CUBA
Ipocrisie. Per Cuba vige un metro di misura speciale. Anche a sinistra
GIANNI MINA'
Sembra che Cuba - proprio nel momento più difficile della sua storia - non possa essere giudicata come qualunque altra nazione, perfino da quei mondi che definiamo di sinistra. Persino la legge che inasprisce fino ai limiti più estremi dei diritti delle persone le sanzioni contro Cuba varate a maggio da Bush per ingraziarsi la comunità cubana della Florida non ha toccato le coscienze di molti democratici italiani, dai vecchi radicali ai nuovi riformisti. Lo stesso dicasi della coscienza di molti dei giornalisti che disinvoltamente maneggiano la questione «diritti umani», come per esempio Reporters sans frontiéres. Per questo gruppo di pressione l'Onu, recentemente, ha messo in atto un processo di espulsione dal ruolo di entità consultiva per «atti incompatibili con i principi e gli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite». Non c'è da sorprendersi perché alcuni di questi giornalisti a comando sono gli stessi che avevano eluso, nel loro rapporto annuale del 2003, le disinvolte imprese del governo Bush in Iraq e avevano ignorato il plateale tentativo di destabilizzazione messo in atto dal Dipartimento di stato americano verso Cuba quando ha dotato il nuovo responsabile dell'ufficio di interessi Usa all'Avana, James Cason, di un budget di 53 milioni di dollari l'anno per «costruire una opposizione interna alla revolucion cubana». Insomma, per comprare una presunta democrazia per l'isola a colpi di 5-10mila dollari a botta.
Sono notizie imbarazzanti, non solo per i dissidenti autentici, ma anche per chiunque non abbia una doppia morale. Perché si fanno beffe del diritto di autodeterminazione dei popoli, e segnalano, da parte degli Usa, un progetto così dichiaratamente repressivo verso chi, come Cuba o il Venezuela, o i movimenti indigeni sudamericani, si opponga alle strategie politico-economiche di Washington, da fare impallidire perfino le illiberalità del regime dell'isola. Oltretutto sono atti e sanzioni che potrebbero essere prossimamente riservate anche a Brasile e Argentina se diventassero anch'esse due nazioni «disubbidienti» alle intimazioni del Fmi e della Banca Mondiale, o al richiamo dell'Alca (il trattato di libero commercio continentale voluto dagli Usa).
Ma questo panorama complesso, questa storia di popoli che vogliono sopravvivere al neoliberismo, non interessa molte di quelle forze politiche, come per esempio i Ds, che l'anno scorso appoggiarono l'azione di Aznar e Berlusconi alla Comunità Europea perché fossero varate perfino delle sanzioni culturali contro Cuba, dopo che gli «investimenti» del Dipartimento di Stato avevano prodotto tre dirottamenti aerei in due settimane e il sequestro del ferry boat di Regla ai quali il governo di Castro aveva risposto brutalmente con la fucilazione di tre degli undici sequestratori dell'imbarcazione. Era chiaro già allora che simili strategie non potevano essere opera di semplici «dissidenti», come proprio alcuni organi di stampa nordamericani, hanno ben presto rivelato segnalando che le «azioni terroristiche» previste, prima del duro giro di vite deciso all'Avana, erano addirittura sedici.
Questo non giustifica certo le fucilazioni decise l'anno scorso all'Avana dopo quattro anni di moratoria sulla pena di morte, ma spiega almeno il contesto e il clima di timore in cui erano state decise. Fu il sottosegretario Baccini dell'Udc, e non purtroppo qualcuno della sinistra a segnalare in quel frangente che «non è certo interrompendo i rapporti culturali che si aiuta un paese ad aprirsi verso una democrazia più compiuta». Ma Aznar e Berlusconi tirarono dritto, forti dell'appoggio di chi si proclama socialdemocratico. E lo stesso fece la Comunità Europea, creando i presupposti della illegale e pericolosa situazione attuale, dove Bush e il suo apparato hanno già cominciato, come fecero per l'Iraq, la campagna di persuasione per giustificare un domani qualunque intervento su Cuba (e anche sul Venezuela e la Bolivia), arrivando grottescamente ad accusare la revolucion di essere connivente nel traffico della prostituzione, anche giovanile.
In un continente dove i bambini sono in vendita interi o a pezzi, per il fiorente traffico di organi verso il nord del mondo, Cuba, pur con tutte le sue contraddizioni, errori, integralismi, è un'eccezione, non solo per il drammatico presente dell'America latina, ma anche per la disarmante realtà di tutto il sud del mondo. «Questa notte 200 milioni di bambini dormiranno per le strade del pianeta. Nessuno di loro è cubano» ha ricordato Frei Betto, citando un cartello non smentibile che dà il benvenuto al viaggiatore in arrivo all'aeroporto dell'Avana. «Non vale nulla tutto questo?», chiedeva Betto.
Il problema di difendere il diritto di Cuba all'autodeterminazione e a non essere cancellata dalla prepotenza del più forte, non per i suoi errori, ma per i suoi meriti, si pone quindi in tutta la sua complessità ed è, innanzi tutto, un problema etico, come avrebbe affermato Enrico Berlinguer, che fu l'ultimo segretario dell'ex Pci italiano ad andare in visita ufficiale a Cuba, alla metà degli anni `80.
La revolucion e il Pci, in verità non avevano mai avuto un rapporto idilliaco. I nostri, come sempre, pontificavano, e i cubani si chiedevano invece «in base a quale merito potessero insegnar loro come ribellarsi e difendersi dalla politica imperialista della Casa Bianca». Ma Berlinguer seppe capire e mediare un nuovo rapporto franco, specie apprendendo che, solo pochi anni prima, un presidente nordamericano etico e senza pregiudizi, Jimmy Carter, aveva messo in marcia una possibile storica pace con Fidel Castro e la rivoluzione, sfumata nel 1980 con l'elezione di Reagan. Allora la guerra a Cuba ritornò «sporca», risorsero ovunque i Comitati per i diritti umani a Cuba. In Europa, ce n'era uno in ogni capitale, diramazioni della Cia, prodiga nella distribuzione di denaro, e nella produzione di dissidenti. In Italia aveva la sua sede a Mondo Operaio, nell'orbita craxiana. Adesso ha solo cambiato padrini, sempre nella cosiddetta area riformista.
Nessuno si imbarazza perché lo stesso trattamento riservato a Cuba non riguarda, per esempio, la «macelleria» Colombia di Uribe, il gigante Cina dei due-tre mila fucilati l'anno o la Russia di Putin che spiana la Cecenia e fa 250 mila vittime nel silenzio generale. Cuba ha commesso tanti peccati, ma non di questa portata, eppure la sua sopravvivenza orgogliosa, come ha scritto Galeano, non si perdona. Tremila desaparecidos negli Usa per le leggi anti terrorismo non fanno notizia, così come l'abolizione dell'habeas corpus o le 45 pagine di condanna agli Stati Uniti dell'Alto Commissario Onu per i diritti umani per «uccisioni arbitrarie, torture, trattamenti disumani di detenuti da parte dell'esercito nordamericano in Iraq».
Una volta in tv qualcuno mi ha detto che questo modo di ragionare si chiamava «altrismo». Io penso invece che la condivisione dell'accanimento contro Cuba riveli ipocrisia e doppia morale. C'è qualcuno a sinistra che sente il dovere di opporsi alle nuove inquietanti iniziative di Bush jr. verso Cuba evitando ulteriore sofferenza, indigenza, insicurezza a migliaia di persone? E che almeno si vuol far carico, per etica, dell'esigenza di giudicare Cuba con lo stesso metro usato per quelle nazioni che definiamo «democratiche» solo perché sono convenienti ai nostri interessi economici o politici?