Anna Pizzuti - 20-11-2004 |
Da Aprile on line Scoop di “Le Monde”: i 14 punti sul futuro di Baghdad La Conferenza internazionale sull'Iraq in programma il 22 e 23 novembre nella località egiziana di Sharm el Sheikh esaminerà una bozza di dichiarazione finale in 14 punti, elaborata a partire da un progetto egiziano più volte modificato nel corso di numerose riunioni tenute al Cairo. Ieri il quotidiano parigino “Le Monde” ha pubblicato la bozza preparatoria messa a punto in vista della Conferenza Internazionale di Sharm El Sheikh. Ecco per sommi capi i punti del documento: 1) Riaffermare la sovranità, l'indipendenza politica, l'integrità territoriale e l'unità nazionale dell'Iraq, nonché il diritto del popolo iracheno a una vita stabile e sicura, e a decidere liberamente il proprio avvenire attraverso la democrazia. 2) Considerare che la riunione del 21 luglio scorso dei paesi vicini dell'Iraq si è tenuta nell'interesse del popolo iracheno e della stabilità nella regione. 3) Sottolineare il ruolo dirigente delle Nazioni Unite per il sostegno al processo politico e nell'organizzazione delle consultazioni; fare appello alla comunità internazionale perché fornisca l'assistenza necessaria a proteggere il personale dell'Onu in Iraq. 4) Considerare questa Conferenza come un passo per ampliare la partecipazione degli iracheni alla politica; chiedere al governo ad interim iracheno di riunire al più presto, prima delle elezioni, i rappresentanti delle forze politiche e sociali irachene al fine di garantire la massima partecipazione alle consultazioni. 5) Riconoscere i passi compiuti per impiantare la democrazia in Iraq e incoraggiare il governo ad interim ad organizzare delle elezioni generali prima del gennaio 2005, al fine di istituire un’Assemblea generale di transizione che esprimerà un governo ed elaborerà un progetto di Costituzione che conduca alla formazione di un esecutivo costituzionalmente eletto prima del 31 dicembre del 2005, in base a quanto stabilito dalla risoluzione 1546 dell'Onu. 6) Condannare ogni atto di terrorismo ed esigere la loro fine immediata; invitare tutte le parti ad astenersi dall'uso eccessivo della forza per evitare di colpire la popolazione civile. 7) Condannare ogni sequestro e omicidio nei confronti dei civili dipendenti di società irachene od estere che lavorano per la ricostruzione dell'Iraq. 8) Invitare tutte le parti interessate a prendere ogni misura necessaria per contribuire alla stabilità dell'Iraq e riaffermare l'obbligo per i paesi membri dell'Onu di impedire il transito di terroristi da e per l'Iraq, nonché il loro finanziamento ed armamento. 9) Riaffermare l'importanza delle relazioni di buon vicinato e di non ingerenza negli affari interni degli altri paesi. 10) Riaffermare che il mandato delle forze multinazionali non è indefinito e che scadrà in conformità con la risoluzione 1546 o dopo la fine del processo politico; sottolineare la necessità di permettere alle forze irachene di giocare il più presto possibile un ruolo crescente e infine di assumersi totalmente la responsabilità della stabilità e la sicurezza. 11) Riaffermare l'importanza dell'assistenza umanitaria nella ricostruzione. 12) Riconoscere che la riduzione del debito è un elemento fondamentale della ricostruzione. 13) Riaffermare l'importanza di portare davanti alla giustizia i dirigenti del passato regime accusati di crimini contro l'umanità e crimini di guerra contro Iran e Kuwait. 14) Dare istruzione ai rispettivi rappresentanti perché valutino i progressi nell'applicazione delle conclusioni della Conferenza. |
Grazia Perrone - 19-11-2004 |
La destra «riforma» il codice militare: galera per i giornalisti che raccontano la guerra venerdì 19 novembre 2004. Toni Fontana sull'Unità Arrivano le manette per i giornalisti scomodi al governo, contrari alla guerra e critici sulla missione in Iraq. Su proposta del centrodestra il Senato ha infatti approvato ieri una «riforma» del codice penale militare che prevede tra l’altro pene gravissime e lunghe detenzioni per i giornalisti che scriveranno articoli sulle missioni militari, compresa quella in corso a Nassiriya. L’iniziativa della maggioranza di governo sta già provocando proteste e suscitando polemiche. Il senatore Ds, Elvio Fassone, sostiene che la riforma «rischia di avere conseguenze molti gravi anche nel campo della libertà di informazione». Il segretario della Federazione della Stampa italiana, Paolo Serventi Longhi, parla di «misura gravemente lesiva dell’indipendenza e dalla libertà dell’informazione». La riforma, che appare studiata allo scopo di chiudere la bocca a tutti coloro che contestano le finalità e la natura della missione italiana nella guerra dell’Iraq, si configura come un’estensione del codice penale militare di guerra anche alle missione di pace. La missione a Nassiriya è appunto considerata dal governo un missione di pace e, di conseguenza, la nuova normativa verrà estesa (se la Camera confermerà il giudizio del Senato) anche ai servizi giornalistici che provengono dall’Iraq. Per effetto delle norme approvate ieri dalla maggioranza di centrodestra a palazzo Madama diventano «operativi», cioè pienamente in vigore anche gli articoli 72 e 73 del codice penale militare italiano là dove la legge recita che viene punita «l’illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari». Viene punito con la reclusione militare, viene cioè affidato ad un carcere militare, il giornalista che «procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro stato sanitario, la disciplina e le operazioni militari e, ogni altra notizia che, essendo stata negata, ha tuttavia carattere riservato». Il giornalista che verrà accusato di questi «reati» potrà essere condannato ad una pena variante tra i due e i dieci anni di carcere, ovviamente militare. Non è tutto. Se queste notizie verranno «divulgate» la pena potrà essere raddoppiata e arrivare fino a venti anni di carcere. Il minimo della condanna per il cronista che osa scrivere qualcosa che disturba è in questo caso di cinque anni. Se la riforma seguirà il suo iter e verrà approvata dai due rami del Parlamento ai militari verrà dunque affidato un potere assoluto e arbitrario di discrezione e di intervento sulle attività dei cronisti che seguono le missioni all’estero. Le disposizioni sono così precise e dettagliate che, nei fatti, ogni articolo inviato dai teatri di guerra, in special modo da Nassiriya, potrà diventate un atto di accusa contro gli lo avrà scritto che rischierà pene superiori a quelle comminate a molti incalliti criminali. Il senatore Ds Elvio Fassone interviene sulla decisione della maggioranza di «estendere l’ambito del codice militare di guerra» giudicando l’iniziativa «una scelta molto inopportuna sotto molti aspetti, che rischia di avere conseguenze molto gravi anche nel campo della libertà dell’informazione». Fassone si augura un «ripensamento» alla Camera. Serventi Longhi ricorda dal canto suo che la riforma «prevede il carcere duro per i giornalisti che diffondono notizie sull’attività del contingente italiano e, forse, anche sulle operazioni dei contingenti alleati». Per il segretario della Fnsi si tratta di una misura «ricattatoria per i giornalisti invitati di fatto all’autocensura». Serventi Longhi auspica di conseguenza che la riforma venga ritirata nella seconda lettura parlamentare, cioè a Montecitorio. Le misure approvate ieri al Senato appaiono appunto ispirate da quella parte del mondo politico e militare che da tempo sta tentando di erigere un muro di gomma per impedire alla stampa di ribadire i pressanti interrogativi che circondano la missione a Nassiriya sulla quale non si sanno molte cose avvenute nel corso dei combattimenti con i miliziani. |
gp - 20-11-2004 |
Dal blog di Pino Scaccia IL CODICE MILITARE PER I GIORNALISTI Reporter, mestiere sempre piu' difficile Ho ritrovato questo documento. Le regole stilate dal comando americano nella prima guerra del golfo. Furono consegnate a Dahran, Arabia Saudita, a 1600 giornalisti accreditati. 1. Dovete essere accompagnati sempre da una scorta militare, non sono permesse visite alle unità al fronte senza la scorta militare. 2. E’ proibito filmare o fotografare soldati feriti o morti. 3. E’ proibito pubblicare informazioni sul tipo di armi, equipaggiamento, spostamenti, consistenza numerica delle unità. 4. E’ proibito descrivere con particolari e dettagli lo svolgimento delle operazioni militari, pubblicare notizie sugli obiettivi e sui risultati conseguiti dalle stesse operazioni. 5. E’ proibito dare un’identità precisa alle località e alle basi dalle quali partono specifiche missioni di combattimento; i servizi si possono identificare con frasi come “Golfo Persico”, “Mar Rosso”, “Arabia Saudita Orientale”, “Zona di confine con il Kuwait”. 6. E’ proibito pubblicare informazioni sulla consistenza numerica e sull’armamento delle forze nemiche. 7. E’ proibito dare particolari sulle perdite subite dalle forze della coalizione: possono essere usate definizioni come “scarse”, “moderate”, “gravi”. 8. Sono vietate le interviste non concordate. In realta', il comando americano scelse solo circa duecento giornalisti, quasi tutti americani, per seguire le unità di combattimento, insomma gli "embedded". Tutti gli altri, fortemente limitati nei movimenti, dovevano lavorare sui materiali inviati dalle squadre. Per andare al fronte ricordo che c'era da iscriversi ogni mattina a una sorta di lista. Venti posti alla volta: diciannove erano riservati alle troupes americane, uno ...al resto del mondo. |
Tribù ribelli - 20-11-2004 |
GUERRA ALLA STAMPA Giuliana Sgrena Dopo i giornalisti «embedded» arriverà anche la corte marziale per giornalisti non «embedded»? Non è uno scherzo. E' un nuovo scalino nella militarizzazione dell'informazione ben conosciuta nella guerra in Iraq, soprattutto in questi giorni a Falluja. Gli unici giornalisti presenti sono quelli «embedded» con le truppe Usa, che peraltro, questa volta «arruolavano» solo americani e britannici. Se poi, anche da «embedded» censurati riescono a rivelare un «crimine di guerra», potrebbero finire in galera, in Italia. Ovvero, rivelare notizie sulle missioni militari italiane potrebbe essere estremamente pericoloso, si rischierebbero da cinque a venti anni di carcere. Il paradosso è che ci voleva questa infame e infamante riforma del codice penale militare, approvata ieri in prima lettura al Senato, per rivelare la vera natura della missione Antica Babilonia, che ha portato i militari italiani a Nassiriya. L'hanno chiamata missione di pace, anche se evidentemente non lo è, ma per non ammetterlo, anche le missioni di pace saranno regolate dal codice militare, come quelle di guerra. Per tornare al testo della riforma, che speriamo non passi alla Camera, "chiunque si procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro stato sanitario, la disciplina o le operazioni militari e ogni altra notizia che, non essendo segreta, ha tuttavia carattere riservato", rischia, in base agli articoli 72 e 73 del codice penale militare italiano sulla "illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari", da due a dieci anni. Se poi tali notizie fossero diffuse la reclusione va da un minimo di cinque anni a un massimo di venti. Ora non potremo più essere smentiti quando affermeremo che il nostro governo ci ha portato in guerra in Iraq e daremo persino una giustificazione a coloro che in Iraq ci considerano alla stregua dei militari italiani. Allora viene da chiederci che cosa succederà quando riferiremo notizie sui progetti delle organizzazioni umanitarie in missione, quelle sì veramente di pace. Pensavamo che gli iracheni non avessero capito, quando facevano confusione tra i volontari delle organizzazioni umanitarie e i nostri soldati, invece avevano intuito prima di noi le vere intenzioni dell'Italia. Chi andrà ancora a Nassiriya a seguire i nostri con il pericolo di finire di fronte alla corte marziale? O forse dovremmo già essere tutti in galera? |
Rosalba Ciarleglio - 21-11-2004 |
La bandiera della pace appesa, ormai da tempo al mio balcone, è lacera, ha cambattuto la sua......guerra! Tutto è lacero in questo momento, dobbiamo ricordare noi al presidente Ciampi gli articoli della nostra costituzione , non ne è il garante? Scusatemi ma dopo lotte manifestazioni e altro io, come la maggior parte degli italiani , non riesco a vedere niente di buono, anzi sono molto pessimista sulle possibili evoluzioni......... |