Roma, inizio di settembre 2004
La scuola e in generale il lavoro educativo coi bambini sono nell’occhio del ciclone: a Beslan nell’orrendo massacro che si è svolto in luogo della festa di inizio anno, nel rapimento delle “Due Simone” che sono in Iraq per lavorare coi bambini
Ci sono bambini di Beslan i cui occhi si sono chiusi per sempre: non potranno più vedere nè vivere nel mondo. Altri continuano a tenerli chiusi: non lo vogliono più vedere un mondo cosi’.
E ci sono bambini e bambine di tutto il mondo che hanno visto infrangersi la possibilità della sicurezza nei corpi nudi e sporchi, negli occhi sgranati e attoniti dei loro coetanei sopravvissuti a quell’incubo.
Gli adulti sapranno aiutarli ad andare oltre, ad elaborare, a capire che nel mondo possono accadere anche cose di questo tipo e che bisogna impegnarsi e lottare perché non accadano più, come ha invitato a fare Giovanni Bollea?
Si è parlato poco degli insegnanti coinvolti nell’eccidio di Beslan, sì e no nominati nell’elenco delle vittime.
Ho trovato un solo accenno: un giornalista racconta che una maestra, obbedendo giocoforza ai terroristi., ha fatto mettere in fila i bambini della sua classe per entrare in quella maledetta palestra. E chissà di quanti altri gesti di insegnanti, di bidelli, di adulti presenti non sapremo mai.
Non so se e quali pensieri abbiano attraversato la mente di quella maestra in quel momento. Non riesco nemmeno a provare ad immaginarmi al suo posto, è più forte di me che pure sono una maestra elementare.
Ma voglio ricordare quel gesto e guardarlo.
Un gesto che indica un modo di stare vicini pur in una situazione già chiaramente estrema.
Esprime una resistenza al terrore, forse dimostra anche il non perdere la testa, certo testimonia un continuare ad agire da punto di riferimento per il gruppo di bambini di cui si è responsabili. Un continuare ad agire da maestra, nonostante tutto.
Quel gesto, all’inizio di una azione che ha tragicamente ridotto quei bambini (ciascuno con un’età, un nome, una storia, con desideri, emozioni…) a una condizione unica e singolare di ostaggi e di vittime, ha prolungato la loro appartenenza ad un ordine normale, ordinario, li ha fatti sentire parte, ancora per qualche istante, di una classe scolastica.
Un ordine che forse avrebbe potuto essere ristabilito se il contesto (i decisori politici? Putin? I terroristi stessi?), se qualcuno avesse trovato il modo di tirarli fuori di lì, vivi, tutti.
Che cosa può fare la scuola, che cosa l’educazione perché tutto questo non si ripeta?
Che possono fare gli educatori, gli/le insegnanti per aiutare i bambini e le bambine a confrontarsi con l’orrore, direttamente o a distanza attraverso i media?
Con queste domande, aperte come ferite, si apre anche per noi in Italia l’anno scolastico.
Queste sono le responsabilità con cui si confronta oggi il lavoro degli insegnanti, di tutti gli insegnanti, non solo degli eventuali tutor, per intenderci.
Per questo va sostenuta e valorizzata la professionalità dei docenti.
Ci pensi, se può, il Ministro Moratti che sta invece portando avanti una riforma che svilisce sia la professionalità docente che la progettualità educativa delle scuole. Una riforma che certo non si pone il problema di rispondere a domande di questo tipo.
Il mondo ha bisogno di scuole in cui si sviluppi una cultura di pace, che insegnino a gestire i conflitti in modo non distruttivo, che coltivino la speranza e la possibilità di un mondo migliore. Molto migliore di questo. Migliore e possibile.
Un mondo che comincia dai bambini e dalle bambine.
Le “Due Simone” sanno bene quanto siano importanti i bambini e la loro educazione.
Che il loro lavoro non sia inutile e che possa riprendere al più presto.
Diana Cesarin (del Movimento di Cooperazione Educativa)
ciro amaro - 25-09-2004
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Sono un po' perplesso alla lettura dell'articolo. Si parla di una tragedia con intelligenza ed acume, ma poi si piega ciò che è accaduto alle esigenze della polemica politica contingente, con argomentazioni certo convincenti, non lo nego, ma rimane come uno iato, una forzatura. Forse è davvero poca cosa la Moratti, le nostre beghe italiane, di fronte a quello che è successo in quella scuola.
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