Anna Pizzuti - 21-08-2004 |
In bilico tra la retorica nazionalista degli inni, delle bandiere e delle telecronache a volte troppo parziali e quella del luogo comune positivo dell’esaltazione degli sport che costano sacrificio e che vengono ignorati per quattro anni, ma che, se portano medaglie ci fanno diventare tutti tiratori di arco o di fioretto, le Olimpiadi stanno andando avanti a distribuire medaglie. E occupano, sempre con le medaglie, giornali e telegiornali. Magari immediatamente dopo o immediatamente accanto ai titoli ed alle immagini disperate dell’Irak. Quei titoli e quelle immagini che la censura lascia passare, ovviamente (Cosa è veramente accaduto a Nassirya, prima che il reporter americano venisse rapito? Cosa stanno facendo lì i soldati italiani? Quale pace possono portare le bombe che cadono?) Con quel contrasto tra guerra e pace, tra bombe e corone di rami di ulivo, che nemmeno la retorica olimpica più vieta ha più il coraggio di ricordare. Nessuna telecronaca, nessun inno, nessuna corona d’ulivo, e, mi sembra, quasi nessuno spazio su giornali e telegiornali per un’altra medaglia: quella al merito civile che il Presidente della Repubblica ha conferito a Cheik Sarr, il ragazzo senegalese di 27 anni, morto annegato alla vigilia di ferragosto sul litorale livornese, dopo aver salvato un bagnante che rischiava di annegare. Troppo facile e scontato, il confronto, tra questa medaglia e le altre. Eppure, secondo me, da sottolineare. Per tanti motivi, ma anche perché mi offre l’occasione per raccontare una storia analoga, della quale sono stata – indirettamente - testimone. Si chiamava Cristian, madre italiana, padre giamaicano-canadese, ed è arrivato in una mia seconda media di tanti anni fa. Costretto a cambiare scuola perché messo a disagio dai compagni. Che per lui la vita nella nostra cittadina non fosse facile ce ne siamo accorti poche settimane dopo. All’uscita dalla scuola, di nuovo un’aggressione, perché giocando insieme agli altri lo stupido gioco di carnevale con le bombolette della schiuma da barba, aveva sporcato l’auto di un mio civilissimo concittadino. Che, naturalmente, se l’è presa con lui solo. L’aggressione, la denuncia, gli stringono ancora di più i compagni intorno e crescono l’amicizia e l’affetto. Al primo anno delle superiori, però, Cristian si perde, gli amici della scuola media non gli stanno più bene, la scuola non gli sta bene e gli è facile accusare la madre della doppia difficoltà con la quale l’ha fatto nascere ed attribuire a queste difficoltà alcune scelte sue difficilmente accettabili. Alla fine convince la madre che il suo posto è in Canada, con il padre. E parte e dimostra di aver ragione: riprende gli studi e si diploma. E il diploma va festeggiato. Con una gita in canoa sul lago. Lui e due o tre amici. Cristian nuota benissimo, quindi non indossa il giubbetto salvagente. I suoi amici sì, ma non fa molta differenza. Quando la canoa si rovescia, sono proprio questi giubbetti che non funzionano bene a tirare sotto i ragazzi che li hanno indossati. E Cristian li salva. Tutti, tranne l’ultimo, che lo trascina con sé. La mamma mi ha mostrato poi gli articoli dei giornali locali che raccontavano quello che era accaduto. Non ricordo se Cristian abbia ricevuto qualche medaglia, ma gratitudine sì. Quella gratitudine che a Ckein è mancata e che non credo sarà compensata dalla medaglia. Ai funerali del ragazzo senegalese, insieme alla bandiera del suo paese, c’era anche la bandiera della pace. Quella che non riesce a sventolare, nonostante sia acceso il fuoco di Olimpia. |
Sid il bradipo - 21-08-2004 |
Sul blog Istintivamente c'è questo racconto: Un senegalese salva un italiano che sta annegando, nel mare di Castagneto Carducci, dalle parti di Livorno. Ma mentre lo trascina a riva, viene travolto da un'onda, annaspa e sparisce nei flutti. L'altro vede tutto, ma sparisce, senza dire niente a nessuno. E senza nemmeno porsi il problema di dover ringraziare il morto. Il senegalese si chiamava Cheikh (come un mio vecchio amico). Cheick Sarr, aveva 27 anni e una moglie in Senegal, che lo aspettava a Natale per fargli vedere per la prima volta la bimba Yasin, che ha 10 mesi. Il corpo è stato ritrovato in serata. Nessun commento dalle teste di cuoio anti-immigrati, al governo. A ricordare l'eroe, più che la retorica, valgano le parole del fratello Khadim, muratore come lo scomparso: "Stanotte ho sognato Cheick. Sorrideva. Mi ha detto di non essere pentito e che si tufferebbe in quel mare in tempesta altre mille volte. Era orgoglioso di avere salvato un uomo. Gli spiaceva solo per Yasin". Poi due parole per l'italiano salvato: "Mi piacerebbe conoscerlo. Non gli chiederei niente. Lo abbraccerei in silenzio. Perché sono certo che in lui c'è anche un po' di vita di Cheick". Magari è tutto inventato, sta di fatto che nel branco si fa così avrebbe detto Manfred, il mammuth dell'era glaciale e anche Diego, la tigre sciabola. Sono d'accordo Anita: bisognerebbe farlo sempre. E' il modo migliore per essere amici. Ciao Cheikh. |