Estate:stagione di scuola
Mario Menziani - 23-06-2004
E così eccola qua l’estate. Stagione traghettatrice: fine del vecchio anno scolastico, inizio del nuovo. Così è da sempre, ma quest’anno lo è ancor di più, lo sanno tutti: l’anno che verrà sarà più nuovo che mai. Ciò che nessuno sa, invece, sono le regole e i numeri del nuovo, già perchè nessuno sa con quanti docenti (o quali, se i supervalorizzati “montani” o i meno pregiati “di pianura”) , con quante ore, con quanti alunni a tot ore inizierà l’anno. Piccole cose, dettagli. Tutto si aggiusterà nel corso dell’estate. Già, come sempre. Le regole e i numeri nella sarabanda estiva troveranno, alla fine, una qualche sistemazione. Il 15 settembre, o giù di lì (anche l’inizio è uno di quei dettagli da definire) tutti in classe.

Bene, se tutto si definirà, allora prendiamocela con calma, come la stagione calda, in realtà più per antonomasia che di fatto, comanda. Concludiamo dunque questa sessione d’esami, facendoci un bello slalom tra turni e controturni elettorali; affastelliamo questi esaminandi in doppi e tripli turni, in interminabili sedute di colloqui, per misurarne la maturità, il senso di responsabilità, la serietà con cui si sono accostati alla prova.

L’anno nuovo li vedrà in un'altra scuola. Sono gli ultimi ragazzi, forse, (eh, ma chi le sa queste benedette regole!) a percorrere la vecchia strada. Rincorsi, pur tuttavia, dalla riforma. Già perché è pur vero che anche anche a loro spetta una seppur piccola parte di questa conclamata innovazione della destra.
Sono i ragazzi del “diritto-dovere”. Non hanno più l’obbligo, ma il diritto-dovere di andare a scuola, o a qualcosa che abbia in un qualche modo a che fare con la scuola, fino a 18 anni. Qualcuno lo sa. Qualcuno sa già, cioè, che in fondo anche se non andrà in un’altra scuola alla fine è poi lo stesso: obbligo e diritto-dovere, è ovvio, sono due cose del tutto diverse.

Li abbiamo invitati a concludere il triennio di scuola media scrivendo lettere, riflessioni, relazioni, talvolta in più lingue. Chissà perché? Chissà perché ci ostiniamo a chiedere commenti ed opinioni sui grandi temi, sul mondo che è stato, che è e che sarà quando, in questo vagare tra esami e interruzioni elettorali, ci sentiamo attorniati da tanto disinteresse per i problemi reali dell’oggi, da tanta alchimia politica?

Svuotiamo cassetti e armadi, riordiniamo aule, archiviamo il vecchio. E intanto il nuovo si insinua. Proposte editoriali, d’accordo. Libere interpretazioni di regole e numeri che nessuno conosce. O che solo qualcuno conosce in anticipo. Arrivano alle segreterie le proposte di acquisto: nuovi registri, nuovi verbali… port-folio. E così il nuovo si insinua: trenta o più paginette per documentare tutto dello studente (righe da riempire, crocette da fare, allegati da aggiungere; parte di competenza scuola, parte della famiglia, parte dello studente. Parti concordate; parti individuali).
Documenti da affidare a un tutor che non c’è, che non esiste. Trenta e più pagine annuali che saranno 240 e più quando un ragazzo arriverà in prima media, che saranno 330 e più quando ne uscirà. Pagine in cui si scriveranno debiti e crediti. Fin dalla scuola materna! Dalla scuola materna usciranno bambini con crediti e debiti!
D’accordo, si tratta di proposte editoriali, piccole case editrici che azzardano, che ci provano. Ma fino a che punto è davvero un azzardo? Chi conosce le regole e i numeri?
Non è stato così anche per i libri di testo? Non è stato così anche per le case editrici che hanno imparato prima ancora dell’uscita del decreto ministeriale, i nuovi contenuti della nuova scuola di base?

La nuova scuola, risponde il ministro a Serra recentemente su Repubblica, è quella del “sapere, saper fare, saper essere”. Alle tre “i”, il ministro sostituisce questo triplice “sapere”. Indubbiamente una prospettiva più intrigante, almeno per gente di scuola. Ma il problema è che non è definito il che cosa. O meglio: è definito in maniera provvisoria. E, comunque,lo si è fatto gettando a mare anni e anni di esperienze, anni e anni di sperimentazioni. E lo si fa inventandosi nuove funzioni che si sommano a funzioni; lo si fa senza investire una lira.
Un scuola che, restando in clima, assomiglia ad un castello di sabbia. Manca la solida base della condivisione, del coinvolgimento degli operatori nella ricerca, nella sperimentazione, nella verifica dei risultati. Manca la cultura politica. Manca la convinzione che solo attraverso un processo di partecipazione generale è possibile costruire il futuro del paese e che la scuola rappresenta lo strumento fondamentale per scrivere questo futuro.
Mancano le informazioni, le regole sono vaghe e mutevoli, così come i numeri. Senza tutto questo si chiede di progettare, di fare ipotesi e di presentarle ai genitori, o alla ”utenza”? Già, perché anche il lessico è incerto e vago. E’ tutto un gioco al fraintendimento. O un gioco alla disgregazione? Non è possibile intendere anche in questo modo, questa strana riforma? Questa inderteminatezza non è forse essa stessa una delle sue componenti essenziali? Certo: scardina l’autonomia delle scuole, le rimette nelle mani di chi, dall’alto, è l’unico conoscitore delle regole, di chi ne detta l’applicazione, di chi indica con quali strumenti si debba operare. Forse, perché no?, quali idee si debbano trasmettere.

Sarà pure un tormentone estivo, ma perché, caro ministro, nella sua scuola dei tre saperi, non è dato sapere agli insegnanti?

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Anna Pizzuti    - 24-06-2004
Una proposta, un ragionamento, in questi tempi di grande indecisione.

Da scuolaoggi

Per ragionare sui percorsi formativi nell’età dell’adolescenza di Domenico Chiesa

Il problema

1. La scelta che segna e orienta l’intero disegno di cambiamento contenuto nella L.53/03, è quella che prospetta due sistemi di formazione per il secondo ciclo. La decisione di costruire due sistemi di formazione rappresenta una rottura profonda del filo conduttore che ha guidato la politica scolastica italiana dall’inizio degli anni sessanta.
È dunque urgente proprio sulla scuola dopo i 14 anni rilanciare una discussione approfondita, laica, senza preconcetti che aiuti la definizione di un progetto di innovazione in grado di reggere una prospettiva praticabile e alternativa a quella dell’attuale Governo; una prospettiva che intercetti i reali bisogni di formazione e la migliore cultura del fare scuola già presente nella nostra scuola e con essa il consenso, il contributo e il protagonismo dei soggetti che la praticano.
I ragionamenti che seguono sono necessariamente schematici e hanno come obiettivo la scomposizione e l’analisi del problema, in prima approssimazione e in tutta la sua complessità, lasciando pienamente aperta la ricerca della possibili soluzioni.
L’attesa è che lo schema di analisi qui proposto sollevi un’animata e fruttuosa discussione.

2. Attorno al problema di quale/i percorso/i formativo/i per gli adolescenti si possono riscontrare almeno tre filoni di ragionamenti e di prospettive:

- la proposta contenuta nell’art. 2 della Legge 53/03 con le possibili variazioni sul tema del sistema duale

- la “scuola di pensiero” che dagli anni sessanta percorre la ricerca e la pratica della scuola (le “grandi” sperimentazioni degli anni sessanta, i paralleli disegni di legge fini alla metà degli anni ottanta, il progetto della commissione “Brocca” e le pratiche diffuse hanno assunto come modello l’articolazione biennio-triennio ponendo ai due segmenti finalità specifiche all’interno di un percorso coerente e progressivo in cui si realizzi una graduale integrazione con la formazione professionale, cercando di evitare la “canalizzazione” a 14 anni e quindi contrario alla logica duale)

- il processo che da quasi un ventennio ha spostato via via il baricentro dell’innovazione dall’impianto curricolare a quello dell’ingegneria organizzativa (dalle sperimentazioni “assistite” fino ai progetti della seconda metà degli anni novanta). Non mi pare possa essere considerata una “terza via” e può sostenere indifferentemente le precedenti soluzioni.

3. La tesi che si propone alla discussione e si cerca di argomentare si basa sull’idea secondo cui i percorsi formativi che seguono la scuola 3-14 anni e che porteranno ad un diploma e/o ad una qualifica professionale debbano prevedere il prolungamento dell’obbligo d’istruzione di almeno due anni. È l’alternativa praticabile e non velleitaria al doppio sistema.

È una proposta che assume la valutazione che il nostro sistema scolastico sia da innovare non tanto attraverso la rivoluzione dell’impianto istituzionale/formale (la scansione dei cicli) quanto nella qualità dei processi di insegnamento/apprendimento realizzati in un percorso formativo dai tre ai diciannove anni progressivo e in grado di corrispondere alle esigenze formative proprie delle diverse fasce di età.

La prosecuzione dell’obbligo all’istruzione nel primo biennio della scuola secondaria di secondo grado rappresenterebbe una tappa storica del processo che dall’inizio degli anni sessanta segna lo sviluppo della scuola nella direzione del suo rilancio e della sua rivalutazione come Istituzione costituzionale.
È una scelta che, superando ma non annullando quelle degli anni settanta-novanta, ridisegna la scuola come uno dei fondamentali motori di democrazia, contrapponendosi allo strisciante processo di descolarizzazione che si respira in alcuni atteggiamenti sociali e politici.


Il significato del “diritto allo studio” è nel garantire un ciclo di studi sufficiente (nella qualità e nel tempo) per il recupero degli svantaggi sociali.

Sarebbe fondamentale affrontare e sviluppare due importanti problemi: quale biennio? Quali percorsi seguono e si “innestano” su tale biennio?

Attorno al primo problema cerco di abbozzare alcuni ragionamenti (superamento del biennio “unico” prefigurato negli anni settanta, proposta di bienni unitari già collocati nei percorsi della scuola secondaria e in grado di essere “riconosciuti” dalla formazione professionale all’interno di percorsi integrati che a tali bienni potranno seguire); il secondo problema non troverà qui l’adeguato approfondimento: il problema della formazione professionale e della sua riforma è uno dei grandi temi da affrontare in un processo di innovazione del sistema formativo e, paradossalmente, proprio la proposta di due sistemi (o tre, se si pensa anche all’apprendistato) rappresenta un modo per eluderlo. Sarà dunque necessario che tale problematica venga con forza ripresa e affrontata nella dimensione opportuna, unitamente ai temi dell’apprendistato e dell’alternanza.


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Un punto da cui partire

Alcuni chiarimenti sul rapporto tra istruzione (scuola), formazione professionale e lavoro

La proposta dei due sistemi (dei licei e dell’istruzione/formazione professionale)

Perché elevare l’obbligo dell’istruzione nei bienni di scuola secondaria di secondo grado

Alcuni effetti diretti e indiretti dell’elevamento dell’obbligo nei bienni unitari

La priorità da affrontare e approfondire con urgenza: quali bienni? Come costruirli?

Per una nuova prospettiva della politica scolastica