Croce Rossa Italiana: missione impossibile
Grazia Perrone - 15-09-2004
"Enzo non c'è più e nessuno potrà mai ridarcelo,
però è anche qui in mezzo a noi.
Enzo andava incontro alla vita con un sorriso,
continueremo a farlo per lui.
Enzo era innamorato della vita, era un inguaribile ottimista.
L'insieme di queste cose germoglierà per il mondo
e quelle che ci sono dentro di noi stanno già germogliando.
Ora abbiamo bisogno di vivere il nostro dolore.
Per questo non faremo altre dichiarazioni, pertanto vi chiediamo di lasciarci soli e di non tornare"
.

Giusy, Gabriella e Guido Baldoni, 27 agosto 2004


""Ho deciso io" - ammette Giuseppe De Santis [1] - "la missione a Najaf del 19 luglio, per portare acqua e medicine nella città santa degli sciiti". Si tratta della stessa missione nella quale scompare, tragicamente, Enzo Baldoni ed il suo autista/interprete palestinese. "Sa che cosa dice la Convenzione di Ginevra?" prosegue il capo delegazione della Cri in Iraq - "Dice che la Croce Rossa deve prestare soccorso ai malati e ai feriti di guerra. Noi, la Croce Rossa, questo dobbiamo fare. E noi questo abbiamo fatto a Najaf, il 19 agosto". Lo abbiamo fatto - è sottinteso - per dimostrare con i fatti che la Croce Rossa italiana è la Croce Rossa e non ha nulla a che fare con altri italiani che "fiancheggiano", in armi, l'occupazione americana [2].

Quella del 19 agosto 2004, dunque, è stata una nobile e pericolosa missione umanitaria che meritava un esito diverso e che - auspichiamo - possa essere ricordata e valorizzata.

Organizzata e promossa dal capo delegazione della Cri a Baghdad senza l'autorizzazione (da Roma) del commissario straordinario Maurizio Scelli la missione era composta da un convoglio (al quale si uniranno il giornalista Rai Pino Scaccia, l'operatore tv Norberto Sanna e la volontaria gallese Hellen Williams che non risultano inclusi nell'elenco ufficiale dei componenti della missione. Un particolare importante perché saranno proprio loro a parlare - per primi - di Enzo Baldoni come componente del convoglio comprendente due camion, un'autoambulanza, due jeep e due macchine civili (una di Baldoni e l'altra di Pino Scaccia).

La colonna parte la mattina del 19 agosto per raggiungere Najaf assediata dall'esercito americano e portare assistenza sanitaria: acqua potabile, medicine e materiale di infermeria d'urgenza. Il convoglio è - interamente - formato da "operatori" sanitari e da civili disarmati: medici, infermieri, tecnici e autisti italiani, medici e interpreti irakeni e da due personaggi legati - a vario titolo - a Moqtada Al Sadr che ne garantiscono la sicurezza ed è aperto - come riporta il foglio di servizio - da Enzo Baldoni e dal suo interprete: Ghareeb.

La scena che i soccorritori si trovano davanti è uno scenario di guerra [3]. Con i mezzi a loro disposizione curano i feriti gravi, distribuiscono acqua e medicinali: portano un po' di conforto e di calore umano ricevendo - in cambio - due lettere di ringraziamento - pubblicate sul n. 33, del 9 settembre, del settimanale il Diario - da parte di civili e di militanti dell'esercito del Mahdi di Al Sadr.

Il convoglio umanitario riparte da Kufa - nella cui moschea viene improvvisato un ambulatorio ed un pronto soccorso che assiste oltre cento civili: uomini, donne e bambini - la mattina di venerdì 20 agosto (su ordine perentorio di Scelli che avrebbe voluto il rientro già dalla sera del 19) e viene nuovamente attaccato con modalità ed intensità simili a quelle dell'andata. Si tratta - con tutta evidenza - di azioni deliberate finalizzate alla distruzione del convoglio. La macchina di Baldoni e Ghareeb che fa da "apripista" - forse colpita da un razzo o "inciampata" su una mina - sbanda ma rimane intatta. Il convoglio prosegue a tutta velocità senza fermarsi: queste sono le disposizioni impartite agli autisti ... che vengono eseguite alla lettera.

A poco meno di un chilometro dal luogo dell'agguato c'è un check point della polizia irakena. Ed è proprio ad essi che viene formulata la prima richiesta di soccorso finalizzata al recupero dei dispersi. C'è la speranza - un po' ingenua - che Baldoni e il suo autista non siano rimasti feriti e possano essere soccorsi, recuperati e accompagnati a Baghdad dalla polizia irakena.

Ma questo non avviene. In serata si sparge la voce che Ghareeb è stato ucciso: il suo corpo - bruciato - viene riconosciuto sabato mattina da uno dei componenti della Croce Rossa italiana.

Di Baldoni nessuna traccia.



[1] cfr. Diario n. 33 del 9 settembre 2004

[2] ibidem

[3] "C'erano segni di combattimenti dovunque - scrive la Williams - A un certo punto è calato un inquietante silenzio nelle strade. Silenzio relativo, in verità, perché rotto continuamente dai rumori della battaglia: l'aria risuonava dei colpi d'arma da fuoco e dell'avanzare dei tank. Due dei nostri - uno di essi era Enzo Baldoni ma la Williams non lo conosceva ndr - correvano a piedi davanti al convoglio, con indosso le pettorine della Croce rossa e sventolando una enorme bandiera con l'emblema dell'organizzazione. Ci precedevano ad ogni incrocio che avremmo dovuto attraversare, facendosi vedere e mostrando la bandiera. Man mano che passavano gli incroci, potevamo vedere i tank americani all'imbocco di ciascuna strada, circa 150 metri più in là. A uno di questi incroci i tank erano tre. Proseguivano molto lentamente. E a un certo punto, siamo giunti a un incrocio dove il rumore della battaglia era tale da farci pensare che la battaglia fosse proprio lì di fronte a noi, sbarrandoci la strada. I colpi d'arma da fuoco erano assordanti. Di nuovo, i nostri due compagni sono andati avanti a piedi con la bandiera per far presente che eravamo della Croce rossa e portavamo aiuti medici. Ma, questa volta, non ci hanno fatto passare. Una famiglia, in una casa vicina, ci ha invitati ad entrare. E dopo abbiamo cominciato a scaricare alcune attrezzature mediche. Gli uomini della Croce rossa italiana hanno cominciato ad improvvisare un ospedale da campo improvvisato, lì nel salotto.
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