Al di là del, tragico, epilogo "
l'affaire" Baldoni non è solo la struggente storia di
un'amicizia vera sbocciata nel deserto nel bel mezzo di una guerra crudele e poco compresa.
E documentata.
E', anche, la drammatica rappresentazione in tempo reale delle due anime presenti nella Cri.
La prima - quella profondamente radicata nella realtà sociale che la circonda e dalla quale si lascia "
contaminare" - che potremmo definire, con espressione desueta, "
umanitaria" ha cercato con coraggio ed umiltà (con esplicito riferimento ai valori etici fondanti dell'Organizzazione) di portare aiuto concreto alla popolazione civile di Najaf stremata da, circa, due mesi di assedio e di combattimenti durissimi. Combattimenti - lo ribadiamo ancora una volta - che, specie nei giorni immediatamente precedenti al rapimento di Enzo Baldoni e dei giornalisti francesi -, sono avvenuti
in assenza di testimoni indipendenti.
Come solo la stampa internazionale può esserlo.
La seconda anima della Cri che è emersa da questa vicenda è quella che potremmo definire
"burocratica" ed è ben rappresentata ed interpretata dal
"manager" Maurizio Scelli il quale non si è limitato a disapprovare la missione ma ne ha, perentoriamente, ordinato l'immediato rientro alla base (a Baghdad).
Lo ha ordinato nonostante il parere contrario del capo missione in Iraq (De Santis) e pur sapendo che il convoglio era già stato attaccato, che c'erano dei feriti e dei mezzi danneggiati (dalle esplosioni e dai proiettili che avevano infranto i parabrezza la qual cosa impediva al convoglio di viaggiare a velocità sostenuta).
Pur sapendo, infine che la delegazione della Cri
aveva già trovato un rifugio sicuro presso la moschea di Kufa (a pochi chilometri da Najaf dove infuriavano i combattimenti) e aveva già montato un, piccolo ma efficiente, ospedale da campo.
All'anima "
umanitaria della Croce rossa - per dirla tutta e senza inutili perifrasi - è stato impedito di operare.
Qualcuno dovrebbe spiegare il perché.