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Se il Mondo sbatte la porta
L'Unità - 12-11-2004
Il giorno 16 ottobre 2004 è iniziato il periodo santo della fede islamica detto "Ramadan". Fra i grandi Paesi europei, fondatori dell'Unione Europea, (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna) l'Italia ospita la comunità islamica più piccola, circa un milione e cinquecentomila persone, di cui almeno centomila sono cittadini italiani. Si tenga conto che non esiste un problema di criminalità legato a questa minoranza, salvo sporadici arresti per sospetto di terrorismo finora sempre risolti in tribunale con l'assoluzione degli imputati.
Eppure la Lega Nord, un partito politico italiano che non avrebbe alcun peso se non fosse parte della coalizione di destra guidata da Silvio Berlusconi, mantiene in alcune zone del Nord Italia, una tensione fortissima, come se sul Paese incombesse un pericolo islamico.

Un esempio. Nella città di Treviso, una delle comunità più ricche d'Europa, luogo di benessere e di piccole, floride imprese che hanno assoluto bisogno di personale non italiano, il sindaco Gobbo e il vicesindaco Gentilini hanno detto, il primo giorno del ramadan: «Non dovrete dare a questa gente neppure un appartamento, neppure un sotto portico per pregare». La frase crudele non è isolata. Lo stesso sindaco, il giorno dell'apertura della stagione della caccia ha detto dei lavoratori immigrati - tutti legali -: «Vestiamoli da lepri e lasciamo divertire i cacciatori».
La stessa gente della Lega Nord, uno dei peggiori gruppi xenofobi in Europa, continua a impedire la costruzione di una moschea in un'altra ricca e operosa città del nord, Lodi, in Lombardia. L'espediente, questa volta, è di irrigare con urina di maiale la terra che la città ha destinato alla moschea. Intanto un certo Borghezio, che siede al Parlamento europeo con i voti della Lega Nord, si dedica di giorno a disinfettare gli scompartimenti dei treni della linea Torino-Milano in cui hanno trovato posto immigrati. E di notte a incendiare baracche e giacigli in cui gli immigrati hanno trovato asilo.
Sto parlando dell'Italia, lo stesso Paese europeo in cui a fine estate del 2004, nell'isola di Lampedusa quasi duemila immigrati africani clandestini sono stati rimpatriati in poche ore senza concedere neppure il tempo o le garanzie necessarie per chiedere il diritto di asilo. E al Nord, nella già nominata città di Treviso, sono state abbattute le abitazioni di un migliaio di immigrati legali, tutti occupati - alcuni con mansioni essenziali - nelle imprese locali. Le case sono state distrutte mentre gli uomini erano al lavoro. La distruzione è avvenuta - in base a un improvvisato piano regolatore - ad opera della città. Le donne e i bambini hanno trovato asilo nella cattedrale, come nel Medioevo.
Ora che vi ho detto in quale modo conflittuale e selvaggio può avvenire il rapporto fra autorità cittadine e politiche di un Paese prospero e i nuovi immigrati in cerca di lavoro, cercherò di descrivere il contrario, cioè il “melting pot”.

  1. Il “melting pot” è un fenomeno, finora, unicamente americano. Si è formato intorno ad alcuni ingredienti che possono essere indicati come segue: un Paese con una identità molto forte non teme di aprire le porte a tutte le culture, religioni e provenienze etniche. Un Paese molto potente chiede, ai nuovi venuti, solo il minimo indispensabile per vivere insieme: leggi, regole, lingua. In cambio distribuisce, almeno nei princìpi, diritti uguali. Un Paese molto ricco non chiude la sua ricchezza in casseforti imprendibili. La scalata è durissima ma non impossibile. E infatti generazioni successive di immigrati riusciranno a partecipare a quella ricchezza. Tutto ciò non cancella iniquità, ingiustizie, penalizzazioni, esclusioni, scontri e sangue. Ma esistono da un lato i princìpi per cui battersi, e dall'altro la libertà. I princìpi sono così innovativi che possono scoppiare disordini per essere ammessi a partecipare a quei princìpi, ma non rivoluzioni per imporli o strapparli: ci sono già. La libertà, anche quando di fatto è negata a lungo ad alcuni, è un principio così forte, che finisce sempre per vincere, anche dopo dure negazioni e sanguinose tragedie. L'America è il solo Paese della storia in cui un governo ha mosso guerra ai suoi cittadini perché essi rifiutavano di liberare gli schiavi. Mi rendo conto che questo è un modo parziale di narrare la guerra di Secessione. Ma non è infondato.
  2. “Melting pot” significa che ogni nuovo venuto deve accettare nuovi vincoli e nuove regole. Gli viene chiesto di aggiungere tratti di identificazione, non di rinunciare a quelli che ha già. Ognuno resta se stesso e in più diventa americano. In questo modo l'immigrato non deve spogliarsi di ciò che è stato, lo resta e diventa anche qualcos'altro. La sua identità originaria può incontrare - di fatto - difficoltà e ostracismi. Ma i princìpi alti insegnano a tutti gli americani che le identità originarie sono da conservare e apprezzare. È vero che vi sono frequenti e drammatiche divaricazioni fra i principi alti e la vita quotidiana. Ma l'esistenza consacrata dei princìpi alti rende funzionante la giustizia ed - entro certi limiti - l'autorità. Immensi errori accadono, ma i princìpi-guida restano intatti di generazione in generazione e portano ad alcuni percorsi esemplari: comandanti militari di vertice, ministri chiave, figure principali del Paese negli ultimi 30 anni appartengono a minoranze che altrove non avrebbero mai avuto alcun ruolo. Ogni anno la lista dei premi Nobel americani include nomi che indicano provenienze dai quattro angoli del pianeta, ma che sono diventati premi Nobel da americani, da immigrati.
  3. Il “melting pot”, proprio quando ha raggiunto il suo livello più alto di integrazione e di garanzia, più o meno sicura, dei diritti di tutti, ha cominciato a cambiare. Non come ritiro o contestazione dei diritti ma nel proporre nuove condizioni. I nuovi venuti, che hanno lottato e si sono affermati come individui, vogliono contare come gruppo. Nasce una nuova affermazione di identità che si esprime col “noi”. Il fenomeno si realizza negli anni Sessanta. Lo innesca il movimento per i diritti civili che esige per i neri americani il grande passo avanti dell'integrazione non di qualcuno (sono gli anni di James Baldwin, di LeRoi Jones, di Langston Hughes) ma di tutti. È facile ricordare l'immensa portata del cambiamento americano di Martin Luther King. Quel cambiamento ha costituito un modello in due sensi. Il primo: il fatto che esistano grandi princìpi come riferimenti costituzionali dello Stato, consentono di invocare quei principi con movimenti che sono contro il problema (il razzismo) ma non contro lo Stato. Lo Stato ha già accettato il principio di rifiutare e condannare il razzismo. Secondo: il movimento per i diritti civili ha risvegliato il senso dell'identità collettiva e delle radici. Mentre prima tutto l'impegno era di diventare americani, adesso molto dell'impegno è ritrovare e proclamare le radici di gruppo.
  4. Nasce qui il grande sviluppo di multiculturalismo e multietnicità come convivenza non di individui ma di grandi gruppi: gli italiani-americani, gli ispanici o latinos, i diversi gruppi orientali. Nasce una nuova America di quote e di equilibri, meno volontaristica e più politica, nel senso che ogni gruppo non solo vuole esibire liberamente e orgogliosamente la propria identità, non solo la fa risalire alle proprie radici. Ma vuole contare.(...)
  5. I due dati più importanti per descrivere il nuovo paesaggio sono il territorio e il linguaggio. Il territorio, adesso, è a macchia di leopardo. Non più la corsa degli individui verso l'accettazione individuale nei quartieri degli altri, ovvero invocare la legge per evitare la discriminazione. Nascono e si moltiplicano i quartieri e le zone suburbane che ospitano una sola religione, una sola lingua, una sola etnìa. Non si può più parlare di ghetti. Le nuove aggregazioni sono volontarie e spesso non sono il risultato di limiti di reddito. Non sono quartieri di classe. Più spesso, al contrario, si tratta di affermazioni orgogliose di identità, che adesso si manifesta nell'inaspettato risultato della separazione volontaria. (...)
  6. Occorre ricordare - a questo punto - la questione dei generi (maschio, femmina) e delle preferenze sessuali (lo stile di vita). La questione delle donne (identità e diritti) e quella dei gay-lesbiche è stata per gli ultimi tre decenni la nuova frontiera dei diritti civili e ha contribuito a disegnare il nuovo paesaggio del “melting pot”. Se a questi due gruppi di azione civile si aggiunge il vasto e attivissimo movimento dei portatori di handicap, si vede bene una nuova situazione basata sull'equilibrio di due punti altrettanto irrinunciabili e contrapposti: accettazione, che vuol dire pari diritti; e autonomia, che è il privilegio di non lasciarsi irregimentare in un esercizio di presunti uguali.
  7. Si situa qui la delicatissima questione del linguaggio. Una volta che il “melting pot” si è trasformato da aggregazioni di individui tendenti all'eguaglianza in aggregazione di gruppi desiderosi di affermare la diversità, occorreva trovare nuove forme di comunicazione fra gruppi. (...) Il codice del “politicamente corretto” è deriso a destra come un tratto molle, femminile, ipocrita della sinistra che vuole aggregare qualunque banda e accettare qualunque bassezza. E viene guardato con disprezzo dall'intelligenza di sinistra che vede in esso una rinuncia, meccanica e priva di senso critico, alla libertà. In realtà il linguaggio politicamente corretto è un ragionevole armistizio fra gruppi che hanno accettato di rispettarsi e di convivere ma sono ancora privi di strumenti per farsi capire e per capirsi. Nell'attesa di un lavoro sociale, politico, culturale che non è ancora stato compiuto sulle nuove diversità, il “politicamente corretto” è un'area di sosta in cui si chiede alle parti che a malapena si conoscono, di accostarsi disarmate. È disprezzato e svilito ma indica un passaggio provvisorio e immensamente utile per sboccare in un'epoca che vada al di là della garanzia, della tolleranza, della accettazione tra separati e dia luogo a un vivere insieme che non vede, non conosce, non vuole né separazione né diversità.


Furio Colombo

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 ilaria ricciotti    - 12-11-2004
Roba da pazzi!
Un essere civile non riesce a trovare parole appropriate per esprimere un tale deprecabile odio di individui verso persone che hanno soltanto la sfortuna di essere nati in un paese povero.
A proposito, anche i leghisti più xenofobi non dovrebbero dimenticare le loro origini di emigranti, ed il fatto che loro sono una minoranza che tuttavia governa, tra alti e bassi, insieme ad altri lo stato italiano.