breve di cronaca
Iraq, lasciamo questa strada rovinosa
Liberazione - 27-09-2004

Grazia Bellini ci parla degli scout Agesci nel movimento per la pace

«E' un'istigazione alla discordia. Se anche non lo fosse stato nelle intenzioni certo lo risulta negli effetti». Così Grazia Bellini, rappresentante degli scout Agesci nella "Tavola della pace", giudica i recenti attacchi del vicepremier Fini contro il movimento pacifista. Ognuno in definitiva può pensarla come vuole, ma «indicare qualcuno contro cui invocare manifestazioni ci pare davvero grave ed è motivo di grandissima preoccupazione». Soprattutto adesso, mentre sarebbe necessario fare tutti insieme il possibile per salvare la vita alle due Simone e agli altri ostaggi. «Spero - aggiunge Bellini - che ci siano delle rettifiche». E per sollecitarle, l'organizzazione scoutistica ha sottoscritto, insieme ai 250 partecipanti del convegno della "Tavola" a Perugia, due lettere al vicecapo del governo e al ministro degli Interni.

Grazia Bellini, che fino a maggio è stata presidente Agesci, ci parla della sua esperienza di cattolica impegnata per la pace.


Cominciamo dalla carta d'identità dell'Agesci.

Siamo un'associazione educativa di volontari che compiono un percorso formativo e poi svolgono il servizio di educatori. Sono coloro che definiamo "capi" ma dando al termine un significato tutto particolare. Siamo circa 180mila, di cui trentamila adulti. Nel 1974 - festeggiamo i trent'anni - nacque l'associazione unificata femminile e maschile. Una particolarità cui teniamo molto è la costante compresenza di un uomo e di una donna in ogni ruolo educativo, di coordinamento o di rappresentanza.


Coinvolgete anche ragazzi di famiglie non cattoliche?

Certo. L'appartenenza religiosa riguarda gli educatori e l'associazione rivolge una proposta cattolica, però ci sono famiglie non cattoliche che ci affidano i figli poiché apprezzano il modello educativo e per il fatto che, anche sul piano religioso, la nostra è appunto solo una proposta. Tocca ai ragazzi scegliere in libertà.


Che lezione traete da questi mesi di guerra e terrorismo?

Stiamo vivendo una situazione davvero terrorizzante. Non bastano certo le rassicurazioni di Bush a farci illudere su un dopoguerra pacificato. In questo momento riteniamo addirittura di scarso interesse stabilire chi avesse ragione e chi torto. Abbiamo di fronte una situazione ingestibile di guerra, di terrorismo e di violenza. Vale la pena di ragionare di questo.


L'emergere di posizioni differenziate sul ritiro delle nostre truppe, anche tra coloro che avevano contrastato la guerra, vi ha creato problemi?

Non direi. La richiesta del ritiro delle truppe è sempre stata dettata dalla necessità di "essere e di apparire" una forza di pace, soprattutto agli occhi degli iracheni. Arrivo a dire: mettiamo pure da parte che questa guerra è stata ingiusta, illegale, immorale; i fatti stanno dimostrato che una tale modalità di intervento è anche inefficace, pericolosa, foriera di tragedie. E' evidente che occorre cambiare strada, possiamo dunque trovarne un'altra?


Si è parlato molto del recente "abbraccio" tra cattolici di associazioni diverse, per esempio tra Azione cattolica e Cl. L'Agesci ha una lunga tradizione di lavoro comune con movimenti laici e di altra estrazione: ritenete questo atteggiamento parte integrante dell'agire da cattolici?

Sì. La possibilità di condividere ciò che è importante è parte della testimonianza stessa, la quale non passa tanto dalle parole quanto dai comportamenti. Se sulla pace riusciamo a condividere il medesimo impegno con altri è senz'altro cosa buona. L'identità che si costruisce in questo modo è quella di gente che crede nella pace. E la pace è stata indicata innanzi tutto dal Vangelo e riaffermata da Giovanni Paolo II: ci sentiamo per questo nella Chiesa e insieme agli altri.


Ma avvertite anche la necessità di un raccordo tra cattolici oppure ritenete preminente portare la vostra testimonianza fuori dall'ambito cattolico?

I due aspetti non dovrebbero essere in alternativa. Può anche essere utile ritrovarsi tra cattolici su questioni che implicano la nostra identità religiosa ma la mia associazione ha sempre pensato che i compagni di strada sono persone preziose e che condividere con loro sia sempre molto importante.

Fulvio Fania

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 Pierangelo    - 08-10-2004
da Repubblica del 8.10.2004

I movimenti cattolici in cerca di un ruolo
di MARCO POLITI

L´"estate dei movimenti" ha portato alla ribalta in modo prorompente la vitalità dei mondi cattolici, che si riconoscono nelle sigle più varie. Dall´Azione cattolica a Comunione e liberazione, dalle Acli ai Focolarini, a Sant´Egidio, alla "carovana della pace" del terzomondista Alex Zanotelli.
Il fenomeno ha radici varie e lontane. Ciò che caratterizza l´ora presente sono due aspetti. Il superamento della conflittualità e dello spirito di ossessiva competizione, che ha caratterizzato tra gli anni Settanta e Ottanta i rapporti tra associazioni e movimenti all´interno dell´area cattolica. E l´affacciarsi sempre più frequente di questi gruppi sulla scena pubblica con un´agenda politica: si tratti di una rivalutazione economica della struttura familiare o di un nuovo welfare, della difesa del no profit o del rifiuto dell´avventura irachena, delle modalità dell´integrazione europea o di un approccio solidaristico alla globalizzazione.
Il tramonto della conflittualità - sancito visivamente dalla lettera del fondatore di Cl, don Giussani, alla presidente dell´Azione cattolica Paola Bignardi nel segno di una collaborazione comune nell´evangelizzazione - ha il suo fondamento anche in motivi di politica ecclesiastica. Quando negli anni Ottanta Giovanni Paolo II occupò la scena italiana con una sua precisa linea di riscossa sociale (ispirata ad un´evidente contrapposizione alla cultura laica e di sinistra e corroborata dal rifiuto di lasciare in libertà il voto cattolico nell´intento di tutelare finché possibile il monopolio della Democrazia cristiana) era questione cruciale per alcuni movimenti accreditarsi come gli interpreti "più fedeli" ed energici del verbo papale. Si spiega così il duello senza esclusione di colpi tra Cl e l´Azione cattolica.
Oggi, nella fase finale del pontificato wojtyliano, una simile urgenza non si pone più. Predomina semmai l´esigenza di misurarsi con due sfide: la trasmissione della fede in una società, nella quale il risveglio religioso si accompagna però ad un deperimento della memoria della dottrina e dei testi cristiani, e il problema di rendere socialmente rilevanti i valori religiosi.
I mondi cattolici - e il plurale è d´obbligo perché si tratta di un arcipelago e non di un´area monolitica - possono giocare una carta importante. Nello sfarinarsi di circoli, sezioni e aggregazioni, che caratterizzavano la sinistra e in parte anche la cultura laica fino a tutti gli anni Settanta, lo spazio dell´associazionismo cattolico è forse l´unico che offre al cittadino e specie ai giovani l´occasione di approfondimenti, discussioni e proposte su tematiche religiose, civili, sociali e internazionali, sfuggendo all´impotente ascolto dei talk-show e alle chiacchiere volonterose tra amici. Di pari passo la molteplicità delle realtà cattoliche, nel segno di una forte impronta comunitaria e solidaristica, costituisce una rete di socialità che sorregge il tessuto connettivo del Paese. Se in alcuni passaggi cruciali l´Italia non sbanda e regge a crisi e colpi duri ciò avviene sicuramente (seppur non esclusivamente, sia chiaro) per l´esistenza della "rete cattolica".
Sfocerà questo rinnovato attivismo nella rinascita della Balena Bianca? Papa Wojtyla esorta con calore i cattolici a impegnarsi attivamente in politica. Tornerà la Dc? L´interrogativo ricorre spesso. Ma proprio la multipolarità delle associazionismo cattolico fa sì che nessun Centro Bianco potrebbe più monopolizzarne la titolarità politica. Un Partito Cattolico che pretenda di parlare a nome dei ciellini, degli aclisti o dei focolarini non ci potrà più essere. Troppo autonomo è ormai il cammino di ognuno. Serve, però, secondo i vescovi un maggiore coordinamento. Monsignor Chiarinelli, organizzatore delle Settimane Sociali, parla di "nuovi laboratori politici" in cui i cattolici impegnati possano incontrarsi.
È pensabile che possa farsi strada il modello inaugurato dalle Acli e che Luigi Bobba chiama "reti in opera": il convergere di volta in volta di realtà associative, che mantengono la propria fisionomia, su progetti concreti da portare nell´agenda politica. Si profila dunque una prospettiva in cui intervengano maggiormente in politica soggetti della società civile al modo in cui in Germania si muovono le Buergerinitiaven (iniziative civiche) o i "caucus" negli Stati Uniti, lanciando campagne su disegni di legge. Sarebbe un modo nuovo di arricchire l´agire politico in Italia, se si prescinde dalle iniziative referendarie.
C´è da chiedersi semmai se la classe politica è pronta a recepire gli impulsi che vengono da questa variegata realtà. Finora la tendenza, per pigrizia o per calcolo, è stata di considerare titolare della rappresentanza di un indistinto "mondo cattolico" l´istituzione ecclesiastica. Non può essere così. Non solo perché su questioni cruciali, come il rifiuto di partecipare alla guerra di Bush o le formulazioni della legge sulla procreazione assistita o la regolamentazione della coppie di fatto o le riforme del lavoro che hanno incrementato l´occupazione precaria, la linea politica della gerarchia ecclesiastica italiana spesso non ha conciso con il sentire quotidiano dei cattolici. Ma anche perché le associazioni di ispirazione cristiana sono espressione di una società civile che chiede di avere un filo diretto con le istituzioni.
A Bologna, dove si sono aperte le Settimane sociali, si è già avvertita una differenza di toni. Il piglio incisivo dell´ex presidente della Corte Costituzionale Casavola sulle antistoriche pretese leghiste, sulla guerra, sulla centralità del Parlamento - assai diverso dagli ovattati comunicati della Cei - ha mietuto applausi a scena aperta.