Chi se la mangia questa scuola?
Emanuela Cerutti - 16-02-2002
Che il cambiamento all’interno di un sistema sia direttamente proporzionale all’aumentare della sua complessità è teoria sociologica ormai assodata, e quotidianamente visibile.
Che all’interno del sistema si verifichino però quotidiane scivolate, quasi che velocità virtuali e reali spesso non coincidano, o che le ruote dell’ingranaggio si prendano libertà autonomiste non prevedibili in partenza, è un dato di fatto di cui non si può non tener conto.
Lo scorso mese di giugno, in un’intervista apparsa sul “Sole 24 ore”, Valentina Aprea rilasciava alcune pubbliche dichiarazioni:
«La scuola di base rimane di otto anni. Per arrivare alla maturità a 18 anni le secondarie dureranno quattro anni. Ma non tutte. L'idea è una secondaria flessibile, non si toccano i classici e gli scientifici, la nostra scuola di maggior prestigio… Le scuole sceglieranno direttamente i propri insegnanti e i finanziamenti, anche per quelle pubbliche, saranno stabiliti in base agli studenti iscritti».
Preistoria?
Eppure, non meno di dieci giorni fa, durante la rituale Assemblea che convoca i genitori dei futuri primini di scuola elementare per introdurli al prossimo atteso evento, una mamma trasecola:”ma non siamo qui per scegliere le maestre? non è così adesso?”.
Più o meno nello stesso periodo, voci di corridoio riportano commenti poco eleganti sul distacco di insegnanti per alunni stranieri: “per quei quattro gatti…così si sprecano i soldi…”
E durante una conversazione tra amici ci si barcamena tra un “sai che gli insegnanti non bocciano sennò i figli li portano alla privata” e un “quelli che frequentano il liceo li distingui subito, altra classe…”
Qual è il problema?
Forse che sulla scuola si dice tutto e il contrario di tutto, offrendo in pasto al sentire comune le briciole di un banchetto neppure consumato.
Si dice e si fa quello che salta in mente, un pò come quando ci si lascia andare a "corna" diplomatiche, a scorrettezze lessicali sul “conflitto d’interesse” , a leggerissime assunzioni di responsabilità su episodi di violenza...
Con la stessa "leggerezza" nella scuola si azzerano processi senza preoccuparsi di ricostruire presupposti, si decide che l'istruzione è per il lavoro e ci si imbroda per questo, quando per anni si sono fatte ipotesi contrarie, si ascolta molto poco e si parla di pan per focaccia.
Si riesumano istinti primordiali, quali quello individualista, classista, razzista, dando loro voce e credibilità.
Si tagliano gli insegnanti perché ce ne sono troppi e poi non servono, visto che siamo così ignoranti: ma di formazione e controllo docente non si parla, non vorrai poi che mio cugino non passi l’ispezione…
Ci si appella ad obblighi concordatari per mantenere tradizioni che si fingono appartenere al popolo italiano, lo stesso che non si sa neppure più se ha in comune un linguaggio, e si dimenticano obblighi sociali ben più pressanti : per il diritto allo studio si aprono le porte del Rotary, mentre il filippino rimane nelle serre.
Si parla di scuola di qualità e si azzerano i curricoli, tanta è la fiducia nella professionalità insegnante.
Si uccide la “partecipazione studentesca” sottobanco, con i 7 in condotta, o, peggio, con le valutazioni quadrimestrali. Ma non si dice.
Si ragiona di numeri e non più di progetti, si perdono per strada perfino gli insegnanti di inglese, la fronda francese ripara nel bilinguismo e lo spagnolo se ne stia a Porto Alegre.
Strano modo di guardare all’Europa, ma tu ci credi? Ma quanto guadagni al mese?

Nella scuola pubblica ci si districa, senza riuscire a liberarsi dalla sensazione di essere pedine mosse da “altro”.
Fuori si sta all’ultima notizia sentita, quella che piace di più, non importa se , rilasciata un pò in fretta e superata dalla corsa affannosa degli accordi di palazzo, è ormai “out of date”.
O se qualcuno, in Europa, ci dice che potrebbe non funzionare.
In fondo non importa davvero.
Il banchetto deve ancora arrivare.

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