Censura di lotta e di governo
Grazia Perrone - 13-11-2004
Ovvero: processo a un film mai fatto

La più pungente rappresentazione satirica della figura del censore ci viene forse da Renato Rascel calato in Gran Varietà di Domenico Paolella (1954) nei panni di un grigio funzionario del Minculpop (il Ministero fascista della Cultura Popolare) incaricato della revisione preventiva di uno spettacolo di rivista, Fascino d’oggi: il sesso non dà problemi, mentre i suoi strali si abbattono impietosi sul titolo, che potrebbe leggersi "Fasci… no" o sulla canzone "È arrivata la bufera…" che può indurre a commenti antipatriottici. I tempi cambiano, ma i ligi funzionari dello stato continuano pervicacemente a compiere il loro "dovere". Nel dopoguerra la compagnia, che continua a tenere in cartellone lo stesso spettacolo, si ritrova dunque alle prese con lo stesso censore, ora implacabile "copritore di vergogne", ma molto più elastico sulle battute politiche: "C’era quella su Togliatti! Che risate! E quella su Nenni! Che risate! Quella su De Gasperi… un po’ meno".
La satira, situata storicamente, sembra un po’ meno innocente, se si pensa che il 10 settembre dell’anno precedente Renzo Renzi e Guido Aristarco erano finiti in carcere militare per aver pubblicato su "Cinema Nuovo" L’armata s’agapò, un soggetto sull’esercito italiano in Grecia.
I due episodi esemplificano le facce di una concezione della censura come strumento "di lotta e di governo", che da un lato usa la leva dei contributi finanziari per scoraggiare autori e produttori dall’affrontare temi ritenuti scomodi e dall’altro fa sostituire la figura intera del David di Donatello dalla sigla dei cinegiornali della Settimana Incom con un più casto mezzobusto. Saranno "potati" dalle forbici censorie, tra molti altri, Senso e Rocco e i suoi fratelli di Visconti, Il grido di Antonioni, La ciociara di De Sica, La ragazza in vetrina di Luciano Emmer, Peccato che sia una canaglia di Blasetti, Poveri ma belli di Risi, Giovani mariti di Bolognini, I dolci inganni di Lattuada, Kapò di Pontecorvo, La dolce vita di Fellini.
Ma torniamo alla vicenda della sceneggiatura de l'Armata s'agapò che costò agli autori un'incriminazione per vilipendio dell'esercito e la segregazione immediata in fortezza (Peschiera del Garda) così come la descrive lo stesso Autore in un'intervista (del 12-9-2003) curata da Irene Bignardi su Repubblica perché mi sembra il modo migliore per ricordare la limpida figura di Renzo Rienzi scomparso il 19 ottobre scorso.

Il 12 settembre 1953 Guido Aristarco e Renzo Renzi furono denunciati per vilipendio delle forze armate, quindi arrestati e rinchiusi a Peschiera per un soggetto sull´occupazione italiana in Grecia La storia si intitolava "L´armata s´agapò" un nomignolo sfottò creato dagli inglesi. Lo scritto di Renzi fu ripreso da Camilleri quando scoppiò un caso analogo
Il "misfatto" venne consumato sulla rivista "Cinema nuovo" diretta da Aristarco
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Immaginate un tranquillo mattino di settembre, il 12, per la precisione. E una casa della vecchia Bologna. Dove quel mattino del 1953, giusto cinquant´anni fa, verso le otto, si presenta un carabiniere, gentile, bene educato, ma pur sempre un carabiniere, latore di un ordine: Renzo Renzi, il critico cinematografico, l´aspirante sceneggiatore, il collaboratore di una giovane rivista che si chiama Cinema nuovo, deve presentarsi subito al locale comando dei carabinieri.
Dalla casa in cui passa le vacanze sull´Adriatico, Renzo Renzi, che oggi ha ottantadue anni, ricorda che lo sbalordimento per e l´inspiegabilità della visita del carabiniere erano tali che lui continuò a trattare. Non capisco, che sarà mai successo, passo domani, magari nel pomeriggio, prometteva... Il carabiniere, che pure aveva l´ordine di arresto in tasca, non lo esibì, non spiegò, ma alla fine lo convinse. Si ritrovarono insieme al Comando. Davanti agli ufficiali dei carabinieri l´ordine venne esibito. Lo stupefatto Renzo Renzi si ritrovò, come dice lui « in guardiola». E lo stesso stava succedendo nello medesimo momento anche al suo amico e direttore Guido Aristarco. L´accusa, che li coinvolgeva insieme - Aristarco in quanto direttore responsabile di Cinema Nuovo, Renzo Renzi in quanto estensore di un «pezzo» diventato l´oggetto dell´accusa -, era «vilipendio delle forze armate».
Poteva essere assurdo, potevano non crederci: ma l´articolo scritto da Renzo Renzi sulla base dei suoi ricordi e delle sue esperienze di guerra, quello che lui definisce nel ricordo come «una serie di appunti disordinati sull´occupazione italiana in Grecia, scritto per una rubrica in cui si facevano esempi di film non fatti», «una storia con un titolo suggerito dal modo in cui gli inglesi chiamavano l´esercito italiano, "L´armata S´agapò"» (s´agapò vuol dire ti amo), aveva irritato e turbato un vecchio generale in pensione che era corso a denunciare Renzi e Aristarco per «vilipendio delle forze armate».
E, stupore, si era scoperto che, nel 1953, due critici e studiosi di professione potevano vedere il processo, che riguardava un possibile soggetto cinematografico, avocato dai tribunali militari, in quanto sia Aristarco sia Renzi erano ancora in età da servizio militare, e avevano prestato servizio militare, come sottufficiale il primo come ufficiale il secondo. Conclusione? Carcere militare a Peschiera e tribunali militari.
Anche se ammette che l´arrivo a ciel sereno dell´accusa, del carcere e dell´imminente processo nell´Italia democristiana del 1953 non era proprio rassicurante, Renzo Renzi ricorda con divertimento l´improvviso ribaltamento dei ruoli che si produsse nel carcere di Peschiera: dove lui, «umile collaboratore del giornale», aveva, da ufficiale, certi piccoli privilegi, e il suo direttore, Guido Aristarco, da sottufficiale, aveva una serie di corvée da svolgere. Tra cui la pulizia delle camerate e il compito di portare il caffè mattutino proprio a Renzo Renzi. Il quale ricorda e descrive così il famoso soggetto incriminante: «Voleva essere un attacco all´educazione scolastica per una nuova serie di Cinema nuovo diretta da Adriano Baracco. Un attacco al modo convenzionale e retorico con cui, in un paese malato di retorica risorgimentale, veniva rappresentata la guerra. Una serie di appunti disordinati, come dicevo, sull´occupazione italiana in Grecia, scritti per una rubrica in cui si proponevano esempi di film non fatti - tanto che al mio seguì poi un articolo di Michelangelo Antonioni. Il titolo mi era stato suggerito dal modo in cui gli inglesi chiamavano l´esercito italiano. Un modo ironico ma tutto sommato gentile: perché gli inglesi vedevano la nostra occupazione come una cosa da operetta, sì, come un´occupazione non cruenta, soprattutto a confronto con i tedeschi e la loro spaventosa durezza. "S´agapò " vuol dire ti amo, e si riferiva uno stile militare molto più blando e più umano. In Grecia era stata molto popolare una canzone che si intitolava S´agapò, e che venne poi ripresa e cantata da Sofia Loren, che la portò alla notorietà internazionale. Anzi, confesso che ho in casa quel disco».
Forse i «disordinati appunti» che componevano «L´armata S´agapò» non erano così anodini come Renzi ricorda oggi. Descrivevano (cito qui la sintesi che ne ha fatto Andrea Camilleri in un suo articolo dedicato a Le soldatesse di Ugo Pirro, che qualche anno dopo avrebbe affrontato un argomento non dissimile), «un quadro non certo edificante del comportamento delle truppe italiane in Grecia, di come ufficiali di ogni grado e truppa si approfittassero delle condizioni di estrema indigenza della popolazione, di come le donne per sopravvivere, fossero costrette a prostituirsi, di come tra gli italiani sorgessero rivalità e conflitti per il possesso esclusivo di qualcuna di quelle donne e di come, di tanto in tanto, nascessero tra soldati e donne greche anche autentiche storie d´amore». Per Renzi, nel ricordo di oggi, era un necessario modo di rileggere la realtà della storia, che allora ignorava tutto quello che era recente e contemporaneo - e probabilmente scottante - per occuparsi solo di vicende risorgimentali. Per chi aveva denunciato Renzi e Aristarco si trattava di un´ingiuria al mito della patria italiana.
Dopo quarantacinque giorni di carcere militare e una veemente reazione della stampa, il processo, tra dramma e commedia, venne celebrato a Milano. A difendere Renzi e Aristarco furono Giacomo Delitala e Ettore Gallo, che divenne poi presidente della Corte Costituzionale, e che ricorda quel processo, durato una settimana e presieduto da un generale, non molto diverso da «un plotone d´esecuzione». Renzo Renzi ricorda che il pubblico, con suo grande sollievo, faceva il tifo per gli imputati.

Cosa le ha insegnato una vicenda che è diventata esemplare del clima codino e illibertario dell´Italia di quegli anni?
«Mi ha indotto a perseverare, ma con maggiore attenzione».
Qualche rimpianto?
«Sì. Il fatto di non aver pronunciato una frase storica che sia entrata nei libri di testo a imperituro ricordo di una storia assurda».


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 Grazia Perrone    - 14-11-2004
Mentana come Biagi e Montanelli
dal sito di Articolo 21
di Federico Orlando*

La destituzione del direttore del Tg5 Enrico Mentana da parte dell’editore, ricorda al millimetro la destituzione di Montanelli, dieci anni fa, da parte dello stesso editore. Come Montanelli, Mentana ha privilegiato la sua indipendenza di giudizio e la sua libertà professionale, rifiutandosi di trasformare il lavoro del giornalista e la responsabilità del direttore in mera esecuzione d’ordini o anche di punti di vista editoriali imposti con la forza economica e politica.
Perciò, l’associazione Articolo21, costituita da giornalisti, scrittori, intellettuali e lavoratori della comunicazione che credono nei principi della Costituzione è oggi solidale con Mentana, così come in un lontano passato è stata solidale con altre vittime della censura padronale-politica.
Articolo21 si domanda tuttavia se gli italiani si rendano interamente conto della loro nuova responsabilità politica in un Paese dove l’informazione è ormai a una sola voce; se gli italiani, che a milioni hanno apprezzato la professionalità, l’indipendenza, la capacità anche di “stare contro” di Montanelli, di Biagi, di Santoro, di Mentana, vorranno trarre il conseguente giudizio politico da questa serie di fatti: i quali dimostrano che in oltre dieci anni la concezione dell’editore-padrone e del governante assoluto non è cambiata e che, di episodio in episodio la censura cresce e la democrazie si spegne. L’unica voce di dissenso ce non può essere spenta è quella degli italiani -cittadini, utenti, lettori, elettori -. Ci auguriamo perciò che presto riprenda nel Paese la battaglia movimentista per rifondare la grande alleanza popolare che cambierà la maggioranza politica e ripristinerà la Costituzione.

*Presidente Articolo21