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Siamo stanchi di mendicare
Liberazione - 13-07-2004


A Milano Riccardo Muti dirige un concerto contro i tagli al Fondo per lo spettacolo.
Poi spiega che la cultura «è un dovere dello Stato e un diritto dei cittadini»


Dieci minuti di standing ovation e battimani ritmati, al grido di Bravi! Grazie! . Poi il pubblico che riempie come un uovo il Teatro degli Arcimboldi intona il Va Pensiero verdiano sotto una bacchetta d'eccezione, quella di Riccardo Muti: è proprio lui, il Maestro, che chiede questa straordinaria conclusione corale. «Poichè siamo qui uniti da uno stesso spirito lasciamoci senza distinzione tra pubblico e musicisti, cantiamo insieme....». E' proprio lui che suggerisce le parole che non tutti ricordano (O mia patria sì bella e perduta), detta il ritmo "giusto", e ottiene il miracolo: una folla straripante di lavoratori e gente comune che riesce ad andare a tempo, a cantare tutta insieme quello che, in fondo, è il nostro vero inno nazionale. A vivere un'emozione che davvero lascerà a lungo il segno.
No, non siamo nel mezzo dell'Ottocento risorgimentale, in un'arena teatrale che, come all'inizio del grande affresco viscontiano di Senso, si trasforma di colpo in una manifestazione politica. Siamo, appunto, al Teatro degli Arcimboldi di Milano, e, con l'orchestra e il Coro della Scala (ormai di imminente riapertura) Riccardo Muti dirige uno spettacolo nient'affatto di ordinaria amministrazione: un concerto con musiche di Rossini, Bellini, Verdi - il meglio del nostro patrimonio operistico - copromosso da tutti i sindacati (Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom- Uil, Cisal-Fials). Vi sono stati invitati lavoratori e lavoratrici «a sostegno della cultura» minacciata, più che minacciata da una mostruosa accetta: a dispetto delle rassicurazioni del ministro Urbani, che si vanta di esser riuscito a bloccare il taglio del Fus, il problema, ora, è che tutto passerà al vaglio delle Regioni. Il pericolo, insomma, incombe. Perciò ieri all'appello dei sindacati hanno risposto in tantissimi, lavoratori, sindacalisti, intellellettuali, semplici cittadini, rappresentanti dei partiti - c'è anche Rifondazione comunista, naturalmente, con una delegazione nazionale, Stefania Brai, responsabile dello spettacolo e Sergio Bellucci, capodipartimento della Comunicazione.


Un "Nabucco" di lotta

Un evento già in sè significativo - quando mai anche il Nabucco diventa una grande arma di lotta sociale e culturale? - che si trasforma in un momento che si può forse definire storico, quando il maestro Muti esce dalle quinte, prende il microfono e pronuncia parole che rimarranno: «La cultura è un dovere dello Stato, è un diritto dei cittadini, i governi devono prendersene cura. Questi musicisti sono i continuatori di una tradizione che ha attraversato la storia d'Italia, di Rossini, di Verdi… noi siamo stanchi di chiedere…». Quell'aggettivo, stanchi, quasi gridato, è destinato a risuonare nella città, proprio comer quel resistere, resistere, resistere di Borrelli che, a suo tempo, fece epoca. I tagli del governo Berlusconi (e purtroppo anche del precedente governo Prodi) si sovrappongono in realtà alla disattenzione ed al disinteresse di un'intera classe dirigente, pronta solo ad arraffare sedie in consigli di amministrazione, o a pensare alla Scala solo come al luogo di esibizionismo mondano. Gli artisti sono considerati in verità come comparse di un altro spettacolo, quello di una politica che ha promosso sla cultura delle veline, dei Vanzina, del capo in doppiopetto.


La piattaforma dei sindacati

Il comunicato dei sindacati, come sottolineano Giancarlo Albori e Nicola Cimino (Cgil) che molto hanno contribuito all'evento, è sobrio, serio, vola ad altezze siderali rispetto alla politichetta cattiva ed egoista della destra a Milano e a livello nazionale. Si chiede conto ancora una volta della riduzione, l'ennesima, delle risorse, dell'innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni persino per il corpo di ballo(!), del blocco della contrattazione. E si contesta l'abbandono da parte dello Stato, di un'intera attività artistica, come lo è d'altra parte tutta la cultura, a colpi di citazione di Aristotele e dell'esempio dell'antica Grecia «per la quale la passione per il teatro più che una mania fu un furore"» una Grecia e «aveva speso più per il teatro che per la flotta». Oggi in Italia si fa l'esatto contrario e non a caso il comunicato parla di una «guerra e di un terrorismo che stanno imbarbarendo i rapporti tra i popoli» e di come proprio oggi, anche eper questo non si possa rinunciare «al linguaggio universale dell'Arte e della Cultura".

Ma non c'è solo La Scala, ormai da anni Fondazione, con i suoi problemi, che pur è un teatro di portata internazionale, fiore all'occhiello del nostro paese. Molti sono i teatri italiani, cosiddetti minori (non certo dal punto di vista qualitativo) che sono ormai al tracollo finanziario: è anche per loro che il Fus (Fondo nazionale dello spettacolo) non deve essere tagliato. Si tratta di dar fiato ai tanti, tante che della loro arte non riescono a vivere, per tutti quei luoghi che comunque cercano di produrre musica e arte di qualità. E non appaia superfluo ricordare che comunque la cultura è un'industria che può dare lavoro e ricchezza a tutta la collettività. Dice ancora Muti: «So che ci sono problemi grandi, ospedali che hanno bisogno di risorse, bambini che hanno fame: bisogna risolvere questi problemi». Ma l'imbarbarimento dello spirito alla lunga compromette anche i corpi. Come dargli torto?

10 luglio 2004
Patrizia Bortolini
responsabile cultura Prc Milano



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