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Camminare insieme per salvare il mondo
l'Unità - 14-09-2004

Il reverendo Martin Luther King circa 40 anni fa disse le seguenti parole: «Che ce ne rendiamo conto o no ciascuno di noi è sempre in debito, noi siamo eternamente debitori nei confronti di uomini e di donne, conosciuti o sconosciuti. Tutta la vita è interdipendente, tutti gli uomini sono presi in una inestricabile rete di reciprocità, legati in un unico tessuto di destino. Qualsiasi cosa tocca indirettamente tutti». Una frase che tutti ricordano della sua biografia è «I have a dream». Martin Luther King era un sognatore realista, una specie tanto rara quanto importante nella storia dell'umanità. Era un sognatore che immaginava che il suo popolo un giorno avrebbe potuto attraversare quelle montagne, ma grazie a quel sogno, tanti ragazzi che avevano il colore della pelle nera, sono riusciti a salire sullo stesso autobus di quelli che hanno il colore della pelle bianco, o andare nella stessa Università. Ha cambiato il mondo.
L’interdipendenza è una constatazione della realtà, non è neanche una diagnosi o neanche solo una terapia, è una constatazione della realtà.
Non c'è bisogno di guardare i ghiacciai che si sciolgono per capire che c'è un rapporto diretto tra quegli effetti climatici e la qualità della vita che noi viviamo, la qualità dell'aria che respiriamo, l'altezza dei nostri mari. Non c'è bisogno di risalire a letture teoriche complesse per capire che c'è un legame tra la condizione di vita di miliardi di persone in giro per il mondo per i quali il problema è quello di riuscire a trovare da bere, per quelle centinaia e centinaia di milioni di bambini che vivono in una condizione di difficoltà a trovare una ciotola di riso, ad andare a scuola, e il destino dei nostri figli. Non è vero quello che ci siamo sempre detti che in fondo la globalizzazione aveva delle contraddizioni ma progressivamente introduceva elementi di equità e giustizia.
L'ultimo rapporto sullo sviluppo umano dice che in 26 paesi, soprattutto paesi africani, la ricchezza è diminuita invece di crescere. In molti di questi paesi l'aspettativa di vita media è tra i 38 e i 40 anni ed è del tutto chiaro, chiunque di noi si trovasse nella stessa condizione lo farebbe, che si fugge da quel paese ad un paese nel quale l'aspettativa di vita è almeno del doppio, come il nostro, anche attraversando il mare a piedi. (...)
All'interdipendenza dovrebbero corrispondere degli organismi di governo mondiale e invece negli ultimi anni, specie negli ultimi 4 anni, uno ad uno tutti gli organismi di governo mondiale sono entrati in una situazione di grande difficoltà, penso ovviamente all'Organizzazione delle Nazioni Unite, penso all'Organizzazione Mondiale del commercio, penso anche al Tribunale Penale Internazionale.
Se c'è una cosa di cui questo mondo avrebbe bisogno per il suo futuro e il suo destino, è proprio quello di rafforzare le sedi dove si prendono delle decisioni e invece abbiamo un solo organismo, il G8 che tra l'altro taglia fuori tutti i paesi poveri del mondo e persino i continenti poveri del mondo, che si è progressivamente sostituito alle decisioni che dovrebbero avvenire su scala globale, negli organismi internazionali, che abbiano il consenso e la fiducia e la delega di sovranità da parte di molte democrazie del mondo.
E a fronte di questa crisi degli organismi globali, a fronte dell'affermarsi di una visione unilaterale, noi siamo di fronte a un'altra forma di gobalizzazione, assolutamente inquietante e pericolosa, ed è il terrorismo.
Siamo stati abituati lungo il corso del ‘900 a fare le guerre per ragioni di confine o per ragioni ideologiche, e a fare le guerre con governi i quali avevano le loro cancellerie, le loro responsabilità politiche. Siamo qui di fronte ad una guerra nei confronti di un nemico invisibile, ad un nemico che non ha né cancelleria né responsabilità politiche; ad un nemico che usa l'arma più pericolosa che esista: l'arma del suicidio umano. Ad un nemico che agisce su scala globale e con il quale facciamo fatica a prendere le misure di una lotta che sarà molto dura e che deve essere alla fine vittoriosa perché oggi il terrorismo è la principale minaccia per la sicurezza dell'umanità e come tale dobbiamo combatterla con determinazione.
Il terrorismo anch'esso però per essere affrontato richiede non solo forza, ma anche ragione, lo chiediamo noi oggi col cuore pieno di ansia e di preoccupazione crescente ogni ora che passa per la sorte di quelle due ragazze italiane e di quei due ragazzi iracheni, come dei prigionieri francesi e di tutti gli altri che sono nelle mani dei sequestratori. Lo diciamo avendo ancora negli occhi l'orrore, autentico orrore, della strage di Beslan.
A questo terrorismo bisogna rispondere con la forza, ma anche con l'intelligenza, occorre sapere che la cosa peggiore che possiamo fare è pensare non solo di rispondere a questo mondo globalizzato e interdipendente con le politiche unilaterali, ma di aggiungere all'unilateralismo anche l'idea del confronto, della civiltà.
Noi abbiamo nel mondo 1,5 miliardi di musulmani, possiamo immaginare di entrare in un conflitto in nome della superiorità della nostra civiltà?
Noi abbiamo bisogno di un mondo interdipendente anche da questo punto di vista, abbiamo bisogno di un mondo in cui ci sia al tempo stesso il dialogo e la comprensione, ma la capacità anche di affermare, il fatto che nella storia dell'uomo ancora non è stata scoperta una forma di vita condivisa dagli uomini, migliore della democrazia e della libertà e che non esiste mai alcuna religione in nome della quale si possa uccidere, si possano negare i diritti individuali e collettivi, in nome della quale si possa violare l'integrità della persona. Ma questo è un lavoro di convincimento e di persuasione.
Noi abbiamo nelle scuole romane bambini di 147 nazionalità diverse e io la ritengo una meravigliosa ricchezza. Penso che tutti noi siamo resi migliori da questo incontro, da questo incrocio di esperienza, di linguaggi, di culture. Penso che noi non abbiamo alcun interesse neanche nella nostra parte del mondo a favorire il fatto che si costruiscano scuole per identità religiose, le une separate dalle altre e noi dobbiamo rompere il più possibile le barriere di separazione perché è attraverso questo lavoro che riusciremo a convincere che il mondo che costruiamo dovrà essere capace di tenere insieme la pluralità religiosa con la condivisione dei principi e dei diritti fondamentali della democrazia e della libertà. Ma questo richiede di essere affermato non solo attraverso l'uso della forza quando questa è necessaria ma attraverso una grande visione, un'intelligenza politica e vorrei dire persino, una sensibilità umana che oggi sembrano sfuggire.
Roma è una città che cerca di dare il suo contributo in questa direzione. (...) Roma è la città che ha ospitato e continuerà ad ospitare grandi manifestazioni per l'Africa, perché l'Africa è il paradigma delle nostre disuguaglianze e delle nostre giustizie.
Tra qualche giorno andrò in Mozambico con 100 ragazzi delle scuole romane ai quali abbiamo chiesto dei soldi per costruire delle scuole a Maputo e verranno insieme a me per vedere come è diverso vivere da diciassettenni in centro di Roma o vivere nella povertà di Maputo.
Roma è la città che ha ospitato, quando sembrava che fosse impossibile, sulla piazza del Campidoglio, con gli onori che si devono ai funerali istituzionali, i corpi di quei 13 poveri immigrati che erano morti al largo di Lampedusa e che non si riusciva a seppellire. Noi in questi momenti speriamo che una ragazza romana, parlo di lei parlando di tutti gli altri 3 sequestrati, possa riottenere la libertà.
Simona è una ragazza straordinaria. Io ho conosciuto la sua famiglia, una famiglia della Roma popolare, piena di valori e di principi che ispiravano anche la serenità con cui stanno vivendo questi momenti drammatici. È una ragazza di quell'esercito straordinario, forse il più bello del mondo che è fatto dalle decine e decine di migliaia di persone che si spendono nel mondo per cercare di aiutare gli altri. Simona era lì per aiutare i bambini iracheni. E la manifestazione di quei bambini iracheni è una delle poche buone notizie di queste ultime settimane. Una notizia che testimonia del lavoro straordinario che queste ragazze facevano, fanno e spero torneranno a fare presto. Un lavoro che dovrebbe essere rispettato, amato, e al quale bisognerebbe costantemente rendere omaggio da parte di tutta la comunità internazionale.
Concludendo come ho iniziato: è forse l'interdipendenza un'utopia esattamente come sembrava un’utopia quel sogno di Martin Luther King? C'è una bellissima frase di uno scrittore uruguayano che si chiama Edoardo Galeano che parla dell'utopia e dice che è come un punto dell'orizzonte, cammini e non arrivi mai. Man mano che ti avvicini si sposta… e la domanda che si fa Galeano è: “A che cosa serve l'utopia?” Serve esattamente a questo: a continuare a camminare.
Camminiamo insieme e avvicineremo un mondo migliore

Testo tratto dall’intervento del Sindaco di Roma Walter Veltroni alla seconda conferenza mondiale
sull’interdipendenza


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 ilaria ricciotti    - 14-09-2004
"Camminare insieme per avvicinare un mondo migliore", sembrerebbe un'utopia, un sogno chiuso nel cuore. Ma, a mio avviso, come si legge in questo bellissimo testo, io ritengo che bisognerebbe allargare il numero dei sognatori realisti , in un mondo dove c'è chi vorrebbe azzerare i sogni ed impedire alla gente di sperare, di credere in quei valori che hanno fatto progredire civilmente l'umanità.
Ma, questi signori dell'arroganza, della falsa democrazia, del non diritto, dovrebbero sapere che la storia non potrà essere fermata da loro. La storia andrà avanti, ed alla fine molti uomini si uniranno a quanti desidereranno fortemente camminare insieme per salvare il mondo, anche se dovranno spesso soffrire e per un attimo sentirsi soli.