Il sottosegretario
Giuseppe Vegas, non osava credere alle sue orecchie quando il deputato di Rifondazione,
Alfonso Gianni, si è messo a leggere in aula a Montecitorio la lista dei «nuovi lavori» che si potrebbero rendere disponibili per i giovani con la
legge 30, ribattezzata Biagi e in particolare con il sistema del job on call, ovvero il lavoro a chiamata. Con puntiglio da notaio, Gianni continuava: «Custodi, guardiani diurni, guardie daziarie, cavallanti, stallieri e addetti al governo dei cavalli e del bestiame, personale addetto alla sorveglianza degli essiccatoi, addetti alla sorveglianza degli apparecchi di sollevamento e distribuzione di acqua potabile...». Ma cosa leggi? gli ha chiesto tra l'infastidito e l'incuriosito Vegas. Sto leggendo il
Regio decreto del 6 dicembre 1923, n.2657, a cui si fa riferimento per l'applicazione del decreto legislativo del 2003 sul lavoro a chiamata. L'elenco delle attività ammesse per il lavoro intermittente sta dunque nel decreto del `23, un anno dopo la marcia su Roma e l'avvento del fascismo. Naturalmente è solo un caso e né il ministro Maroni, né i suoi hanno mai pensato di poggiarsi sulle norme littorie come scelta ideologica. Che c'entra il fascismo con le modernissime leggi della precarietà? Non ci credo che noi abbiamo varato una norma del genere, ha detto Vegas. Allora il deputato Gianni gli ha offerto una copia della pag. 29 del «Sole 24 ore» del 23 ottobre 2004. Se siete curiosi e non vi fidate di noi e del deputato Gianni, andate a
leggere la tabella completa dei «nuovi» lavori. (p. a.)