e-Learning ed Università
Carmine Marinucci - 05-07-2004
L'opinione di Roberto Maragliano

Continuano le interviste di Learning Community ai più importanti esperti del settore della formazione. Questo mese, l’opinione di Roberto Maragliano

Carmine Marinucci
Stefano Epifani



Roberto Maragliano: ideatore del Master on-line “Multimedialità per l’e-Learning” e del corso di perfezionamento a distanza su web “La scuola in rete”, Professore di tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento presso l’Università Roma Tre, Responsabile del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive della stessa Università. Fertile autore di numerosi testi di riferimento nel settore della didattica on-line, tra i quali – soltanto nel 2004 – l’edizione aggiornata del “Nuovo Manuale di didattica multimediale” e “Pedagogie dell’e-Learning”, entrambi editi da Laterza... a lui siamo andati a chiedere qual è lo stato dell’arte della didattica on-line…

Prof. Maragliano, una domanda all’apparenza banale: ma l’e-Learning funziona davvero? E – se sì – come si spiegano le allarmanti cifre riferite al drop-out dai percorsi di formazione on-line?
Potrei rispondere girandole la stessa domanda: ma la formazione in presenza funziona davvero? E con che risultati? Con quanti drop-out? Il problema è che non si può, ormai, fare a meno della rete, per la stragrande maggioranza delle attività umane, sia quelle materiali (o con effetti materiali) sia quelle ‘spirituali’ (diciamo così). Dunque, è improprio che si pensi, proprio per la formazione, di rinunciare a questa risorsa, ed è un lusso (che non ci possiamo permettere) l’indulgere in dubbi o perplessità pregiudiziali in proposito. Tanto più che, nell’ambito formativo, lo strumento ‘principe’ continua ad essere un medium, il libo, di cui tutto si può dire, ma non che è organico all’idea di una ‘presenza’: dov’è l’autore del libro su cui l’allievo studia mentre lui studia, e, ancora, dov’è l’insegnante che ha adottato quel libro, nel mentre l’allievo vi studia sopra? Certo, c’è il problema del drop-out relativamente elevato per i corsi on-line. E’ un dato di fatto, che va però interpretato. E non si può farlo evitando di prendere in considerazione altri dati di fatto: che spesso i corsi on-line non sono buoni, costituendo la meccanica trasposizione in rete di risorse pensate per altri media; che il livello di familiarità con la rete, da parte di non pochi allievi, è ancora piuttosto basso; che molti (sul versante dell’offerta) pensano che la rete sia nient’altro che una soluzione comoda ed economica per produrre e distribuire oggetti didattici e (sul versante della ricezione) un’ottima occasione per ricevere testi e immagini e suoni direttamente sul proprio desk. L’elenco potrebbe continuare. E’ evidente che le prerogative della rete sono ben altre. Conoscere e praticarle equivarrebbe a creare aspettative diverse, in ordine all’uso della rete per scopi formativi.

Quando si parla di e-Learning, spesso il discorso si sposta su argomenti come “le piattaforme”, “i formati di standardizzazione”, i “protocolli”. Certo, il ruolo delle tecnologie è importante, ma non le sembra che si corra il rischio di perdere di vista la didattica in virtù della tecnologia?
Sì, è vero, si delega alla macchina un problema che è essenzialmente e resta purtuttavia didattico. Ma c’è di più. Nella piattaforma, in ogni piattaforma, c’è più o meno nascosto un progetto di formazione, agisce in modo sotterraneo un’idea di didattica. Ha poco senso, dunque, discutere di standardizzazione e protocolli o anche piattaforme al di fuori di una presa in carico di concettualizzazioni pedagogiche. Per esempio, allo stato attuale la produzione/circolazione di learning object ha assunto dimensioni mitologiche, facendo intravedere un futuro ‘pulito’ in cui la rete potrà mettere l’universo dello scibile a disposizione di tutti, attraverso l’offerta di infinite tessere variamente componibili; bene, ma siamo sicuri che questo obiettivo risulti plausibile, accettabile, condivisibile anche all’interno di prospettive pedagogiche, che non si debba tener conto anche della parte di ‘sporco’ che inevitabilmente pesa sul ‘pulito’ (dunque dei rapporti stretti fra apprendimento informale, apprendimento non formale e apprendimento formale) ? È effettivamente questo, ciò che vogliamo, una rete in cui tutte i learning object sono bigi? O ancora: dovrà essere il tecnico di macchina a dire a me docente come porgere un determinato contenuto, a me autore come organizzarlo o sarà invece possibile che per il mio modo di porgere o di scrivere si trovi una soluzione tecnica adeguata? E, più in generale: saranno gli ingegneri a dirci come valutare i corsi on-line e i loro effetti sul piano dell’apprendimento? E se lo faranno, già lo stanno facendo, a quali parametri pedagogici faranno riferimento?

Cosa vuol dire sviluppare una “pedagogia” dell’e-Learning, e perché nel suo ultimo libro Lei parla di “pedagogie” (al plurale)?
Per le ragioni indicate nella risposta alla domanda precedente. Perché in ogni soluzione tecnica c’è un’opzione didattica. Tante soluzioni, altrettante opzioni. Dunque, ‘pedagogie’, al plurale. Non solo. Può avvenire che passando all’on-line si identifichino nuove prospettive, nuovi problemi di ordine pedagogico, non conosciuti o compiutamente indagati prima. Altre pedagogie, dunque. Tutto congiura a far sì che il plurale prevalga sul singolare. Per ora, diciamola in questo modo, l’e-learning è una soluzione pratica vantaggiosa, ma di un problema di cui ancora non conosciamo i connotati. Siamo appena all’inizio, in questa impresa: abbiamo delle risposte, ma non conosciamo ancora le domande di cui sono risposte. Errando, riteniamo talora che la formazione on-line sia una versione in chiave virtuale della formazione in presenza. E’ invece un’altra cosa, esattamente come il negozio in rete, che è più e altro della versione in chiave virtuale del negozio ‘reale’: conoscendolo e frequentandolo, ci si rende conto che non è solo il prolungamento spaziale e temporale dei servizi del negozio ‘terreno’, ma è anche una comunità, un club, dunque un punto d’incontro, discussione, confronto, dove si va non solo per comprare cose ma anche per incontrare gente, fare amicizia, riconoscersi negli altri. Paradossalmente si potrebbe sostenere che il carico di umanità è superiore nel negozio virtuale rispetto a quello reale. Vuoi vedere che fra un po’ qualcuno proverà a sostenere le stesse cose per la formazione on-line? E allora con che coraggio si difenderanno (per esempio, a livello universitario) le lezioni nelle aule stipate di trecento allievi, gli esamifici, l’estrema difficoltà a stabilire dialoghi diretti docenti/allievi, cioè “il bello della diretta”?


Nella progettazione di percorsi didattici multimediali on-line, è sufficiente pensare alla Rete come un nuovo supporto alla didattica tradizionale, oppure occorre un ripensamento profondo dei processi didattici nella loro interezza?
Da quanto ho detto fin qui non dovrebbe essere difficile capire che opto per la seconda soluzione. La virtualizzazione produce effetti dirompenti sul nostro rapporto con la ‘realtà’. Avviene con la scrittura, con l’immagine, con il suono riprodotto che non riducono ma amplificano le nostre prospettive di interpretazione, intervento e azione sul reale. Lo stesso vale per il digitale. Non riduce, ma addensa e ulteriormente problematizza il nostro approccio alla didattica. L’educazione on-line, quando sarà matura, porterà un gran bene all’educazione in presenza, ne sono sicuro: l’aiuterà ad essere più flessibile, reticolare e ‘aperta’ di quanto non le sia riuscito di essere fino ad oggi. La simulazione richiede infatti che ciò che fino ieri si presentava ai nostri occhi come compatto e inscindibile venga scomposto e governato in una logica di sistema: e allora, quante funzioni didattiche scopriamo, dentro e attorno alla figura ‘artigianale’ del docente? Quante modalità di apprendimento andiamo via via individuando, al di là di quelle che appartengono alla tradizione? L’e-learning non è un’educazione in presenza senza presenza. Piuttosto, sarebbe corretto dire che la presenza è il più delle volte un’educazione non virtualizzata e non virtualizzantesi, quindi limitata, senza risorse di concettualizzazione, poco problematica.


Qual è l’approccio dei docenti “tradizionali” rispetto ai nuovi modi di fare formazione? E come cambia la loro professione con l’e-Learning?
Cambiano molte cose, ma soprattutto cambia la prospettiva attraverso cui guardare alle cose. Cambia il rapporto con l’allievo, che non è più una realtà singola, autonoma, vergine rispetto alle cose da imparare, ma un tutt’uno con il gruppo, un intreccio di motivi e conoscenze, un processo che coinvolge nel suo stesso movimento le cose che vengono insegnate. Cambia il rapporto con le risorse per l’apprendimento, non più separate le une dalle altre, ma collegate, anzi collegabili in una prospettiva di rete. Cambia il focus dell’azione, non più solo sull’insegnamento e sulla sua organizzazione ma anche e soprattutto sull’apprendimento e le sue dinamiche, individuali e di gruppo. Basta questo per disorientare il docente ‘tradizionale’. Ritengo che questo disorientamento possa diventare un fatto salutare, se opportunamente guidato e problematizzato. Ma c’è una condizione alla quale non si può rinunciare, e cioè che prima di tutto il docente ‘tradizionale’ deve familiarizzare con la rete, farsela sua, insomma, e non per esigenze professionali, perché così vuole un ministro, ma per esigenze personali. Il computer deve diventare prima personal, uno strumento da usare per coltivare le sue curiosità, alimentare le sue propensioni, entrare in rapporto con altri, giocare, in un certo senso ‘vivere’, poi può diventare, anzi diventa naturalmente risorsa didattica per il singolo docente.


Nel rapporto tra docenti e tecnologia, in un suo intervento su Telèma di qualche anno fa, parla di un tentativo degli insegnati di “addomesticare la bestia” riferendosi al tentativo di riportare la Rete entro canoni noti e tradizionali, piuttosto che portare i modelli didattici nella direzione della rete. Da allora la situazione è cambiata, la bestia è stata addomesticata o ha avuto il sopravvento?
No, è impossibile addomesticare la bestia, perché essa è interiorizzata (lo dico anche ironicamente) nel corpo e nella mentalità dei giovani. Avremo un bel chiuderla nel laboratorio, quando il giovane la toccherà la bestia si sveglierà. E allora saranno guai per il docente tradizionale, quello che si illude di risolvere tutto con l’ora di informatica e il transito controllato nello spazio asettico di un laboratorio. Per questa ragione, sono contrario alla prospettiva di un’ecologia dei nuovi media: parlerei piuttosto di un’etologia, che consenta alla macchine/bestie di dare il meglio di sé nei loro ambienti naturali. La scuola e l’università dovrebbero fare uno sforzo per diventare, almeno in parte, ambienti naturali per l’esercizio dei nuovi (come dei vecchi) media.


Il suo collega Mario Morcellini de La Sapienza sostiene che tra i maggiori vincoli allo sviluppo dell’on-line learning vi sia la lentezza delle Istituzioni e l’assenza di una politica volta al superamento delle barriere culturali. Condivide questa visione?
Certamente, ma le istituzioni sono (fatte di) uomini. Se cambiano questi cambiano anche quelle. Per ora gli uomini, dico quelli addetti alla formazione, sono riottosi al cambiamento. C’è in gioco anche un problema ‘generazionale’: stiamo scivolando dentro una società di anziani, che guarda con sospetto e aggressività ai giovani e al loro mondo; sarà una questione di invidia? Non so. So però che i giovani non godono di ‘buona stampa’ e quindi non godono di buona stampa tutte le cose di cui essi si attorniano. Non mi sembra un esempio di salute sociale, questo. Ma il discorso, lo riconosco, è troppo complesso per essere affrontato qui.


Prof. Maragliano, secondo lei che ruolo può avere l'applicazione del cosiddetto Decreto Stanca-Moratti sulle Università Telematiche nello sviluppo dell'e-learning nel nostro sistema universitario?
Essendo coinvolto nell’attuazione del decreto, come membro del comitato di esperti, sono tenuto al riserbo. In particolare in relazione alla prima fase di avvio delle attività, che ha visto il Ministero assumere decisioni assolutamente non in linea con le proposte dal comitato stesso.



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