Le mani e gli occhi
Anna Pizzuti - 09-07-2004
"Mi vogliono bruciare, mi vogliono far fuori? Vogliono uno che non riesca a mettere le mani e gli occhi dove vanno messi?". - Giorgio Ambrosoli ad un amico


11 luglio 1979


Milano si è svuotata e le ombre della sera sono avvolte da un caldo umido. Sei amici. Si conoscono dai primi anni '70. Le mogli sono in vacanza con i bambini. Così decidono una rimpatriata, come ai vecchi tempi. Vanno a mangiare al ristorante " Tre fratelli ". Giorgio Ambrosoli è stanco, turbato ma quella sera sorride, è cordiale, allegro. Alle dieci e mezzo i sei amici hanno finito di cenare. In televisione scorrono già le immagini dell'incontro di pugilato tra Lorenzo Zanon e Alfio Righetti. Fanno a pugni per conquistare il titolo europeo dei pesi massimi. La casa più vicina al ristorante è quella di Ambrosoli. Ora sono davanti al piccolo schermo nell'abitazione dell'avvocato.Via Morozzo della Rocca numero 1. Una serata come quella era da tanto tempo che non la trascorreva. Il pugilato distrae: la mente di Giorgio Ambrosoli per un attimo si allontana da quei pensieri che lo assillano ormai da troppo tempo.
Zanon e Righetti si stanno picchiando forte. L'incontro finisce in parità e il titolo di campione europeo resta quindi a Zanon. E' mezzanotte e squilla il telefono. L'avvocato alza la cornetta. Dall'altra parte, nessuno parla.Il silenzio di una linea telefonica collegata investe i nervi dell'avvocato.. Poi l'anonimo mette giù. Ambrosoli scende in strada, saluta due amici. Torneranno a casa a piedi.Sulla vettura dell'avvocato salgono gli altri tre. Li accompagna a casa. Poi torna indietro, parcheggia la sua Alfetta blu davanti a casa. Scende dalla macchina....
Tre colpi di Magnum 357 uccidono Giorgio Ambrosoli.


Il 14 luglio 1979 al funerale dell'avvocato Ambrosoli non presenziò alcuna autorità di governo e nessuna autorità in rappresentanza del governo.

L'avvocato Giorgio Ambrosoli è un uomo perbene, di poche parole, un professionista, riservato quanto basta. Ricopre un ruolo importante, ma scomodo. E' il liquidatore della Banca Privata del finanziere Michele Sindona.

Apparentemente solo un incarico professionale prestigioso e impegnativo, un tipico cimento da borghese. In realta’ un percorso di guerra, che sarebbe durato cinque anni, tra inganni, lusinghe, minacce, per concludersi in una notte di luglio del 1979, sotto i colpi di una pistola 357 Magnum.

L'avvocato fece con intransigenza il proprio dovere. Con molta semplicità - al momento della morte non aveva ancora compiuto 46 anni e possedeva l'intelligenza per diventare un grande avvocato - disse ripetutamente di no agli ossessivi tentativi di salvataggio della banca promossi da uomini di governo in sintonia con i poteri criminali. Mentre la loggia massonica P2 faceva da regista nell'offensiva micidiale contro Ambrosoli, di continuo esterrefatto - risulta dalle sue agende - di fronte alla rivelazione delle illegalità, delle trame, delle connivenze, dei tradimenti che hanno per protagonisti uomini di alto ran go dello Stato, ministri, magistrati, banchieri. Avrebbero dovuto essere naturalmente dalla parte della legge, dalla sua parte, e invece si rivelavano nemici, alleati tra loro per vanificare la legge.

È stato definito un eroe borghese, un ossimoro, l’accostamento di concetti contrapposti. Quel che turba di più, in questa fosca storia è che si possa e si debba definire eroe una persona che fa assolutamente ciò che deve in nome della legge e della Costituzione.

Resta un pensiero che inquieta. Per salvarsi, a Giorgio Ambrosoli sarebbe bastato poco. Piccoli gesti neppure visibili all’esterno che avrebbero potuto apparire come atti dovuti. Ambrosoli sapeva bene che ne avrebbe ricavato enormi benefici. Erano assai potenti, infatti, coloro che gli chiedevano quei piccoli gesti, una firma, un benestare (Un aggiustamento di rotta pagato ancora una volta dagli italiani onesti). Non c’era bisogno, per salvare la vita, di clamorosi tradimenti. Sarebbe bastato un minuscolo sì. Ma Giorgio Ambrosoli, per restare in pace con la propria coscienza, disse sempre e soltanto no.

La lettera che scrisse alla moglie Annalori nel 1975, neppure un anno dopo la nomina - sarà ritrovata nella sua agenda dopo la morte - è un'altra testimonianza di dirittura morale e di coraggio: "È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di far qualcosa per il Paese [...]. A quarant'anni di colpo ho fatto politica e in in nome dello Stato e non per un partito [...]. Qualunque cosa succeda, comunque tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...]. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa".

Pagine consultate:

Giallo e nero

Libertà e giustizia

Osservatorio sulla legalità

L’Unità on line

Caffè Europa

Per saperne di più leggi:

L’ intervista di Monica Capelli al maresciallo Silvio Novembre, da “I siciliani nuovi” aprile 1995

Giorgio Ambrosoli, l’uomo che sfidò Sindona e la mafia di Giorgio Bocca – La Repubblica, 11 luglio 1999






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