breve di cronaca
Non accusiamo solo la scuola
Il Messaggero - 09-12-2004
AI miei alunni d'università sottopongo spesso, un po' per scherzo un po' per capire che cos'hanno nella testa, un semplice test di conoscenza lessicale.
Scopro con desolazione che, tolte le parole basiche, ignorano tutto il resto. Ultimamente ho trovato che nessuno (su duecento circa) sapeva il significato di parolecome "pingue", "beffardo", "imperito", "inopinato"
...

E non è solo una mia impressione. Nelle indagini internazionali sulla qualità dell'apprendimento scolastico riportiamo da tempo voti da bocciatura. Ora ad esempio arrivano i dati del PISA ("Programme for International Assessment"), il programma triennale dell'Ocse che assegna un rating comparativo a ventinove Paesi del mondo per quanto riguarda la capacità degli studenti di vari ordini di scuola di capire quel che leggono, e di praticare la matematica e le scienze. Le indagini Ocse va detto hanno fama di serietà, quindi è inutile sottilizzare su questo o quel risultato o gridare (all'italiana) al complotto, magari delle sinistre. Il fatto è che da queste comparazioni usciamo sempre con le ossa rotte. Qualche mea culpa dobbiamo pur farlo.

Nella lettura, in testa stanno nell'ordine Finlandia, Corea e Canada. L'Italia non è la quarta, come forse vorreste, ma la venticinquesima (era ventesima nel 2000), dinanzi a Grecia, Slovacchia, Turchia e Messico. In tutti i casi, il nostro Paese occupa solidamente una delle ultime posizioni. Ciò vuol dire che la maggior parte dei nostri studenti non capiscono quel che leggono, sono cioè quasi analfabeti.

I sindacati della più varia matrice trovano un terreno facile per sostenere che tutto è dovuto alla politica dei governi, colpevoli di tenere gli insegnanti in condizione di barbarie retributiva (vero) o di aver ridotto l'impegno finanziario dello Stato nell'istruzione (vero). Ma queste ragioni, benché singolarmente vere, non fanno una spiegazione, perché i pessimi risultati che otteniamo non sono una cosa nuova, come ho detto, ma ci piombano addosso per l'ennesima volta.

Per quale motivo i nostri studenti, anche quelli che frequentano il liceo, sono in posizioni così cattive per quanto riguarda la comprensione di testi? Eppure studiano letteratura, scrivono tutto il tempo, leggono classici e fanno temini e riassuntini. La colpa non è tutta della scuola, diciamolo chiaramente. La scuola italiana, benché offesa e maltrattata da tutti, ospita numerosi bravissimi e coraggiosi professionisti, che malgrado tutto raggiungono risultati di alto livello. Il vero guaio, secondo me, sta nel fatto che da tempo in Italia la cultura evoluta non trova un terreno
congeniale nel mondo esterno , dove non è guardata con simpatia collettiva e non è sostenuta dall'apprezzamento sociale.

A che serve avere una cultura evoluta se si può fare fortuna più velocemente con una buona amicizia e un
po' di traffici? Un esempio è il bassissimo livello di molte produzioni televisive, di qualunque rete, che da almeno quindici anni privilegiano la ciancia
scomposta e le volgarità disarticolate, lo spettacolo di bassa lega e reality show alla "Grande Fratello", accademia di eloquio coatto. Altri segmenti della vita culturale del Paese sono ugualmente demotivanti per i giovani svolgendo un'azione sistematica di contrasto ad ogni forma di costruzione culturale. Tra questo il "perdonismo educativo" (l'apprendimento non deve più avere nulla di duro e di intenso, per non scoraggiare la libertà creativa dei giovani) e l'infrenabile propensione giovanile alla spesa dissipativa e al consumismo culturale.

Prima di insegnargli a leggere, ai giovani dobbiamo insomma restituire il senso della disciplina dello studio e della crescita intellettuale.

Altrimenti la prossima volta anche il Messico ci passerà davanti.


Raffaele Simone

Per visualizzare il rapporto PISA nella versione originale (ed integrale) in inglese










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 Artemisia    - 12-12-2004
Grazie prof. Simone, era ora che qualcuno guardasse al problema , mettendo in luce la complessità del fenomeno, non riconducubile più all'inadeguatezza e all'impreparazione dei docenti.