Modelli di integrazione
Salvatore Nocera - 14-09-2004
L'integrazione scolastica dei disabili spiana la strada a quella degli stranieri

L'esperienza del passato è un modello, a patto di aumentare le risorse. Da evitare, gli errori delle classi separate o dei contingenti prestabiliti per zone o quartieri o scuole.

La presenza di alunni stranieri nelle nostre classi è fenomeno non nuovo; eppure quest’anno, si stanno sempre più frequentemente leggendo notizie di statistiche, di lamentele da parte di alcuni genitori di studenti italiani e pure proposte per evitare il sovraffolllamento nelle classi. Si parla di classi con il 10% sino ad un massimo di quasi il 50% a Brescia; alcuni servizi parlano di genitori di italiani che spostano dalle scuole pubbliche i loro figlioli per portarli nelle private; si legge pure che taluno propone le “quote” di ammissioni per singole scuole; qualche mese fa, a Milano, era stata proposta la creazione di classi per soli stranieri, o addirittura per soli appartenenti ad una sola etnia.

Fortunatamente il ministero dell’Istruzione è stato molto chiaro su alcune di queste proposte. Nessuna classe per soli stranieri; nessuna “quota” predeterminata per scuola o per zone o quartieri. Certamente queste risposte ministeriali sono frutto di una pluridecennale esperienza realizzata dalle scuole italiane con l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Anche per essi esistevano, prima del ’68, scuole e classi speciali e differenziali. A partire dalla L.n. 118/71 è iniziato il lungo cammino di avvicinamento all’integrazione scolastica di qualità, non solo nelle scuole statali, ma anche in quelle paritarie, nelle quali è pure divenuta obbligatoria l’accoglienza degli alunni con disabilità con la L.n. 62/00, già resa obbligatoria nelle scuole statali con l’art 12 comma 4 L.n. 104/92. Adesso il numero degli alunni con disabilità presenti nelle scuole statali supera le 150 unità e non ci sono più problemi di rifiuto.

Qualche problema di affollamento si era verificato ed il ministero aveva provveduto a fornire alcune indicazioni. Così il decreto ministeriale n. 141/99 stabilisce che non possano esservi più di 25 alunni se in classe è inserito un solo alunno con disabilità e non possano esservi più di 20 alunni, se in classe sono presenti due o, in via eccezionale, 3 alunni con disabilità. Queste percentuali vanno dal 4%, al 10% sino ad un massimo del 15%.

Inoltre la circolare n. 363/94, a proposito delle iscrizioni negli istituti di scuola superiore, ove la concentrazione nelle classi è maggiore stabilisce che, se la concentrazione avviene in alcuni istituti, ad esempio quelli professionali, occorre un incontro di tutti i Capi d’istituto, promosso dal coordinatore dell’ex Provveditorato agli Studi, per concordare criteri di equa redistribuzione anche fra altri istituti secondari privi di iscrizione.

Questi criteri dettati dall’esperienza di integrazione di alunni “diversi”, potrebbero essere applicati, con qualche aggiustamento anche all’integrazione di alunni stranieri.

Essi eviterebbero il sovraffollamento in alcune classi o il ricorso al criterio odioso del contingentamento per quartiere e faciliterebbero così un’accoglienza non traumatica. Certo, oltre alla riduzione numerica delle classi, occorrerebbe far conseguire agli alunni stranieri dei “prerequisiti”, come abbiano fatto con gli alunni con disabilità nelle scuole materne. Qui il prerequisito è costituito dall’apprendimento di un minimo di lingua italiana, senza di che anche se fosse un solo alunno straniero, la sua presenza diverrebbe inutile in una classe dove non comprende. Certo ci sono tanti metodi per fare apprendere la lingua “in situazione”; se però vi fosse un minimo di apprendimento precedente l’ingresso nelle classi, il lavoro dei docenti sarebbe più facilitato e l’integrazione coi compagni italiani sarebbe più rapida ed agevole.

La personalizzazione dei curricula faciliterà l’integrazione, come lo ha fatto assai prima che venisse sancita dalla legge della Riforma-Moratti, per gli alunni con disabilità. Anche le attività laboratoriali potranno facilitare l’integrazione, come pure la flessibilità organizzativa rimessa all’autonomia delle singole scuole, in base al regolamento sull’autonomia scolastica, approvato già dal ’99 col dPR n. 275.

Occorre evitare gli errori delle classi separate o dei contingenti prestabiliti per zone o quartieri o scuole. Quanti si ostinano a non voler dare risorse aggiuntive alle scuole, anzi a ridurle, devono rendersi conto che, di fronte a bisogni crescenti, logica e buon senso richiedono una proporzionale crescita di risorse. Se si continua a risparmiare sulla scuola, le diversità in essa presenti, invece di tramutarsi, come è avvenuto per gli alunni con disabilità, in risorsa, graverà come un ostacolo e spingerà a proporre soluzioni segregazioniste che, a lungo andare, potrebbero estendersi anche agli alunni con disabilità.


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