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Noi e Marlon in questo Sud
Repubblica Bari - 05-07-2004
Nella mia Bari tra la fine degli anni cinquanta e gli anni sessanta l´offerta cinematografica consisteva in qualche locale di prima visione, inarrivabile, molti cinema di seconda visione con repertorio ovvio e stucchevole, tre o quattro sale di terza visione che non garantivano l´incolumità degli spettatori e contemplavano il rischio gazzosa con gara di rutti in una specie di fumoir nebbioso e puzzolente. C´erano, poi, i "pidocchietti", sale parrocchiali, cioè, che aprivano a seconda del buon umore del prete e imponevano il repertorio del circuito della chiesa, emanazione diretta dei comitati civici ed espressione della cocciuta ricerca di qualche cinefilo cattolico che riusciva a far passare rare chicche tra epigoni de "Il cielo sulla palude" e manicaretti edificanti come "Piccola santa". Il neorealismo crudo o magnifiche sagre di Stanlio ed Ollio. C´era, poi, un porto sicuro di laicismo a buon mercato, inerzialmente discendente dall´istituzione militare.


Il cinema era quello delle Forze Armate ed era parte integrante della Casa del Soldato, la benemerita istituzione che ospitava il tempo libero dei militari offrendo svaghi, bar economico, sale da biliardo, angoli per la lettura e accurate stagioni cinematografiche a prezzo politico che non sempre erano accudite dai Cappellani, troppo presi da incombenze più impegnative che non fossero quella di controllare il cartellone del cinema del Presidio militare. Da bambino ci andavo con mio padre ed era il premio per una buona prestazione scolastica o per concludere domeniche roventi di insolazioni al lido di Fesca. Più grandicello, scoprii, con amici cinefili, il vantaggio della forte stagionatura del repertorio: si potevano vedere dei classici meravigliosi. Il cartellone, stante la carenza di risorse dello spartano bilancio dell´«Ufficio benessere del soldato alle armi» offriva titoli vetusti e annate intere di cinema doc non proprio di fresca produzione. Ma c´era, in questo, del buono. Anzi, c´era l´ottima opportunità di vedere capolavori. Fino agli sgoccioli del decennio sessanta andare al cinema alla "Casa del soldato" era un´eccellente scelta in una città che aveva un solo cineclub, quello di Vito Attolini nei suoi matinée domenicali al Santalucia. Questo appunto di memoria è dedicato con rabbiosa malinconia a Marlon Brando. Lì, nel cinema dei soldati vidi e rivìdi i suoi capolavori: "Gli ammutinati del Bounty", "Fronte del porto" ed anche quel "Giulio Cesare" di Joseph Mankiewicz in cui interpretò un corrucciato Marco Antonio ch´io mi studiai a lungo d´imitare nelle mie maldestre prime prove d´attore la sua orazione sotto i Rostri, sul cadavere di Cesare. Fu talmente prorompente la sua interpretazione che a noi, distratti giovincelli, passò quasi con indifferenza la prova d´un magistrale Gilgud. Nel 1954 aveva interpretato un giovane ribelle ne "Il Selvaggio" di Laszlo Benedek. Diventò il simbolo di una generazione sbandata e disillusa. Per prepararsi all´interpretazione aveva frequentato bande giovanili come quelle descritte nel film e aveva provato la galera per una notte. Noi vedemmo il film molto più tardi e, mentre Brando mieteva successi e dollari, noi sognavamo d´imitarlo non distinguendo la generica nostra noia rabbiosa di provincia dall´ira metropolitana dei giovani yankees. Nel tempo dei tempi lunghi e riflessivi della nostra giovinezza, tempo più dimesso e pensoso, in una provincia che sentiva la differenza e la lontananza dalla città, andare al cinema non significava solo soddisfare la fame di immagini che la società aniconica in cui vivevamo ci aveva inflitto, significava sognare, pensare, profetizzare, vagheggiare, programmare, decidere, spesso. E viaggiare. Si. La nostra adolescenza non ha sguazzato nelle immagini che erano rare e preziose, i nostri libri erano tetri e scarsi di figure, il nostro mondo era sorretto dalla rappresentazione della parola. Uscendo frastornati dalla sala fumosa della "Casa del soldato", insieme a nostri coetanei in divisa, più insonnoliti e attoniti di noi, sentivamo il sogno ancora agitarsi nella mente. E non sapevamo che avevamo viaggiato per un paio d´ore con un giovane americano nato a Omaha nel Nebraska di cui si sarebbe detto che era stato l´icona della nostra generazione: Marlon Brando.

Michele Mirabella

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