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Giullare da niente ma indignato
L'Unità - 08-11-2004
Guccini, il Vecchio e la Bambina

«Oddio, proprio lui, ho stretto la mano a lui. Un grande». Lei (riccioli biondi, pantaloni a vita bassa e sacca di stoffa) è una ragazza di diciott'anni che non contiene l'emozione. Lui (che sta seduto in un angolo, fuma e beve del Grignolino) è Francesco Guccini, che di anni ne ha 64. Che cosa sia che unisce questi due mondi così anagraficamente lontani è ancora un grande mistero. Che hanno da dirsi una ragazzina di diciotto anni e quell'omone con jeans, camicia rossa e l'intramontabile barba che diciott'anni li aveva nell'anno di grazia millenovecentocinquantotto?
Il miracolo, questo strano miracolo della musica italiana, s'è ripetuto l'altra sera a Roma al Palalottomatica (che sarebbe il Palaeur che ha cambiato nome ma ha mantenuto la vecchia pessima acustica). Più di due ore di canzoni e un pubblico (almeno diecimila persone) vivo, forte, combattivo. Età: dai 14 ai 60. Segni particolari: la voglia di esserci.
Quel che colpisce è già nell'incipit. Lui appare sul palco, non fa nemmeno in tempo a prendere in mano il microfono ed è un boato che dura a lungo. Verrebbe da dire a questi ragazzini che si agitano nel parterre e si sbracciano dalle gradinate: calmi, non è Gandhi, nemmeno Luther King, non è Enrico Berlinguer, nemmeno Che Guevara. È solo un bravo cantastorie che attraversa la nostra vita raccontandoci la vita. Ma non c'è verso: è così dall’inizio alla fine. Si alzano i cori quando “lunga e diritta correva la strada, l'auto veloce correva”, si urla a squarciagola “io non perdono e tocco”, si dondola alla luce degli accendini ricordando che “ad Auschwitz c'era la neve e il fumo saliva lento”, ci si commuove immaginando che “il sole brillava di luce non vera” e si scatta in piedi pensando “a un mondo nuovo e a una speranza appena nata” e si sognano “parole che dicevano gli uomini son tutti uguali”. Nemmeno un attimo di calmo fuoco, si vibra tra passato e futuro, tra quel che eravamo e quel che saremo (o potremmo essere).
Alla fine, davanti a lui sfiancato da due ore di concerto, che ironizza sui giornalisti e dice, scherzando, che l'Unità è un giornale conservatore (”Leggete Libero e il Foglio…” - sorride - “Ma sì, anche il Riformista, va...”) ci resta la stessa domanda dell'inizio: perché Guccini coinvolge così tanto? Proviamo a dire. Forse perché è uno dei pochi cantautori rimasto fedele a se stesso: canta e scrive le stesse cose da quarant'anni. Racconta dell'ingiustizia, della voglia di lottare, della questione morale, dei politicanti, della tv di nani e ballerine con lo stesso entusiasmo di quando anche lui era un ragazzino. È una persona coerente. Vuol dire che la coerenza fa bene in un Paese dove sono così tanti i voltagabbana? Diciamo di sì, e questa già è una notizia.
Forse Guccini coinvolge anche perché le sue strofe restano in testa, perché la musica non si perde nella ricercatezza e va dritta al cuore, perché in fondo basta un giro di do a dare sostegno a un discorso e forse perché se si prende in mano una chitarra Guccini ti resta tra le dita.
Forse Guccini coinvolge anche perché sa essere ironico con il coraggio di chi sa di non avere nulla da perdere. Sa prendersi in giro e sa provocare il suo pubblico senza timori. Sa dire per esempio: ora che Bush ha vinto sono cazzi vostri. Per molti ragazzini quell'omone potrebbe essere addirittura un nonno, ma è un nonno che usa parole diverse da quello che è a casa e sa sentire l'umore che freme tra i capelli dei diciottenni.
Ma Francesco Guccini, “giullare da niente ma indignato”, forse coinvolge anche e soprattutto perché ha parole semplici da dire: c'è un mondo brutto e uno meno brutto (e quello bello deve ancora venire e forse, se ci crediamo di più, magari succede che viene), dice no alla guerra, no al mondo del consumismo facile, no ai personaggi cicaleggianti della tv, no alla politica fatta dai ragionieri e da chi non sceglie e non prende parte, no a chi è amico di tutti perché poi non si sa mai. Certo, lo sappiamo: mica basta dire no. Ma Guccini, quanti sì sa dire? Sì alla pace, sì alla politica pulita e viva, sì alla passione che muove il mondo, sì al sogno che può diventare realtà, sì alla giustizia sociale, sì alla solidarietà, sì alla sinistra che parla chiaro e non ci gira attorno, sì agli occhi che sanno vedere, sì agli uomini che sanno cercare e cercare ancora.
E se fosse questo, in fondo, il motivo vero per cui i suoi concerti sono una bella festa di passione e di vita? Non sarà per caso che quel che avviene lì davanti al palco (passione, canto, indignazione, musica, bandiere della pace, drappi rossi, sogni ad occhi aperti) è proprio quello che la sinistra non riesce più a far muovere? Se fosse così sarebbe un bel problema. E Guccini stesso, crediamo, sarebbe d'accordo.

Pietro Spataro


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