Il confine del rimprovero
Mario Menziani - 07-07-2004
E’ indubbio che “i doveri dell’insegnante siano potentemente orientati anche verso risultati di educazione etica, sociale e di promozione della formazione della persona anche al di là degli aspetti strettamente didattici”.
Così scrive il P.M. chiedendo l’archiviazione del caso al giudice istruttore.
Quale caso? E’ presto detto: un’insegnate riprende un propria allieva perchè ha aggredito una compagna. Non si tratta di un litigio da poco: la compagna subisce percosse tali che deve rivolgersi al pronto soccorso.
E’ importante sapere che il fatto è avvenuto fuori dalla scuola? E’ importante sapere che il rimprovero avviene all’interno della classe e che l’insegnante, forse come ogni adulto al mondo che ha a cuore i ragazzi e le ragazze che gli sono affidati, si accalora nel rimprovero?
Sembra di sì. Sembra decisivo per tanti (ragazzi ma anche adulti) conoscere il confine preciso, netto, invalicabile. Il segno oltre il quale non è possibile passare. C’è un territorio preciso in questo modo di pensare, anzi tanti territori precisi e distinti. La scuola e la non scuola, ci sono io e ci sei tu, e tu sei quello che non si deve intromettere negli affari miei.
Che buffo! Nel mondo senza confini sorgono infiniti steccati. Il recinto della scuola è oggetto di sofismi: oltre quale confine tu prof non puoi più rimproverarmi?
Da dove nasce tanta paura dell’altro?
Ce ne stiamo occupando nelle nostre scuole di questa implosione sociale?
Ma soprattutto: ce la può fare la scuola da sola ad affrontare un problema che ha assunto dimensioni così rilevanti, sia dal punto di vista numerico che qualitativo?
Già perché per l’insegnante di cui stiamo parlando dal momento della sua condivisibilissima “sgridata” si è aperto un vero e proprio calvario. Denunciata dai genitori dell’alunna per averle provocato uno stato di malessere, la collega si è dovuta sobbarcare la procedura giudiziaria e tutte le immaginabili conseguenze collaterali: indagini, interrogatori, dubbi, indiscrezioni.
Parole, che girano fino ad insinuarsi nella propria mente. Capaci di farti nascere mille dubbi circa la propria azione, la propria correttezza.
E poi le spese. Non è poca cosa dover rivolgersi ad un avvocato. Non sarebbe lecito, almeno in questo, essere supportati dalla scuola? La scuola invece indaga (anche lei!) Verifica che il tuo comportamento sia stato corretto, o quanto meno riferisce a chi sta sopra. E poi? E se ha verificato che tutto è a posto, che fa?
Nulla. Anche su questo terreno sei solo.
E’ un bene che il P.M. abbia scritto quella frase. E’ un riconoscimento giusto e doveroso: gli insegnanti sono educatori, non solo trasmettitori di nozioni. E tutto questo non è “opzionale”: è un dovere potentemente orientato”.
Mi piace quel “potentemente”. Fa bene sentirselo dire.
Si tratta solo di renderlo possibile.



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