La questione dei giovani non è il disagio, è l'educazione
Gianni Mereghetti - 26-11-2004
Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, in un’intervista a tutto campo chiarisce in modo efficace quale sia il disagio dei giovani d’oggi. E’ vero che hanno tutto, il dramma però è che non hanno l’essenziale, e l’essenziale è uno sguardo di amore totale. Questo i ragazzi di oggi mendicano, come un bisogno originario che non ha mai trovato risposta, ma che non si può sopprimere, questo è ciò da cui ricominciare. La questione seria invece è che a giovani che domandano uno sguardo di amore spesso gli adulti rispondono con analisi sociologiche o con terapie psicologiche.
Sarebbe quindi ora non tanto di liberarci delle analisi, ma di cominciare a guardare uno ad uno i giovani per quel desiderio di felicità che portano e a cui il tutto che hanno non risponde.
Qui sta la sfida, anche perchè non sarà una ricetta a dare la felicità, ma qualcuno che la viva. Del resto chi può guardare in faccia ad un giovane d’oggi? Solo chi faccia esperienza di una felicità così corrispondente al suo desiderio che valga anche per lui.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Banfi Mario    - 29-11-2004
Le espressioni di Mereghetti mi trovano ampiamente in accordo.
Sarebbe utile però mettere i riferimenti dell’intervista della dtt.ssa Pomodoro che ho avuto occasioni per stimare.
Vorrei comunque fare qualche precisazione:
· Ai giovani bisogna offrire “uno sguardo di amore totale”. Certo.
· “Gli adulti rispondono con analisi sociologiche o con terapie psicologiche”. Vero, o facessero almeno questo. Ma noi adulti quanto riflettiamo sul rapporto apprendimento – educazione. Cioè nella scuola ci poniamo come professori o come educatori (per me, l’educatore contiene il poter insegnare con competenza).
· Inoltre, gli adulti di oggi sono meno frammentati dei giovani? O siamo noi adulti a trasmettere questa frammentazione?
· Non ricette sulla felicità, ma uno sguardo che sappia “tenere alta la testa” davanti al giovane perché questa felicità la si vive. Io la chiamerei anche esplicitamente Fede. Ma con la ricerca di una umiltà di fondo, perché anch’io che la trasmetto posso sbagliare. E con l’umiltà che anche uomini che non hanno una fede esplicita, ma ricercata, possono oggi trasmettere la stessa speranza e io posso lavorare con loro.

 cla    - 29-11-2004
Parole sagge: la semplicità della genialità.

 Gianni Mereghetti    - 11-12-2004
Giancarlo Cesana in un significativo articolo sul Foglio affronta la questione educativa, afferrando con una presa sicura l’insegnante di oggi che sta scivolando pericolosamente sull’orlo del precipizio.
E’ vera l’osservazione che fa Cesana, nella scuola è diventato ricorrente rifugiarsi nella psicologia, come se la conoscenza dei meccanismi della mente o delle reazioni emotive sia la condizione necessaria per liberare i giovani dall’insicurezza che li disorienta quotidianamente. E’ altrettanto vero che questa riduzione dell’educazione a psicologia ha mandato gli insegnanti incontro a fallimenti ripetuti, in quanto non è conoscendo nei minimi particolari il funzionamento della psiche che si risponde alla domanda di felicità che vibra nel cuore di ogni giovane. Cesana tocca così il fondo della questione, ma perchè indica da dove si possa subito ricominciare. Infatti la fragilità che lui mette a nudo non è primariamente psicologica, bensì ideale. I giovani sono incerti, disorientati, soli, perchè il loro desiderio non trova il terminale della risposta, ma gli insegnanti non sono da meno, se sono stressati, annoiati e annoianti, è perchè soffrono per la mancanza di un senso. Così nè gli uni nè gli altri potrebbero riiniziare da un’analisi psicologica della propria condizione, che al massimo arriverebbe a fotografarli. Non di una fotografia di se stesso un insegnante o un giovane d’oggi ha bisogno, ma della certezza di un senso, una certezza che viene dall’incontro con una persona appassionata alla vita, non da un processo psicologico, nemmeno da un ragionamento culturale. Di questo mi hanno convinto e continuano a farlo sia quegli studenti che hanno un’attenzione totale a chi gli sta a fianco o di fronte, sia quegli insegnanti che non dalle loro conoscenze sono spinti ad entrare in classe, ma dallo struggimento per il loro destino e per quello di ognuno dei ragazzi e delle ragazze a cui insegnano. Io, è da qui che ricomincio ogni giorno, coinvolgendomi con questi studenti e insegnanti che a scuola portano la questione a livello della loro domanda di senso. Del resto non è educazione se non va al cuore dell’io, là dove pulsa il desiderio di essere felice, felice per sempre.