c´entra con quel treppiedi invece di scatenare i Calderoli, i Bondi, i Gasparri e tutti i suoi giornali e telegiornali contro la sinistra. E avrebbe fermato sul nascere la solita aggressione contro il giudice, il gip Barbara Callari, che di sicuro, in questo caso, ha agito in maniera tecnicamente irreprensibile anche se un paio di giorni in galera avrebbero forse risarcito il buon senso e la misura. Un premier sobrio e responsabile avrebbe persino riso di quel cerotto perché è lui l´unico che poteva riderne, il solo legittimato a sdrammatizzare. Invece ha spinto i suoi deputati dobermann a proporre una legge ad hoc per la propria protezione. In questo senso Berlusconi è come il suo attentatore. Entrambi infatti non riconoscono che quella legge esiste, che la legge italiana già protegge l´incolumità fisica di Berlusconi come di chiunque altro. L´attentatore non vede quella legge perché crede di fare una cosa lecita picchiando il premier, e il premier non la vede perché crede di doverne fare approvare una che lo difenda sempre e comunque, come se una legge speciale potesse arginare le onde anomale o i gesti inconsulti, i capricci della natura o gli squilibri della mente.
La nonna, che nelle atmosfere familiari più arroventate, ci invitava all´esercizio del buon senso e della misura, ammoniva che bisogna stare con due piedi in una scarpa. Oggi con tre piedi.

 Pierangelo    - 06-01-2005
da Repubblica del 6.1.2005

L´AMACA
di MICHELE SERRA

Manca solo un intervento dell´Accademia della Crusca che dica, infine, se è più corretto dire treppiede o treppiedi. Per il resto, niente ci è stato risparmiato dopo il raptus idiota di un bravo ragazzo un po´ brillo, fino alla conclusione che ha visto l´innegabile e ovvio trionfo del premier. Il quale ha il merito non solo e non tanto di avere riportato il gesto alla sua portata effettiva - un colpo di fesseria che si risolve con un colpo di telefono - quanto per avere interrotto il profluvio di commenti scombiccherati, alcuni decisamente fuori di testa.
A destra c´è chi ha invocato l´ergastolo per procurato cerotto, come se il treppiedista fosse Gaetano Bresci. A sinistra c´è chi ha paragonato l´offesa patita dal coppino di Berlusconi a quelle inferte da Berlusconi stesso alla Costituzione (ma che accidenti c´entra?), chi ha accusato l´incerottato di avere esagerato il diametro del cerotto al solo scopo di agitare le acque, chi ha inserito d´ufficio il nome del treppiedista tra quelli degli eroi delle lotte di liberazione. Più delle campagne d´odio, preoccupano le montagne di isterismo, lungo le quali le parole slavinano senza freni. Ogni tanto può capitare di essere nervosi, ma quando capita è meglio non rilasciare interviste.

 Pierangelo    - 06-01-2005
da l'Unità del 6.1.2005

Berlusconi ha fatto bene a perdonare Dal Bosco, ma il suo gesto è il prodotto finale di una strategia di comunicazione troppo scaltra per apparire in buona fede

La strategia del perdono
di Roberto Cotroneo

Attraverso la storia del cavalletto lanciato sul collo del presidente del Consiglio abbiamo assistito a una messa in scena all’italiana che in parte era abbastanza prevedibile. La giusta condanna da parte delle istituzioni, qualche licenza poetica non proprio ineccepibile da parte del grande Mario Luzi, battute e scherzi attraverso i messaggini di internet. Mitologie di vario genere sull’operaio mantovano. Parole a sproposito dei soliti Cicchitto, Gasparri e Schifani, che ormai sembrano sempre di più quel comico di “Zelig” che gridava «attentato, attentato».
Ma se ci lasciamo alle spalle le fotografie di Berlusconi con il cerotto, le parole della politica, dei grandi poeti, dei giornalisti e dei battutisti, rimane un fatto inequivocabile: questa, suo malgrado, è la migliore operazione mediatica di Berlusconi degli ultimi anni. L'unico che non l'ha capita, neanche a dirlo, è Emilio Fede, che pare assai arrabbiato con il suo amato leader: non voleva il perdono, non voleva la telefonata tra Dal Bosco e il premier, voleva la condanna, dura e inequivocabile. Con ogni probabilità Berlusconi deve aver pensato che questa volta Fede abbia perso un'occasione per stare zitto. Perché tutto quello che è avvenuto ha un sincronismo perfetto.
Berlusconi decide di andare a trovare un amico malato (questo dicono le agenzie), il 31 dicembre. E decide di andarci a piedi, attraversando piazza Navona. L'amico malato è la prima variabile narrativa da tenere in considerazione. Berlusconi non stava andando a palazzo Chigi, non stava esercitando il potere, non era nella funzione di Presidente: in quel momento Berlusconi metteva da parte gli impegni, per un amico, e soprattutto malato. E come va a trovare l'amico malato? Non con una macchina blindata e le sirene spiegate, ma a piedi, attraversando piazza Navona, bellissima come sempre, ma soprattutto piena di giochi per bambini, luminarie, statuette del presepe. Lo scenario è di festa, c'è persino una giostrina a piazza Navona, e i bimbi cercano di fare centro con il tiro a segno (sic). Mentre Berlusconi attraversa la piazza un uomo, che poi sarà identificato come Roberto Dal Bosco, di 28 anni, da Marmirolo, provincia di Mantova, operaio, non riesce a resistere, prende il cavalletto della sua macchina fotografica e glielo lancia in testa. Non è un gesto premeditato. E non è il gesto di uno squilibrato. Ma è il gesto ancestrale per eccellenza, la manifestazione del male in sé. Come lui stesso dichiarerà: non lo premedita, ma lo fa “perché odia” Berlusconi.
Entrano in gioco le procedure consuete. La Digos cerca di capire subito se ci sono motivi politici. Se Dal Bosco ha un movente, se fa parte di un gruppo di estremisti, di terroristi, o di altro ancora. La polizia perquisisce la stanza d'albergo del ragazzo ma quasi da subito è chiaro che il gesto “è personale”. Espressione da valutare bene. Infatti curiosamente, in questo evento nessuno usa l'espressione: “Uno squilibrato cerca di colpire Berlusconi con un cavalletto”. Ora, pur tenendo conto delle motivazioni “personali” di Dal Bosco, il gesto non appare né lucido e neppure coerente, ma tutto sommato proprio squilibrato. Invece non è politico, non è pubblico, non è antagonista, non è appunto squilibrato, ma è “odio”. Parola biblica. Ma “l'odio”, cosa significa esattamente?
Ci arriviamo. Le agenzie cominciano a battere varie informazioni su Roberto Dal Bosco. Due di queste sono abbastanza interessanti: la prima dice che Dal Bosco è un militante Ds, e ha lavorato per le feste dell'Unità, la seconda dice che è un muratore (ma qui le cose si fanno contraddittorie), forse un operaio, è di famiglia umile, grandi lavoratori, genitori di sani princìpi. Questo ragazzo, che stava fotografando qualcosa (chi? degli amici, le bancarelle, una chiesa...), lo vede e lo odia. Lo odia e cerca di colpirlo. Non gli grida insulti, non dice: l'ho fatto perché è la rovina dell'Italia, o cose del genere. Dice che il sentimento contro Berlusconi è un sentimento ancestrale, senza una spiegazione, senza una logica calzante. E da dove può venire questo odio staccato da tutto? E qui c'è la prima risposta. Dalla propaganda. La propaganda che dipinge Berlusconi come un uomo nero, la propaganda che vuole Berlusconi il termine, il punto di raccolta del male assoluto. Dal Bosco lo odia senza sapere il perché. Ma non è uno squilibrato. Perché se fosse trattato come uno squilibrato il perdono successivo non avrebbe alcun significato. È ovvio che si perdona uno squilibrato. Meno ovvio, appunto, che lo si faccia addirittura con un elettore di sinistra.
Berlusconi, che conosce troppo bene i meccanismi della comunicazione, intuisce che le campagne di stampa dei giornali di destra, tutte politiche; e le parole dei suoi fedelissimi, ottuse e scontate, non lo portano da nessuna parte. Il cavalletto è un'occasione propagandista clamorosa. Così Dal Bosco viene scarcerato, ha solo l'obbligo di firma, e prima di rimandarlo a casa qualcuno gli spiega come fare a recapitare una lettera a Berlusconi. Dichiara, subito dopo: “Se chiederò scusa al premier lo farò in privato, non pubblicamente”, niente di più falso. Di privato qui non c'è nulla. La lettera arriva a Palazzo Chigi. E subito dopo Berlusconi gli telefona. E qui, si genera un altro dei capolavori. Non è tanto Dal Bosco l'oggetto della telefonata. Il ragazzo non ha un centro, è poco coerente, ha commesso un errore, e per lui bastano poche parole. I veri destinatari della telefonata sono i genitori. Poveri genitori, che non si angosciassero troppo, Berlusconi non sporgerà denuncia sull'accaduto. Possono stare tranquilli. Riguardo al figlio Roberto, quando arriverà a Roma potrà incontrarlo, per guardarlo negli occhi, e capire che lui, Berlusconi, non vuole il male di nessuno.
Berlusconi lo ha perdonato. Ha perdonato uno che gli ha tirato un cavalletto in testa, e lo ha fatto perché vittima dell'odio, che è sempre cieco. L'odio porta solo dolore, e rende vittime le persone che ne sono oggetto. L'odio è un male da scacciare, combattere l'odio, da sempre, avvicina alla santità e garantisce il paradiso. Berlusconi ha telefonato al povero ragazzo di Marmirolo e i giornali si sono affrettati a dirci che erano tutti turbati. La mamma di Dal Bosco (“sono rimasta di stucco”), il giovane Roberto (“sinceramente pentito”), e tutti ad applaudire.
Berlusconi ha fatto bene a perdonare Dal Bosco, ma il suo gesto è il prodotto finale di una strategia di comunicazione troppo rapida per apparire in buona fede. Con buona pace di tutti i suoi, che il giorno dopo dicevano che la sinistra avrebbe sicuramente candidato Dal Bosco alle elezioni. La verità sarà forse un'altra. Piacerebbe molto di più a Berlusconi candidare Dal Bosco con Forza Italia, concludendo il suo capolavoro mediatico. Magari con una bella foto assieme, Berlusconi e Dal Bosco sorridenti, in posa davanti al cavalletto, con lo sfondo di piazza Navona, naturalmente.