Studiare una lingua straniera: quando non è una questione di parole
Rosa Maria Lombardo - 18-10-2004
Chi insegna lingue straniere ai bambini, anche piccoli, ha modo, dopo poco tempo, di rendersi conto della valenza formativa di questa esperienza. L’esperienza di accostamento del bambino alla L2 consente di lavorare sui suoi processi conoscitivi e sulla sua struttura cognitiva secondo una pluralità di stimolazioni che coinvolgono il bambino su più fronti, a livello di aree funzionali e quindi di abilità e competenze.
I Nuovi Programmi del 1985 prima e le Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e primaria, (Riforma Moratti) adesso, ci hanno abituato ad un discorso, sulla didattica della L2, che ha visto impegnati i maggiori esperti del campo, in fecondissimi dibattiti a cui si sono formati centinai di docenti, compreso chi scrive , e che hanno portato nella scuola l’idea della L2 come strumento della didattica, come mediatore di apprendimenti, non come fine.
Eppure quegli stessi docenti, spesso sono stati costretti a fare i conti con la delusione di genitori che immaginavano i propri figli esperti della L2 studiata, già dopo uno o due anni. Abbiamo anche imparato ad arginare colleghi concentrati sulle prestazioni della classe e impegnati ad aggiornare costantemente gli obiettivi della programmazione, nell’intento ultimo di completare quanto programmato.
Nonostante tutto in questi anni si aveva la sensazione di stare andando avanti; il Quadro Comune Europeo di Riferimento per la Lingua riportava al centro del lavoro didattico il tema dell’uso vivo della lingua straniera agganciando spunti di rilievo con un lavoro costantemente interrelato con gli ambiti dell’educazione alla cittadinanza, dell’integrazione e dell’intercultura, ma anche dell’educazione socio-affettiva.
Ci abbiamo creduto…ora l’idea di docenti da formare per insegnare la L2, in questo caso ormai solo l’inglese, riapre la ferita… (e poi perché solo l’inglese? Ma questo è un altro discorso…e se la L2 è formativa anche il dialetto del proprio paese assolve benissimo allo scopo) e siamo lì nuovamente a chiederci chi ha veramente capito cosa sia la didattica della L2.
Potremo più parlare di una didattica della L2 o dovremo parlare di didattica dell’inglese? Le altre lingue infatti, destinate ad ore aggiuntive e ai laboratori, si sa che passeranno attraverso un filtro percettivo, collettivo, professionale e non, che ne segnerà la perdita di valore didattico, le renderà scolasticamente poco spendibili contribuendo così all’attecchire di stereotipi culturali che potenziano una lingua e la sua cultura piuttosto che un’altra.
L’urgenza di avere le classi coperte da insegnanti di inglese a quale bisogno risponde?
Si tratta di formare i colleghi all’insegnamento della lingua straniera o ad una didattica della lingua straniera? Di una in particolare? Siamo su piani diversi. Soprattutto nella percezione da parte del senso comune, che è poi quello che costruisce e media l’idea generale della scuola italiana.
Insegnare una lingua, può significare, sostanzialmente insegnarne le parole, ma non solo perché le parole senza significati non hanno valore e i significati li conferiscono i parlanti, per ogni luogo, per ogni contesto , in modo specifico, secondo una storia, secondo un punto di vista che si è costruito nel tempo, dentro la storia, di quella cultura con il mondo, di quelle persone fra di loro, di ogni individuo con sé stesso.
La didattica della L2 allora, alla luce di questo, non ci appare come un percorso un po’ più complesso ed ampio di quello che il senso comune percepisce e percepirà , in conseguenza anche di continui cambiamenti che hanno investito questo ambito di studio?
Cosa devono imparare i nostri bambini?
Devono imparare qualcosa?
O possono ragionevolmente imparare di potere imparare?

Non è un gioco di parole!
Torna la perplessità su quello che l’utenza adulta, i genitori, ma anche i docenti, percepiscono di tutto questo movimento attorno alla L2, se vengono messi nella condizione di capire per cosa ci si sta muovendo: per insegnare una lingua o per fornire ulteriori strumenti di crescita ai propri bambini?
Personalmente, avendo lavorato con la L2, sono per un uso educativo della stessa; è l’esperienza di immersione nella lingua straniera che stimola l’intelligenza dei bambini e ne coinvolge la curiosità verso un diverso di cui amano scoprire ogni particolarità, muovendo soprattutto dai bambini che parlano quella lingua, dai loro coetanei stranieri.
In tempi in cui un’ alta percentuale di bambini italiani ha notevoli difficoltà di letto-scrittura e problemi dell’attenzione è da valutare l’eventualità di non centrare il lavoro didattico su parole incomprensibili che, oltre a mettere in crisi chi già fa fatica con l’italiano, richiedono tempi di concentrazione più lunghi del consueto.
La lingua straniera, invece, sgravata dal peso delle parole come contenuti da apprendere, diventa un’opportunità di lavoro interdisciplinare e multidiscilplinare a partire da un budget limitato di parole. Bastano infatti poche battute, quelle del saluto ad esempio, a creare contesti di immersione, esperienze educative in cui il bambino viene aiutato a camminare nello spazio e nel tempo, fra le regole e le norme sociali, le convenzioni e la loro storia, i rapporti affettivi e l’organizzazione sociale, il ruolo della donna e quello dei minori, la famiglia e la società.
D’altra parte non sfugge ad un lavoro di questo tipo un’immersione nella linguistica più avanzata poiché sono i bambini i primi a cominciare a parlare della parole, a confrontarle, smontarle, comporle e ricomporle, incuriositi da questi strani parallelismi, da somiglianze, assonanze e dissonanze linguistiche e cognitive.
L’apprendimento della lingua ruota attorno ad alcuni concetti centrali che nella didattica richiedono un lavoro attento e un continuo coinvolgimento, metacognitivo e metalinguistico, degli alunni: dalla lingua come segno convenzionale , come convenzione tra un significato e un significante che richiama in causa, rispettivamente l’aspetto della comunicazione e della comprensione , quello del suono (fonema) e del segno ( grafema); alla lingua come mezzo di comunicazione in cui la decodifica e la codifica costituiscono lo sfondo dei processi che coinvolgono, alternativamente e circolarmente, l’emittente ed il ricevente, l’ascolto quindi e la lettura, il parlato e lo scritto e chiamano in causa una serie di abilità e competenze che trasversalmente attraversano tutto il lavoro scolastico e la crescita del bambino in generale.
La riflessione metalinguistica che viene messa in gioco richiama ad altre funzioni cognitive che vedono i nostri bambini impegnati a classificare, seriare, ordinare le parole. La percezione viene sollecitata insieme all’attenzione poiché i suoni richiedono molta attenzione e la memoria gioca un ruolo importante per la memorizzazione di parole ma anche di semplici regole. La funzione intuitiva del nostro cervello risponde a quell’esigenza di sintesi che consente di formare una Gestalt di significati laddove ci sarebbe solo un’insieme di suoni da tradurre uno per uno su vocabolario; linguaggio verbale e non verbale si incontrano e mettono al servizio del nostro bisogno di capire sollecitando un’attenzione verso aspetti non verbali della comunicazione; dalla prosodia alla mimica e alla gestualità, i canali considerati meno nobili della comunicazione, trovano invece un posto d’onore nella didattica della L2 che diventa così un’opportunità di crescita per gli alunni e per i docenti.
Non ho remore a dire che spesso i nostri migliori formatori siano stati i bambini, quando siamo stati in grado di ascoltarli e osservarli senza pregiudizi.

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 Laura Fineschi    - 24-10-2004
Sono un'insegnane di inglese, per puro caso. Quando sono entrata alle medie sono stata sorteggiata in una sezione di inglese anzichè in una di francese, quindi ho studiato inglese anche all'istituto magistrale. Ad un paio di mie colleghe è andata diversamente: a scuola hanno imparato il francese, e fino ad un paio d'anni fa l'hanno a loro volta insegnato ai loro alunni. I genitori delle loro classi non erano troppo entusiasti di non avere inglese, ma li si intortava un po' con discorsi tipo questi "La lingua straniera, invece, sgravata dal peso delle parole come contenuti da apprendere, diventa un’opportunità di lavoro interdisciplinare e multidiscilplinare a partire da un budget limitato di parole. Bastano infatti poche battute, quelle del saluto ad esempio, a creare contesti di immersione, esperienze educative in cui il bambino viene aiutato a camminare nello spazio e nel tempo, fra le regole e le norme sociali, le convenzioni e la loro storia, i rapporti affettivi e l’organizzazione sociale, il ruolo della donna e quello dei minori, la famiglia e la società" e un pò si convincevano, un po' si rassegnavano.

Ma adesso queste colleghe si sono ritirate in buon ordine. Una fa francese come laboratorio, in una piccola parte delle sue ore, l'altra non vuole più saperne, ed è stata qualificata come insegnante di lingua straniera "non utilizzabile" perchè insegna in prima e la Moratti il francese non lo prevede. Quando io ho protestato, tirando fuori argomentazioni del tipo "personalmente, avendo lavorato con la L2, sono per un uso educativo della stessa; è l’esperienza di immersione nella lingua straniera che stimola l’intelligenza dei bambini e ne coinvolge la curiosità verso un diverso di cui amano scoprire ogni particolarità", loro stesse mi hanno risposto: "Lascia perdere, Laura, tanto è inutile: i genitori il francese proprio non lo vogliono"