A proposito di ‘ regime ‘ o’ non regime ‘
Aldo Ettore Quagliozzi - 11-11-2004
Scriveva nel suo articolo “ Vespa e il fascismo eterno “ Roberto Cotroneo sul quotidiano “ l’Unità “ del 23 ottobre 2004:

“ ( … ) Il fascismo eterno è qualcosa che non ci si leva di dosso, e che i revisionisti e i terzisti hanno cercato in qualche modo di nascondere.

E’ quello che con i distinguo cerca di celare quel disprezzo per le regole democratiche che ha fondato per anni le istituzioni di questo Paese.

Il fascismo fu tutto, purtroppo. Opportunismo, dittatura, autoritarismo, fronda, debolezza istituzionale, parate ridicole e tragedia, violenza brutale e bivacco per manipoli.

Fu confino e persecuzione degli oppositori, ma anche bagliori di cultura e qualche tollerante distrazione. Ma non per merito, solo per incapcità, pochezza, e dilettantismo.

I totalitarismi, vedi Stalin e Hitler, furono una cosa terrificante e assai più seria. Ma il fascismo fu soprattutto un’ideologia conforme allo status del nostro Paese. Nessun rispetto per alcunché, parole a vuoto, rimangiate il giorno dopo, demagogia e retorica.

Il fascismo eterno è classista, anche se è espressione della piccola borghesia, ossessionato dalle sinistre, dalle rivoluzioni, dagli scioperi, dal disordine sociale.

Il fascismo eterno ha paura dei diversi, degli stranieri, delle altre religioni, degli omosessuali, di tutto quanto non rientrerebbe secondo loro nella sana tradizione del nostro popolo.

E soprattutto il fascismo eterno ha il culto della guerra, del cercar la bella morte, della difesa dei confini, e della grandezza della nostra civiltà, a cominciare dalla romanità per finire con la padania. ( … )


Sono di questi giorni le notizie ultime che giungono dalla Casa delle ( il ) libertà sulle iniziative di riforma costituzionale che non poco scalpore ed allarme hanno disseminato per tutto il bel paese.
Ma con quale ritorno? Nella pubblica opinione, in quale misura le iniziative illiberali del governo dell’egoarca creano apprensione vera e diffusa?
Di recente Raniero La Valle, già senatore della Sinistra Indipendente dal 1976 al 1992 e tra i promotori dei Comitati contro la riforma, ha concesso una intervista ad Adista il 19 ottobre 2004. Rileggiamola per riflettere.

Quale aspetto del progetto di riforma in discussione in Parlamento vi sembra più preoccupante?

La distruzione del rapporto fiduciario tra governo e Parlamento che comporta, sostanzialmente, la trasformazione del Parlamento in una Camera di registrazione della volontà del primo ministro.

Che poi avrebbe anche il potere di sciogliere la Camera...

Secondo il disegno di riforma presentato dal Polo, il Senato della Repubblica viene ridotto a luogo di compensazione dei conflitti tra Stato e Regioni. Oltre ad essere privato di alcune delle funzioni legislative che lo caratterizzano attualmente, il nuovo Senato perderebbe soprattutto la caratteristica di Camera politica. Questo mentre l'altra Camera, quella dei deputati, diverrebbe, di fatto, lo "zimbello" del primo ministro, nel senso che il capo del governo potrebbe scioglierla in qualsiasi momento. La Riforma prevede inoltre l'istituzionalizzazione della maggioranza che ha vinto le elezioni. Solo la maggioranza uscita dalle urne sarebbe abilitata a indicare il nome di un eventuale successore del premier eletto dal popolo. Così, mentre la parte della Camera non appartenente alla maggioranza viene ridotta alla insignificanza politica, è sufficiente che il primo ministro abbia un piccolo gruppo di supporter in Parlamento per ottenere un potere di veto su qualsiasi candidatura alternativa alla sua.

Come giudica l'atteggiamento dell’ opposizione in questi primi giorni di votazione della Riforma?

Una parte del centrosinistra ha deciso di astenersi sul primo articolo posto in votazione, che è stato considerato "innocuo", in quanto non faceva altro che definire la composizione del Parlamento e l'articolazione nelle due Camere. In quel caso, l'opposizione non ha capito che si trattava del primo voto che si dava sulla riforma costituzionale ed aveva perciò un alto valore simbolico. Bisognava perciò scegliere di dare un forte messaggio al Paese, per promuovere una stagione di mobilitazione e di lotta contro questo progetto. L'astensione è stata invece percepita nel Paese come il frutto di una tattica attendista. Come se l'opposizione volesse dire: vediamo come va a finire. Invece si sa già come va a finire: la riforma, comunque emendata, rappresenta un sovvertimento dello Stato di diritto

Pensi che ora l'opposizione sceglierà la linea della contrapposizione frontale alla Riforma?

Ormai credo di sì, sarà scontro frontale perché la fisionomia di questo progetto è totalmente identificabile. La battaglia decisiva è, ormai sono tutti a pensarlo, il referendum che seguirà l'approvazione definitiva da parte del Parlamento. La questione è che, affinché quest'ultima chance possa produrre un esito positivo, occorre che questa battaglia cominci subito e cominci nel Paese. Non si può aspettare che si concluda l’iter parlamentare per cominciare la mobilitazione referendaria. Il Paese va mobilitato subito: questa è la ragione per cui nel convegno appena concluso a Monteveglio i Comitati Dossetti hanno dichiarato, nel documento finale, l’intenzione di promuovere fin da ora la nascita di comitati per il no al referendum.

Certo, non si può dire che la Bicamerale di D’Alema abbia qualche responsabilità, dal punto di vista politico e culturale, rispetto allo stato di cose presenti.

Anzi. Quella Bicamerale rappresenta senza dubbio un cattivo precedente, perché ha in fondo accettato la cultura dei denigratori della Costituzione, facendo propria la logica perversa che, insomma, la Costituzione era anche buona, ma andava rinnovata perlomeno nella sua seconda parte. In una fase storica in cui sono in serio pericolo, o sono già state abolite, molte delle garanzie che contraddistinguono uno Stato di diritto, decidere di mettere mano ad un cambiamento profondo della Costituzione è un'operazione di per sé eversiva.

Anche i riformatori di oggi sostengono di voler cambiare solo la seconda parte della nostra Costituzione...

Ma come sappiamo i principi e i valori che sono stati sanciti nella prima parte della nostra Carta si sostanziano poi nelle strutture e nelle istituzioni che sono definite nella seconda. Se si fanno affermazioni di principio sul’eguaglianza dei diritti e poi nella parte normativa che riguarda l'ordinamento dello Stato si scrivono norme che contraddicono l'uguaglianza, si vanifica di fatto, rendendoli inefficaci, la forza di quei principi. La stessa cosa vale per l'art. 11: se non ci sono organi di garanzia che impediscono che il primo ministro possa portare l’Italia in guerra, che senso ha la formulazione sul ripudio della guerra?

Padre Sorge, nell'ultimo editoriale di "Aggiornamenti sociali" parla di una democrazia sempre più formale che sostanziale, dove i poteri forti (legislativo, esecutivo, economico-finanziari, informazione) si concentrano nelle mani di una sola persona. La nostra democrazia è in pericolo?

Non c'è dubbio: noi in Italia rischiamo il fascismo. Nessun regime nasce d'emblée, ma si forma nel tempo. La costruzione di uno Stato che non è democratico, non è garantista, che non realizza la divisione dei poteri, che non riconosce l'uguaglianza dei diritti ed il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscano l'effettiva realizzazione di questa uguaglianza, una Costituzione che non promuove lo sviluppo integrale della persona umana, ebbene, una tale Costituzione apre le porte al fascismo.



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