San Francesco e il Sultano
Pierangelo - 04-10-2004
Oggi è San Francesco.

In questi tempi difficili, un solo episodio della vita di San Francesco d'Assisi diventa più importante di tutti gli altri: l'incontro con il Sultano. Lo riporto dalla lettera che il recentemente scomparso Tiziano Terzani ha scritto ad Oriana Fallaci.


Mi frulla in testa una frase di Toynbee: «Le opere di artisti e letterati hanno vita più lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno più in là degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di più di tutti gli altri messi assieme». Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per «gli altri», per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provò una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufragò e lui si salvò a malapena. Ci provò una seconda volta, ma si ammalò prima di arrivare e tornò indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l'assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati («vide il male ed il peccato»), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c'era ancora la Cnn - era il 1219 - perché sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell'incontro. Certo fu particolarissimo perché, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all'accampamento dei crociati. Mi diverte pensare che l'uno disse all'altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d'accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressività e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma oggi? Non fermarla può voler dire farla finire."

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 Pierangelo    - 05-10-2004
Dopo Ponzio Pilato... San Francesco. Non è che Fini bisogna rimandarlo al catechismo?

da Repubblica del 5.10.2004

IL CASO

Cerimonia per il patrono d´Italia. Bindi e Pecoraro: così si offende la figura del frate d´Assisi

Fini "rilegge" San Francesco: ammetteva la legittima difesa

di ORAZIO LA ROCCA

ROMA - «San Francesco non condannò mai l´uso delle armi per la legittima difesa». Il Poverello d´Assisi secondo Gianfranco Fini. La rilettura degli insegnamenti del santo patrono d´Italia da parte del vice premier arriva nel momento più alto della cerimonia svoltasi ieri al Sacro Convento di Assisi per la festa di San Francesco, alla quale Fini partecipa in rappresentanza del governo. E in questa veste gli tocca il compito di leggere il «messaggio agli italiani», occasione che il vice premier dà l´impressione di voler sfruttare per rileggere il pensiero francescano in chiave politica e, indirettamente, in sintonia con le posizioni dell´attuale governo, a partire della presenza italiana in Iraq. Francesco - ricorda in apertura Fini - «desiderava la pace come mezzo al servizio del bene comune». Affermazione ineccepibile subito dopo «corretta», a sorpresa, da una analisi che ha fatto storcere il naso a quasi tutti i frati presenti: la regola francescana «non proibì l´uso delle armi per la legittima difesa, ma l´aggressione armata». «Una nozione importante - osserva sicuro Fini - nell´epoca attuale, in cui la libertà deve essere difesa ogni giorno dalle persone in divisa». Francesco - continua il vice premier - «non aizzò rivolte sociali, nè l´invidia dei deboli contro i potenti, insegnando l´umiltà dei doveri e non predicando la lotta di classe. Con i potenti - annota con sicurezza - si comportava con grande realismo e spirito di equilibrio. Fu con questo atteggiamento che si recò in missione di pace presso il sultano d´Egitto». Un episodio storico che il vice premier porta a modello per la soluzione degli attuali conflitti: «E´ con questo stesso spirito che oggi va affrontato il confronto con altre culture e religioni, per portare un autentico contributo di pace, verità e libertà, senza mai rinunciare alla nostra identità». E anche per questo, conclude Fini, «è importante» che la ricorrenza del 4 ottobre venga elevata a festa nazionale.
«E´ scandaloso strumentalizzare San Francesco per incentivare la guerra e questa vergogna che vediamo in Iraq», attacca il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. «Invece che dichiarazioni ancora una volta a favore della guerra, per la festa di San Francesco - suggerisce l´esponente verde - sarebbe utile un vero gesto del nostro Paese per il cessate il fuoco e per la fine dei bombardamenti». Critica anche Rosy Bindi (Margherita): «Il tentativo di omologare la figura e la predicazione di Francesco alle categorie della realpolitik, distinguendo tra mezzi e fini, è un´offesa allo spirito francescano e alla scelta incondizionata e non violenta per la pace di Francesco. Il vicepresidente del Consiglio - taglia corto Rosy Bindi - ha fatto una caricatura di Francesco... è davvero triste per la coscienza nazionale che ci si eserciti in banali prove di revisionismo storico applicato alla vita dei santi».

 Pierangelo    - 05-10-2004
Sempre sullo stesso numero di Repubblica, la reazione dei Francescani al discorso di Fini.

L´INTERVISTA

Padre Coli, custode del Sacro Convento: i politici fanno sempre ritratti parziali

"Pericoloso parlare così del Poverello"

"L´importante è aver recitato il Padre Nostro con l´imam"

ROMA - «Bisogna essere cauti: prima di fare certe affermazioni, occorre verificare se storicamente San Francesco ha veramente autorizzato l´uso delle armi per la legittima difesa». Parola di padre Vincenzo Coli, Custode del Sacro Convento, che pur dicendo di voler rispettare il pensiero «francescano» di Fini non ne sposa completamente l´analisi. Come fanno anche gli altri frati del Sacro Convento. Il portavoce, padre Enzo Fortunato, preferisce infatti sorvolare sul messaggio di Fini, e parlare «del grande significato del gesto dell´imam di Perugia e di padre Coli che hanno recitato per la prima volta insieme il Padre Nostro stringendosi le mani».

Padre Coli, è giusto «usare» San Francesco per fini politici?

«E´ da 1939 che festeggiamo il 4 ottobre invitando i rappresentanti del governo. Ebbene, i politici hanno sempre parlato del Poverello in funzione delle loro problematiche. Hanno sempre "ondeggiato" con letture parziali e decontestualizzate».

Ma è vero che Francesco non condannò l´uso delle armi per la legittima difesa?

«Un fatto è certo: Francesco era un uomo del suo tempo, e prendere le sue parole senza tenere presente il contesto in cui operò può essere pericoloso».

E´ vero che Francesco si recò dal sultano d´Egitto.

«Ma ci andò a mani nude, solo con la forza della fede. Trovò poi una persona illuminata come il sultano El Kamil col quale parlò come un fratello. Ma non portava armi. Francesco voleva solo parlare di pace. E´ questo il suo autentico insegnamento».
(o. l. r.)

 Anna Pizzuti    - 05-10-2004
Segnalo da altra lista

per Fini S.Francesco era favorevole all'uso delle armi

In occasione della festa patronale di San Francesco il vice presidente del consiglio Fini ha detto che Francesco d'Assisi non aveva mai condannato
l'uso delle armi.
Altri argomentaranno con maggiore puntualita' ma ricordo come Francesco d'Assisi abbia abbandonato la carriera militare (anche quella che difendeva
la sua citta') e non ha organizzato crociate (anzi e' famoso il suo incontro con il sultano di Tripoli).
Se la retorica fascista e violenta arriva a queste mistificazioni significa che sono in difficolta' e che ci sono grandi opportunita' per il movimento
per la pace, a patto di non avvitarsi in un vittimismo e in una autoflagellazione compiacente.

A.B. da Peacelink

 Pierangelo    - 05-10-2004
E da l'Unità del 5.10.2004

San Francesco della mitraglia
di Maurizio Chierici

La virtù di Fini è contemplata dalla piacevolezza con la quale racconta ciò che tutti già sappiamo ma che è bello ripassare in Tv assieme al vice di Berlusconi. Una specie di Pippo Baudo della politica: dice bene il niente, con la differenza che Baudo annuncia nuovi ospiti o nuove melodie mentre Fini canta sempre le stesse cose. Ieri ha cambiato repertorio: per la prima volta lo spartito coinvolgeva San Francesco. Si è esibito con voce sicura, aggrottando la fronte, insomma mimando l'autorità che il decisionismo impone. Solo gli occhi inseguivano sorridenti la macchina da presa, ma è una tentazione veniale in chi finalmente ha le sue Tv.
Prendere appunti quando parla Fini vuol dire lasciare il quaderno immacolato. Mai un'idea, mai una risposta concreta. Vecchi rimpasti nei colori che tranquillizzano: «Stiamo programmando… La nostra agenda lo prevede…». Nessuno come lui sa esecrare o aggrapparsi alla forza del luogo comune ripetuto con l'ansia di uno spot.
Bisogna riconoscere che la celebrazione francescana non è stata un fulmine a ciel sereno. Le Acli gli hanno dato una mano ad aggiornare il repertorio che ad Assisi ha raggiunto l'acuto più alto. Da qualche tempo le sue parole rivelano mondi sconosciuti alla gente normale. Tanto per capire: Fini ci ha informati che nazisti e ragazzi di Salò lavoravano d'amore e d'accordo per bruciare gli ebrei. Se ne è accorto all'improvviso, durante il viaggio in Israele. E con l'emozione del Colombo che scopre l'America osservando il volo di un gabbiano, l'altro ieri proponeva di fare ascoltare in Italia le parole dell'ulema più venerato al Cairo. Perché esiste un Islam moderato che condanna il terrorismo. L'ho ascoltato con le mie orecchie, vi giuro: è vero. Tenerezza di un signore di mezza età inconsapevole alla scoperta del mondo.
Deve essere stato il piacere di aprire in modo diverso le pieghe della storia, a fargli dire, ieri, ad Assisi che «San Francesco considerò sempre la pace come un mezzo al servizio del bene comune, non come fine». Quasi un tram. Dopo il capolinea si torna indietro. Ed è bene che i teologi incartapecoriti sulle vecchie favole del San Francesco della fraternità, scoprano l'altra faccia del poverello d'Assisi. Parola per parola, eccolo: «Non condannò mai l'uso delle armi per legittima difesa. Nozione importante nell'epoca attuale in cui la libertà deve essere difesa ogni giorno dalle persone in divisa». Poveri fedeli, finora imboniti dai parrucconi: sono ancora convinti che il Francesco partito per fare la guerra, alla ricerca di fortune ed onori, conosciuta la guerra ne sia fuggito disfacendosi delle armature preziose regalate dal padre. Mai più divise e bandiere. Adesso lo sappiamo: balle dei baciapile. Imbrogliano la storia. Perché Francesco ha dimostrato «realismo ed equilibrio con i potenti». Deve essere falso il racconto di San Bonaventura che riporta il dialogo del piccolo frate con i corvi che pendevano dai rami della foresta umbra, incontrati mentre tornava dal Vaticano. «Fratelli corvacci, che avete becchi lunghi, andate a Roma a punzecchiare i cardinali». Chissà perché, con atto di fede, Fini ha confuso il rispetto verso il potere di Francesco con la devozione al potere del famoso giornalista TG. Oltre a non parlar male delle armi di difesa (silenzio/assenso che anticipa nei secoli le abitudini del governo), la pagina più virtuosa del protettore d'Italia è l'essere andato «in missione di pace dal Sultano d'Egitto. Con questo spirito va affrontato il confronto con altre culture e la religione». Nessuno finora aveva avuto questa idea. Il genio di Fini apre prospettive impensabili alla pace in divisa.
Forse chi ha preparato per Fini le ripetizioni full time, tre ore di francescanesimo intensivo, ha dimenticato qualche pagina ritenuta inutile al discorso di Assisi. Finora i credenti erano sicuri che Francesco fosse andato in Oriente per convertire i crociati alla pace, invitandoli a deporre le armi, rinunciando al sangue delle conquiste più che altro commerciali. Non nascondeva la sua lettura radicale del Vangelo. Ecco perché il sultano lo ha accolto con l'attenzione che ancor oggi accompagna nelle città della guerra l'arrivo di chi porta la pace.
Lo stravolgimento di Fini è totale, non dovuto alla malafede. Scoprire storia e democrazia nei corsi accelerati comporta piccole sfasature. Perfino Valentino Rossi per diventare dottore ha dovuto ripetere i corsi per corrispondenza del Cepu. Chissà perché, a nome degli italiani, Fini non si è incuriosito sull'identità del lupo che Francesco ammonisce. Animale o simbolo dei nemici che la paura e la mancanza di fede ingigantiscono nella pigrizia dei pigri?
Resta un dubbio: Francesco potrà perdonare il discorso del vicepresidente degli Italiani? Sicuramente sì, è la pazienza di un santo. Messa purtroppo a dura prova da chi ha accettato che un politico di routine si improvvisi moralista francescano. Come chiedere al ministro delle difesa Martino di commemorare il pacifismo di don Mazzolari, che è stato cappellano militare ed ha poi dedicato la vita a combattere guerra e violenza. Forse Martino non ha mai fatto la naia come Fini non ha mai fatto penitenza.

 Pierangelo    - 06-10-2004
da Repubblica del 6.10.2004

MA SAN FRANCESCO ERA PACIFISTA
Intervista alla storica Chiara Frugoni

di NELLO AJELLO

«Quella di Francesco di Assisi fu sempre una pace senza se e senza ma», dice Chiara Frugoni, la massima studiosa italiana del Santo, autrice di volumi molto apprezzati, da Vita di un uomo: Francesco d´Assisi a Francesco e l´invenzione delle stigmate, ambedue editi da Einaudi. Invitata a commentare il «messaggio agli Italiani», pronunziato l´altro ieri da Gianfranco Fini alle celebrazioni francescane di Assisi («San Francesco non condannò mai l´uso delle armi per la legittima difesa»), la scrittrice lo definisce così: «Un´operazione ambigua, perché suggerisce l´ipotesi che con le armi e con la guerra Francesco avesse fatto qualche compromesso».

Una lettura politica, insomma, della lezione francescana?
«Una lettura erronea, direi. Nel testo di Fini, c´è una confusione evidente. Per evitare la quale - a patto di volerlo - bastava poco: uno sguardo alle Lettere di Francesco, alle Regole da lui elaborate, al Testamento. Ne emerge che la pace è l´atto costitutivo della sua dottrina e della sua azione. Ciò non esclude che un certo numero di frati francescani abbia poi potuto sedersi nei tribunali dell´Inquisizione. E´ tanto più essenziale, perciò, operare una distinzione fra Francesco e il francescanesimo. Ecco che cosa manca, fra l´altro, al "messaggio" di cui parliamo».

Per sostenere che quello di san Francesco fu un pacifismo relativo, e che egli non dissuase alcuno dal portare armi almeno come legittima difesa, il vicepresidente del Consiglio si rifà a un documento del terzo ordine francescano, emanato nel 1228, confermato poi da papa Niccolò IV. Vi si leggeva che l´uso di armi era consentito in caso di «difesa della Chiesa romana, della fede cristiana, della terra», e con il consenso dei superiori.
«E´ un documento che con Francesco non c´entra nulla. C´è una svista temporale. Nel 1228 il Santo era morto già da due anni, e la conferma da parte di Niccolo IV si sarebbe avuta addirittura sullo scadere del secolo XIII. Di fatto, in nessuna delle Regole di san Francesco, né in quella "non bollata", né in quella "bollata" (che ottenne cioè l´imprimatur pontificio nel 1223), si parla mai di armi. E ciò, in un´epoca irta di guerre, - fra Assisi e Perugia, fra Papa e Imperatore, per non parlare delle Crociate -, suonava quasi incomprensibile. Lo stesso saluto francescano - "Pax et bonum", "Pax huic domui", pace e bene, pace a questa casa - spingeva molti contemporanei a considerare i primi francescani dei puri folli».

Nel messaggio di Fini si legge, fra l´altro, che Francesco riportò la pace fra Chiesa e Stato.
«Non direi proprio. Egli era del tutto fuori da ogni gioco di potere. I suoi frati chiedevano ai rappresentanti politici del tempo lettere di presentazione o di privilegio che li aiutassero a svolgere la loro missione. Ma nel suo testamento san Francesco proibisce esplicitamente una simile pratica».

Si può considerarla una prova di ciò che oggi si direbbe il suo «anticonformismo»?
«Se ne trovano molte altre».

Anche nei riguardi delle autorità ecclesiastiche?
«Certamente. Fra lui e la Chiesa ufficiale spiccano differenze sostanziali. La Chiesa predicava la Crociata. Prescriveva, di fatto, che in ogni funzione religiosa si parlasse male degli infedeli: era consuetudine chiamarli "figli di cani". Lo stesso papa Innocenzo III definiva Maometto "bestia sporcissima". Nel corso di ogni messa si raccoglievano offerte per la Crociata».

E Francesco che fa?
«Non attacca la Chiesa, ma la contesta nei fatti. Per cominciare, considera quel genere di elemosine danaro sottratto ai poveri. E non inveisce contro gli infedeli. Anzi. In Egitto nel 1219, al tempo della V Crociata, chiede ai combattenti cristiani di smettere ogni atto di guerra. Ma non gli danno retta. Allora, essendosi fatto ricevere dal sultano Malik Al Kamil, non si limita a fargli una predica. Rimane lì molti mesi. E quando, colpito dall´accoglienza ricevuta, torna fra i confratelli, metterà nella sua regola che i frati vadano dai Saraceni, abitino con loro, non aizzino liti né dispute. "Se possibile - raccomanda - parlate loro di Cristo. In caso contrario siate disposti anche a morire". Ciò, rifacendosi al "porgete l´altra guancia" del Vangelo, rientra in pieno nel magistero di Francesco, che consiste nel divulgare la parola di Cristo in maniera mite, semplice, umana. Il contrario del missionario, che è sicuro della propria fede e la vuole imporre».

Fini definisce il francescanesimo un «movimento religioso ascetico».
«Francesco non era un asceta. Ammirava il creato. Amava il cibo, purché consumato con parsimonia. Quando sta per morire chiede a una matrona romana, sua amica spirituale: "Portami quei mostacciòli, che mi piacciono tanto!". E lei glieli offre. In un tempo in cui tutti sono molto osservanti quanto a regole ed astinenze, dice ai suoi: "Se vi offrono un pollo di venerdì, mangiatelo, perché è essenziale che percepiate la carità di chi lo offre". Un novizio, dedito a digiunare per sacrificio, una certa notte si sente morire. Lui, Francesco, lo rimprovera: "Non fare più così". Poi fa accendere le lucerne e indice una cena con tutti i frati. Quando si trova in Egitto, Francesco viene raggiunto da un frate, inviatogli per informarlo di certi sintomi di dissoluzione del suo Ordine. Il messaggero trova il Santo mentre, in compagnia dei suoi confratelli, sta consumando un pasto di carne. Ed è di venerdì».

Un´ulteriore prova di santa duttilità, si direbbe.
«Più precisamente un richiamo alla lezione di san Paolo contro la precettistica intesa come obbligo invalicabile: "La lettera uccide e lo spirito vivifica"».

Ma torniamo alla sostanza politica del "messaggio". Dimostra che non è facile modernizzare la lezione di san Francesco a livello dell´attuale guerra al Saraceno. A meno di non voler commettere qualche arbitrio.
«Le rispondo con un episodio. Al presepe allestito in una notte di Natale nel paese di Greccio, san Francesco fa collocare soltanto un bue e un asino. E pronunzia un discorso trascinante, quello che sarà detto della "nuova Betlemme". Nell´allegoria presepiale, il bue rappresenta gli ebrei e i saraceni, l´asino i pagani e gli eretici. Mangiando insieme il fieno, metafora dell´ostia sacra, essi troveranno la pace. Cristo, in sostanza, è venuto a redimere tutti, a pari condizioni. Basta ascoltarne il messaggio d´amore. Non occorre partecipare a Crociate. La Terrasanta è dovunque».

 Pierangelo    - 11-10-2004
da il Manifesto del 10.10.2004

Parabole di Adriana Zarri
Il beato Gianfranco

Dopo il discusso invito di Fini al convegno di Loreto, ancor più discutibile la sua presenza ufficiale alla manifestazione di Assisi dove non ha esitato ad attribuire a San Francesco opinioni più in linea con la sua polemica antipacifista che con le idee del santo. E sì che si poteva ben trovare qualcun altro più adatto a rappresentare il governo e il popolo italiano.

Ma Fini pare oramai avviato alla canonizzazione; e, con questo papa così prodigo di santi e di beati, non ci sarebbe neanche da stupirsi. Né sarebbe il peggiore, poiché l'Escrivà de Balaguer (il fondatore dell'Opus Dei) canonizzato ormai da tempo lo supererebbe di gran lunga, in indiscussa indegnità.
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In proposito aggiungo io la citazione di una boutade sull'Opus Dei che circolava e che recitava più o meno così: "Opus Dei, qui tollis pecunia mundi, dona nobis partem".

 Silvia Magherini    - 11-10-2004
Dal mio esame di Storia della Chiesa all'Università, mi risulta che non si trattò di una semplice chiacchierata. Che furono diversi i francescani inviati da San Francesco a dialogare col Sultano che furono massacrati e che San Francesco si salvò in maniera miracolosa (dicono i fioretti attraversando un rogo senza bruciare, comunque mi sembra chiaro il concetto). Forse però, essendo passati vari anni mi ricordo male....o forse la storia non è fatta di fatti ma di mere interpretazioni (ma allora le Crociate ci sono state o no?).