Teniamo in serbo
Giuseppe Aragno - 06-09-2004
Teniamo in serbo, per favore, che torneranno utili di qui a poco, le candele che si spengono una dietro l’altra nelle nostre città distratte: avremo ancora bisogno delle loro flebili luci per pacificare le nostre coscienze.
Teniamole in serbo per quando serviranno, e poi tiriamo avanti. Ce ne saremo dimenticati domani, quando irritati allontaneremo con la mano il ragazzino scuro e arrogante che vorrà a tutti i costi lavarci il vetro dell’auto al primo incrocio fuori di casa nostra. Non ricorderemo nemmeno di averle accese, cento metri più in là, quando nel via vai della folla che riprende i suoi ritmi, scanseremo la miseria degli immigrati e la loro equivoca merce distesa sui marciapiedi ingombri.
Faremo così domani, dopo l’orgia di lumini, di immagini e parole lette e scritte. Dopo gli abituali silenzi ai quali torneremo.
Così faremo. Come se non sapessimo che ognuna delle pallottole sparate su bambini innocenti è uscita in qualche modo dalle nostre teste, dalle nostre mani, dalla vita che abbiamo scelto di vivere. Così faremo. Noi di destra o di sinistra, noi che votiamo e noi che per protesta non votiamo. Così, piangendo tutti insieme per la morte mandata in diretta e compiendo il miracolo, ognuno da solo, nella sclerosi cui abbiamo condannato le coscienze, di riuscire a non vedere ogni giorno la vita disumana che ci circonda, la sofferenza infinita che ci implora e ci domanda aiuto. A non vedere la vita che merita pietà più di ogni morte.
Noi, che non avremo mai l’animo di ribellarci, teniamole in serbo, per favore, le candele, che torneranno certamente utili domani.


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 GP    - 06-09-2004
Segnalato dal sito: http://www.inmovimento.it/

Quando muoiono i bimbi

C'era una volta una tranquilla cittadina nella regione russa dell'Ossezia, Beslan, circa 33.600 abitanti.
Oggi Beslan di abitanti ne fa circa 33.000, in un colpo solo.
E dei 600 abitanti scomparsi circa la metà erano dei bambini.
Non ci sono parole di fronte a tragedie così immani.
Nemmeno se fosse stato un terremoto, un incendio devastante, un'alluvione.
Meno che mai ho parole di fronte ad una strage di siffatte proporzioni e qualità compiuta da mano umana.
Ad Auschwitz furono deportati dai nazisti circa 850 bambini, ed alla liberazione solo la metà, circa 400, furono ritrovati vivi.
In poco meno di due anni i nazisti erano riusciti a far morire oltre 450 bambini inferiori ai 14 anni.
A Beslan in poco meno di due ore sono riusciti a far morire ammazzati circa 300 bambini inferiori ai 14 anni.
Mi spiace dare le dimensioni della tragedia solo con delle cifre aride, ma i commenti mi si spengono in gola.
Anch'io sono un padre, ed eventi del genere ti gelano, fanno sentire il freddo della morte dentro di te.
Come per i bimbi massacrati in Cecenia ed in Iraq, ogni giorno.
Quando muoiono i bimbi il cuore di un padre non fa differenza tra le creature morte con le telecamere e quelle senza.

GP



 Emanuela Cerutti    - 06-09-2004
Difficile, alla fine della lettura di un Servabo che mi riporta ad altre memorie, rispondere alla domanda su "che fare?".
Domanda che le parole di Aragno pongono naturalmente.
Perchè ci si sente responsabili, in qualche modo, di quanto accade nel nostro mondo. Responsabili anche se piccoli, ma non per questo esenti da scelte quotidiane e concrete.
E non si può mettere la testa sotto la sabbia, neppure del dolore. Quanto dolore ci potrebbe seppellire, se lo volessimo e potessimo vedere tutto?

Sylvie Cherpin, la compagna di Georges Malbrunot, in un'intervista a Repubblica dice :"Solo con il dialogo si riesce a recuperare un rapporto con il mondo musulmano. E il dialogo fa parte della nostra cultura. Solo così si riesce ad evitare ciò che alcuni vogliono che accada". Poco prima aveva sottolineato: "Io credo che debbano agire gli esperti", secondo quel clima di fiducia nel proprio governo che si respira in Francia.
Un riferimento, un modo per pensare che si può cambiare in questa Francia che non si è piegata al terrorismo, ma che ha cercato un' altra via, diversa, per aprire una porta.
La Francia che sa a quali rischi si sta esponendo eppure li affronta, nel turbine delle contraddizioni.
Per limitare il dolore.

Ce ne sono tante di altre vie: personali e collettive, in un intreccio inevitabile.
Alle analisi che ci permettono di capire per quanto di capire ci sia dato forse occorre accostare una forma di coerenza, una disponiblità a rinunciare, una capacità di scegliere quotidiani diversi per poter dare concretezza alle vie difficili.
Ci vuole coraggio.

Chissà se nel Paradiso dei Profeti i bambini russi ed i bambini ceceni avranno cominciato a giocare insieme.



 Grazia Perrone    - 07-09-2004
Non so quale sia la "fonte" storica alla quale il lettore (che si firma GP) si riferisce ma ... è sufficiente leggere le, struggenti, pagine di Primo Levi (che riporto) per sapere che i bambini assassinati nei campi di Auschwitz-Birkenau sono stati molti di più (il numero esatto non lo sapremo mai) dei "quattrocentocinquanta" citati.

Per il resto sono, semplicemente, senza parole per esprimere la commozione e lo sgomento per un "evento", come quello avvenuto nella scuola dell'Ossezia, che - di umano - non ha nulla.

(...)"In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire né allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente. Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria, di ognuno di noi era stato giudicato se potesse o no lavorare utilimente per il Reich (...) Così morì Emilia che aveva tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese la necessità storica di mettere a morte i bambini degli ebrei: Emilia, figlia dell'ingegner Aldo Levi di Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di zinco, in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte.

Scomparvero così, in un istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri figli. Quasi nessuno ebbe modo di salutarli. Li vedemmo un po' di tempo come una massa oscura all'altra estremità della banchina, poi non vedemmo più nulla
(...). (cfr. Primo Levi - Se questo è un uomo )