La forma dell'articolo ricevuto, sintesi di un incontro certamente più ampio ed articolato, non facilita la comprensione di tutti i concetti espressi.
Pubblichiamo però il pezzo perchè ci pare uno sguardo esterno che si posa sul mestiere dell'insegnante ritagliandone alcune caratteristiche sulle quali sarebbe interessante discutere, soprattutto nell'attuale fase di cambiamento.
Poniamo anticipatamente alcune domande all'autrice e a chiunque voglia rispondere.
Esiste ancora davvero la distanza tra un primo ed un ultimo in una classe che abbiamo imparato a chiamare gruppo?
Cosa cambierà con la Riforma che tende invece a creare comparti personalizzati?
E' più realistico affermare che la scuola serva a chi non ne ha bisogno o non serva chi ne ha bisogno?
A quali trampoli possono far ricorso oggi gli insegnanti per uscire dalle paludi che popolano le loro classi?
Sotto il fascismo non si trovavano produzioni critiche sull’insegnamento e il modo di fare scuola perchè la situazione era stabile o perchè parlare comportava qualche problema?
Quale "progetto scuola" sta avanzando attualmente, tale da arginare le oscillazioni umane e massmediatiche che ci circondano?
Ci pare che la crisi attuale della scuola sia stata indotta da una situazione nazionale ed internazionale poco incline alla costruzione di una democrazia partecipata e ad un sistema pubblico condiviso: come possiamo definire questo postilluminismo dal cui buio ci troviamo avvolti?
Dal punto di vista concettuale, quali analogie possiamo stabilire tra complessità e complicazione, riferite all'esperienza scolastica quotidiana alle prese con fuori e dentro mai del tutto risolti?
[Redazione]
La prima citazione è da “
Ex catedra” di Domenico Starnone, in cui si legge all’inizio “
nessun insegnante ama davvero, senza riserve, i primi della classe”.
Il ritratto del primo della classe non risulta impositivo, ma rappresenta tutto ciò che non ha l’ultimo della classe. Esiste un testo di Dino Provenzali intitolato “
Manuale del professore perfetto” edito nel 1921, in cui si ritrovano in maniera allarmante molti dei problemi aperti attualmente nella scuola. Tutte le volte che vediamo riprodursi i problemi quasi identici non significa che niente cambia, che il mondo è sempre uguale, ma che un tempo vi erano enormi problemi aperti all’origine e che per quanto si sia fatto nel giro di un secolo non si è ancora trovata soluzione. Gli ultimi della classe sono in qualche modo una sintesi dei problemi aperti a livello sociale e scolastico. Il primo della classe è come un problema risolto, una questione che non sussiste più per gli insegnanti, mentre l’ultimo della classe è un fardello di contraddizioni e di interrogativi continuamente irrisolti. L’ultimo della classe rappresenta la prova tangibile che in un gruppo di scolari, il lavoro di un insegnante si scontra sempre con difficoltà onerose. L’area a cui viene rivolta l’attenzione degli insegnanti è quella dei mediocri, che nei consigli di classe viene sommariamente definita e presentata in questi termini “la classe per andare bene, va… c’è un piccolo gruppo che lavora molto, molto bene. C’è un gruppetto che disturba moltissimo e prima ce ne sbarazziamo e meglio è, e al centro c’è una palude di gente che lavora e non lavora, stenta a studiare” però quella “palude” è il gruppo su cui l’insegnante si è impegnato maggiormente, perché sul primo della classe non occorrono interventi, l’ultimo della classe sta quieto e non è un problema, è lì, nella “palude”, che l’insegnante si concentra e sperimenta la fatica e la difficoltà di insegnare. Quando comincia ad avvilirsi, a perdere colpi, allora inizia a dire che sussiste un’area di mediocri: sono le frasi fatte degli insegnanti che non vanno prese come un abbassamento della figura docente, ma segnalano dei problemi. Lì viene indicato che ciò che l’insegnante vorrebbe fare e gli obiettivi prefissati, ogni anno sono falliti. Ogni anno scolastico l’insegnante scopre che la fatica intrapresa e il desiderio di ottenere risultati migliori, sono, in qualche modo, andati al disotto delle aspettative. Proprio in quell’area di mediocri sussiste la realtà della scuola, mentre invece il primo e l’ultimo della classe sono veramente figure per molti aspetti simboliche e rappresentative. Il primo della classe per l’insegnante è un ragazzo che se anche non avesse frequentato sarebbe sempre stato così. L’ultimo della classe è un ragazzo di cui presto l’insegnante si convince che doveva venire a scuola, ma è come se non ci fosse mai stato. “
La scuola serve nella sostanza a chi non ne ha bisogno”: è una battuta brutta, cattiva, ma significativa, indica quanto in realtà gli insegnanti per testimoniare un buon lavoro, andando ad indagare sul gruppo di mediocri, scoprono che sicuramente alcuni di loro, magari non tutti, avrebbero dato magnifici risultati anche senza l’ausilio del corpo docente, allora si scopre una situazione avvilente che porta quel meccanismo di frustrazione in cui la realtà scolastica ha imperversato fino ad oggi. Nella letteratura scolastica si ha l’impressione che la scuola sia stata permanentemente in crisi; si avverte che l’insegnante sembra aver vissuto la propria professione sempre come un fallimento. Gli insegnanti scrivono molto sulla scuola nel momento in cui subentrano grandi mutamenti. Nel momento in cui l’istituzione scolastica appare stabile, per esempio, sotto il fascismo, è difficile trovare produzioni letterarie critiche sull’insegnamento e il modo di fare scuola. Appena cominciano i momenti di ebollizione, come il ’68, ma anche per esempio il primo grande passaggio da una scuola elitaria a un progetto di scuola di massa, nei primi anni del 900, si sferra un attacco frontale alla scuola in cambiamento e che sta introducendo gente meritevole di starsene al di fuori. La nuova tendenza strisciante all’interno della realtà scolastica è il presupposto che l’insegnante è libero di professare la lezione e uscire dall’aula, quando ha finito, ma non è mai stato così, perché la scuola pubblica è un’entità complessa, è un progetto molto complicato nato con l’illuminismo e che continua ad andare avanti in una fase in cui l’illuminismo è decaduto. Quindi si assiste ad un “progetto scuola” che avanza, mentre la società intorno oscilla continuamente tra dittature e culti dell’uomo della provvidenza e culture dei massmedia. E’ chiaro che la scuola muovendosi tra queste oscillazioni si trova in crisi permanente.
Il disagio invisibile: ciclo di incontri presso la CASA DELLA CULTURA di Milano, in collaborazione con IARD, Il Minotauro, e con il patrocinio dell’Ufficio Scolastico per la Lombardia e la Regione Lombardia
Anita - 27-10-2004
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Ho cercato su Internet il manuale citato, ma non ho trovato granchè, se non che il nome dell'autore non è Provenzale ma Provenzal e che si parla di perfetto professore, non di professore perfetto: sciocchezzuole, ma la perfezione è il 100%, lo sanno tutti. Quindi talmente inarrivabile che perfino Domenico Starnone si diverte a prendere in giro la scuola dove accade di tutto, glorie e perfidie.
Però Starnone, e grazie a Fuoriregistro che me lo ha fatto conoscere, non tira conclusioni azzardate come quelle per cui i docenti sono tutti da psicanalizzare o soffocati dal loro lavoro.
I docenti non sono diversi da altri lavoratori: hanno gli stessi limiti e le stesse carenze. Con in più quattro soldi e molte preoccupazioni nel dopolavoro...
Quello che trovo però allucinante nell'articolo è l'affermazione per cui "in quell’area di mediocri sussiste la realtà della scuola". Probabilmente chi lo ha scritto a scuola non ci mette piede, fa analisi sui vari burnout perchè è un bel businnes oggi come oggi ma non prende per nulla in considerazione le migliaia di classi italiane che ogni mattina lavorano insieme cercando di dare un senso comune a quanto insieme imparano.
Che poi si trovi una giustificazione al fatto che questo senso è meglio non cercarlo e quindi ci vuole una bella riforma lavapiatti o scacciapensieri mi pare un'operazione molto parziale, per non dire altro.
Bei fenomeni. |