Epilogo
Fuoriregistro - 15-09-2004
Al di là del, tragico, epilogo "l'affaire" Baldoni non è solo la struggente storia di un'amicizia vera sbocciata nel deserto nel bel mezzo di una guerra crudele e poco compresa.

E documentata.

E', anche, la drammatica rappresentazione in tempo reale delle due anime presenti nella Cri.

La prima - quella profondamente radicata nella realtà sociale che la circonda e dalla quale si lascia "contaminare" - che potremmo definire, con espressione desueta, "umanitaria" ha cercato con coraggio ed umiltà (con esplicito riferimento ai valori etici fondanti dell'Organizzazione) di portare aiuto concreto alla popolazione civile di Najaf stremata da, circa, due mesi di assedio e di combattimenti durissimi. Combattimenti - lo ribadiamo ancora una volta - che, specie nei giorni immediatamente precedenti al rapimento di Enzo Baldoni e dei giornalisti francesi -, sono avvenuti in assenza di testimoni indipendenti.

Come solo la stampa internazionale può esserlo.

La seconda anima della Cri che è emersa da questa vicenda è quella che potremmo definire "burocratica" ed è ben rappresentata ed interpretata dal "manager" Maurizio Scelli il quale non si è limitato a disapprovare la missione ma ne ha, perentoriamente, ordinato l'immediato rientro alla base (a Baghdad).

Lo ha ordinato nonostante il parere contrario del capo missione in Iraq (De Santis) e pur sapendo che il convoglio era già stato attaccato, che c'erano dei feriti e dei mezzi danneggiati (dalle esplosioni e dai proiettili che avevano infranto i parabrezza la qual cosa impediva al convoglio di viaggiare a velocità sostenuta).

Pur sapendo, infine che la delegazione della Cri aveva già trovato un rifugio sicuro presso la moschea di Kufa (a pochi chilometri da Najaf dove infuriavano i combattimenti) e aveva già montato un, piccolo ma efficiente, ospedale da campo.

All'anima "umanitaria della Croce rossa - per dirla tutta e senza inutili perifrasi - è stato impedito di operare.

Qualcuno dovrebbe spiegare il perché.

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