Non possiamo dimenticare
Pierluigi Nannetti - 20-09-2004
Ricomprendere Beslan

Incredulità, rabbia, orrore. Chi non ha provato questi sentimenti di fronte alla tragedia della scuola dell'Ossezia?
Qualcuno ha anche detto, del tutto giustamente, che il mondo e' pieno di orrore e che molti orrori, che non hanno visibilita' mediatica, tendiamo un po' colpevolmente a dimenticarli.
Io vorrei aggiungere che tutti noi abbiamo avuto notizia, almeno una volta, che il rapporto annuale della FAO prevede, nella migliore delle ipotesi, piu' di 400 milioni di morti per fame entro pochi anni. E' una cifra spaventosa e molti saranno proprio bambini. C'e' qualcuno che vuole sostenere che cio' fa meno orrore dello sterminio dell'Ossezia?
Si accomodi pure. Oppure qualcun altro vuol sostenere che nessuno ha responsabilità per i 400 milioni, mentre i 600 della scuola hanno uno o alcuni precisi colpevoli? E sarebbe proprio cio' a fare la differenza e a generare orrore in un caso e solo tristezza nell'altro? Si accomodi pure. Se vogliamo venirne a capo in maniera non sfacciatamente superficiale, dobbiamo superare il livello della pura emotivita' e cercare di dare spiegazioni razionali, perche' e' solo su tale base che e' possibile proporre soluzioni o tentativi di soluzione. Invece, purtroppo, abbondano reazioni solo emotive e, dunque, inconcludenti. Non citerò nessuno, perché non voglio nemmeno ignorare l'alto senso di umanità e di partecipazione che generalmente accompagna tali espressioni di dolore. Esse, spesso, sono associate a dichiarazioni, del tutto giustificate, di disprezzo per chi ha ideato ed attuato un cosi orrendo crimine; pero' dolore e disprezzo, che, purtroppo, fanno perdere i contorni oggettivi di ciò che accade e ne rendono piu' difficile la comprensione.

Buoni e cattivi

Che cos'è il terrorismo e chi sono i cosiddetti "terroristi"? Sono tutti accomunabili? Dall'Iraq, all'Afghanistan, alla Palestina, alla Cecenia, all'Algeria, al Sudan e altri ancora. Molte sigle: sono tutte legate tra di loro? Al Qaeda? E' possibile inquadrare tali fenomeni giudicando il terrorismo come fatto aberrante "tout court" e a sè stante? Ed inoltre, che significato assume la pretesa di giudicare il minimo sforzo di comprensione quasi come una ammissione di complicita', in quanto tale sforzo consisterebbe "sic et simpliciter" nel dare dignita' a qualcosa che, appunto, e' solo aberrante di per sè?
Guai, secondo questa visione, ad accostare gli eccidi dei cosiddetti "terroristi" con gli eccidi degli eserciti imperiali, come invece altri (e secondo me giustamente) propongono. I primi, forse, non si sono accorti della totale intolleranza verso la semplice e banale rivendicazione della libertà di pensiero. Sembra incredibile, ma è proprio così: si rischia di perdere, in un sol colpo, tutto ciò che ha prodotto storicamente la cultura liberale e giusnaturalistica fino dai secoli XVII e XVIII, e tornare all'epoca dell'assolutismo e della santa inquisizione. Non ci siamo accorti a sufficienza che, con il termine terrorismo, si vuole proporre una visione totalmente mistificata di ciò che sta accadendo: l'uso stesso del termine è terribilmente fuorviante.
E' terrorista il giovane palestinese, che si imbottisce di tritolo e si fa scoppiare perché non sa immaginare nessun altro senso da dare alla sua misera vita e alle sue disperazioni; è terrorista qualsiasi iracheno, che orgogliosamente non vuole la "civiltà" americana imposta con odiosi, più ancora che terrificanti, bombardamenti e senza alcun rispetto per la sua religione e cultura; sono terroriste le donne che hanno fatto strage di bambini nell'Ossezia. Non avete l'impressione che il termine stesso sia gonfio di puro e semplice ideologismo? Allo stesso modo del razzistico "Juden" o dello jankee "sporco negro" (i "cattivi" di per se' , per definizione, a fronte dei "buoni" in sè, noi). Chi sono questi "terroristi"? Sono figli del male? Non hanno avuto anche loro una madre e un padre? Anche loro avranno avuto una storia umana, magari fatta di grande disperazione? E sia chiaro non pongo questi interrogativi allo scopo di giustificare le loro azioni. Assolutamente no. Solo per tentare di far capire che non è con categorie morali o soggettive (psicologiche, antropologiche od altro), con le quali si pretenda di aver in qualche modo capito quale sia la vera natura umana (intendendo per natura umana le caratteristiche dell'uomo astrattamente considerato come individuo), che si possono dare spiegazioni convincenti dei fenomeni sociali. E, poi, proporre, sulla base di queste spiegazioni, proposte di intervento politico. L'unico modo per spiegare i fatti sociali oggettivamente, alla maniera dei fatti naturali, è quello di fondare queste spiegazioni sull'analisi non di una fantomatica natura umana (tutte le analisi di questo tipo contengono considerazioni condivisibili ed altre cervellotiche), ma sull'analisi dei rapporti sociali.
Per chi, come me, ha già vissuto abbastanza, è impressionante constatare come sia del tutto sparito, perfino in compagini più o meno virtuali di persone che si dicono di sinistra, ogni riferimento al socialismo scientifico, come strumento di analisi dei fenomeni sociali.
Appunto *scientifico*. Cioè una scienza che pretenda di conoscere oggettivamente i rapporti sociali.
So benissimo che molti diranno che tale pretesa scientifica è stata platealmente smentita. Ma quando? Ma dove? E se la risposta fosse che è stata smentita con le vicende che hanno determinato il crollo dei regimi sovietici, come in generale si sente affermare, il mio timore è che una gigantesca risata ci sommerga tutti. Attenti che "le ridicule terrasse", come dicono i francesi. Dire che le vicende relative alla Russia sovietica hanno smentito il carattere di scienza del socialismo significa semplicemente non avere ancora imparato l'abc di quella scienza e di conoscere ben poco della storia di quelle vicende. Mi prendo pienamente la responsabilità di queste affermazioni e, magari, mi impegno a tornarci sopra piu' ampiamente.

Guerra e terrorismo

Vorrei tornare al problema della guerra e del terrorismo.
Quello che, con scopi chiaramente ideologici di preparazione del consenso sociale per una guerra di lungo periodo, si sta compiendo è il tentativo di separare guerra e terrorismo, di convincere che la guerra può essere fatta per scopi giusti, vedi la guerra *umanitaria* (invenzione questa spudorata proveniente proprio da ambienti sinistri), la guerra per portare *la pace e la democrazia*, la guerra *preventiva* per una difesa efficace.
E sono sicuro che ci delizieranno di altri tipi di guerre, pur di convincerci che chi fa la guerra è nel giusto, mentre è di per se' riprovevole chi è terrorista. Ma, se non abbiamo perso il senno, tutti noi sappiamo che il terrorismo è sempre stato usato come strumento di guerra e sappiamo anche che sono maestri in ciò proprio gli stati che si autoproclamano democratici (il bello è che li abbiamo anche sotto i nostri occhi). Allora, distinguere guerra e terrorismo è solo funzionale agli interessi di una parte, non ha niente di scientifico.
Il problema vero è trovare una spiegazione della guerra, che abbia per fondamento i rapporti sociali; e il socialismo scientifico una tale spiegazione l'ha elaborata da più di un secolo ed io la voglio riproporre. Potete reagire con un certo qual senso di sufficienza e di seccatura: vecchie cose, puah! la teoria della lotta di classe!!!!!!
Quando ormai la lotta di classe non c'è piu!! Invece sono convinto che, se avrete la pazienza di leggere, forse in questa vecchia visione c'è molta più verità di quanto non venga elucubrato con pretese nuove teorie, fondate su astrazioni del tutto soggettive.
Molti di voi diranno: che cosa c'entra la lotta di classe con un atto terroristico? Il nesso, invece, non è difficile da scorgere. Intanto non c'è guerra che non abbia utilizzato il terrore. Ciò vale per le piramidi di crani elevate a monito per futuri nemici da Gengis Khan, per la bomba di Hiroshima, per le sevizie e le torture di cui sono maestri non solo i regimi totalitari, e per le teorie del deterrente nell'equilibrio del terrore atomico durante la Guerra Fredda.
La guerra è un fatto sociale prima di tutto: essa scaturisce da rapporti conflittuali. E il capitalismo è fondato sul *furto* del lavoro altrui: il segreto è la possibilità di acquistare la merce forza - lavoro come una merce qualsiasi. E' su questa base che si accumula violenza ad ogni livello (dai rapporti tra operaio e capitalista fino ai rapporti tra stati e nazioni) e a tale accumulo corrisponde, a certe condizioni, una soluzione repentina, la guerra.
Consentitemi allora di sottoporvi alcuni brani scritti da Lenin quasi un secolo fa. Non farete difficoltà a scorgere in essi, scritti in più testi di fronte alla prima guerra mondiale e prima ancora della rivoluzione d'Ottobre, la spiegazione della guerra di allora, di ciò che è avvenuto dopo e di quello che sta avvenendo attualmente. E, a tale spiegazione, consegue del tutto coerentemente l'unica possibilità di ripudiare ogni forma di guerra: la causa delle guerre sta nel capitalismo e perciò chi veramente non vuole più guerre deve lottare per estirpare il capitalismo.
Con poche virgole spostate, aggiunte o tolte, credo che questa sia la spiegazione più completa e più scientifica di quello che sta avvenendo oggi in Iraq e nel mondo.

Vladimir Lenin

"La militarizzazione invade oggi tutta la vita sociale. L'imperialismo è la lotta accanita delle grandi potenze per la divisione e la ripartizione del mondo: esso deve quindi estendere inevitabilmente la militarizzazione a tutti i paesi, non esclusi i paesi neutrali e le piccole nazioni.... Una classe oppressa che non cercasse d'imparare a maneggiare le armi, che non tendesse a possederle, meriterebbe di essere trattata da schiava. Non possiamo dimenticare, a meno di diventare dei pacifisti borghesi o degli opportunisti, che viviamo in una società divisa in classi, dalla quale non si esce e non si può uscire altrimenti che con la lotta di classe...
Se la guerra attuale provoca nei socialisti cristiani reazionari, nei piccoli borghesi piagnucoloni soltanto orrore e paura, soltanto avversione per l'impiego delle armi, per il sangue, la morte, ecc., noi dobbiamo dire che *la società capitalistica è stata e sarà sempre un orrore senza fine*. E, se oggi la guerra, la più reazionaria di tutte le guerre, prepara a questa società una fine piena d'orrore, non abbiamo alcun motivo di abbandonarci alla disperazione. La militarizzazione invade oggi tutta la vita sociale. L'imperialismo è la lotta accanita delle grandi potenze per la divisione e la ripartizione del mondo: esso deve quindi estendere inevitabilmente la militarizzazione a tutti i paesi, non esclusi i paesi neutrali e le piccole nazioni......."
(Lenin, "Il programma militare della Rivoluzione", in o.c. XXIII, pag. 78 - 81)

"Pertanto, nella realtà capitalista, e non nella volgare fantasia filistea dei preti inglesi o del "marxista" tedesco Kautsky, le alleanze "inter imperialiste" o "ultra imperialiste" non sono altro che "un momento di respiro" tra una guerra e l'altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista contro un'altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste; le une e le altre forme si determinano reciprocamente e producono, su di un unico e identico terreno, dei nessi imperialistici e dei rapporti dell'economia mondiale e della politica mondiale, l'alternarsi della forma pacifica e non pacifica della lotta."
(Lenin, "Imperialismo, fase suprema del capitalismo", o.c. XXII, pag. 253 - 295)

"Le guerre imperialistiche, cioè le guerre per il dominio del mondo, per i mercati del capitale bancario, per lo strangolamento delle nazionalità piccole e deboli, *sono inevitabili* in questa situazione.
Tale è precisamente la prima grande guerra imperialistica degli anni 1914-1917. Il grado eccezionalmente alto di sviluppo del capitalismo mondiale in generale, la sostituzione del capitalismo monopolistico alla libera concorrenza, la creazione da parte delle banche e delle associazioni capitalistiche di un apparato per disciplinare socialmente il processo di produzione e di ripartizione dei prodotti, gli orrori, le calamità, le devastazioni, le atrocità generate dalla guerra imperialistica: tutto questo converte il capitalismo giunto al suo attuale grado di sviluppo nell'era della rivoluzione proletaria socialista. Quest'era e già incominciata. Soltanto la rivoluzione proletaria socialista può trarre l'umanità dal vicolo cieco in cui l 'hanno condotta l'imperialismo e le guerre imperialistiche".
(Interventi alla settima conferenza panrussa del P.O.S.D.R., svoltasi a Pietrogrado dal 7 al 12 maggio 1917.In o.c. XLI, pag 514 - 515)

"La guerra non scoppia per caso, non è un "peccato", come pensano i preti cristiani (che predicano il patriottismo, l'umanitarismo e la pace non peggio degli opportunisti), ma una tappa inevitabile del capitalismo, una forma della vita capitalistica, legittima come la pace. Ai nostri giorni la guerra è una guerra di popoli. Da questa verità non consegue che si debba seguire la corrente "popolare" dello sciovinismo, ma consegue che le contraddizioni di classe che lacerano i popoli continuano ad esistere e si manifesteranno anche in tempo di guerra, anche in guerra, anche in forma militare. Il rifiuto di prestare servizio militare, lo sciopero contro la guerra, ecc., sono una pura sciocchezza, un sogno misero e vile di una lotta disarmata contro la borghesia armata, l'illusione di distruggere il capitalismo senza un'accanita guerra civile. o una serie di tali guerre." (Lenin, "La situazione e i compiti dell'Internazionale Socialista", o.c. XXI, pag. 31).


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 Ottaviano Molteni    - 25-09-2004
Qui non essitono i buoni ed i cattivi. Qui non ci sono ragionoveli dubbi sulla morte e su chi muore.
Il terrorismo in sé è proprio idiota, se a tale parola si può dare un senso pieno.
Non resto indifferente ai milioni di bambini che moriranno di fame nel prossimo futuro. Nè tantomeno a quelli che muoiono oggi. A quelli che vengono sfruttati, violentati e violati, derubati della loro infanzia, picchiati, dimenticati... io non mi faccio pie illusioni. Non esistono i buoni o i cattivi. I problemi si potrebbero risolvere tutti. Qui la colpa è di tutti: bianchi, rossi, neri, gialli e arcobaleni. Basterebbe l'esempio. L'esempio di quelle persone che al posto di parlare al vento dessero un esempio. Combattere la fame? Si può, se si vuole veramente. Con umiltà e coraggio. Ma amiamo così tanto il nostro orticello. Desideriamo così tanto il POTERE. Sarebbe sufficiente tornare alle origini dello spirito socialista. Quello vero. Quello nazionalpopolare che ha mosso le masse - quelle vere - spontaneamente. Senza inni o bandiere. Il desiderio di scendere in piazza insieme: spazzino e dottore, impiegato e operaio, poeta e becchino, contadino e massaia, artista e infermiere.... per dimostrare che siamo uniti. Che vogliamo veramente una società migliore. Dove sono gli esempi? Mentre siamo alle prese con il sopravvivere quotidiano e alla quadratura di conti sempre meno matematici...i nostri rappresentanti al governo si aumentano allegramente il loro "stipendio"... che burla... ci fosse stato un solo partito che si fosse opposto.
Mentre il popolo percepisce uno stipendio netto di 1200/ 1400 € loro arrivano a quanto? e con quali spese?... e vogliamo combattere la fame nel mondo? forse l'uomo qualunque, la donna di tutti i giorni, che in silenzio sfama chi ha vicino e gli chiede aiuto.
Sì credo che chi abbia ucciso deliberatamente i bambini in Ossezia sia un assassino. Senza inutili scusanti. Senza discussioni che portano a tutto e a niente. E i colpevoli siamo noi. Tutti noi che lo permettiamo con la nostra indifferenza.
Ottaviano Molteni