Quando il progetto di un “cospiratore” resiste alla sua morte
Diego Altomonte - 29-05-2004
Ivan Illich

Chaque instant est un carrefour, mais on ne le sait pas toujours” . Un anno, il 2001, in cui muoiono il cibernetico Heinz von Foerster (91 anni), il biologo Stephen Jay Gould (60 anni) e il filosofo e sociologo Ivan Illich (76 anni) può a buon diritto essere considerato un incrocio, un tempo speciale in cui riflettere. Un lettore di una rivista telematica faceva una osservazione curiosa: “La morte di Ivan Illich, avvenuta il 2 dicembre, è passata via silenziosa, quasi che la si fosse confusa con l’omonimo racconto di Tolstoj”.
La verità è che per tutti e tre gli scienziati è difficile trovare, nelle reazioni della società alla loro scomparsa, un tributo appena sufficiente ad onorarli.

Vienna (1930): quasi a primo indizio di una vita movimentata, a soli quattro anni Illich è costretto a lasciare con la famiglia, padre dalmata e madre tedesca di origine ebraica, la città natale e l’Austria per sfuggire alla persecuzione nazista, la destinazione è l’Italia. Studia psicologia e storia dell’arte a Firenze, si laurea ventiquattrenne alla Pontificia Università Gregoriana in filosofia e teologia, poi un’altra laurea in filosofia della storia a Salisburgo. Diventato prete cattolico nel 1951, ad una prestigiosa carriera diplomatica nella curia romana preferisce il più oscuro lavoro di parroco in un degradato quartiere portoricano newyorkese, che gli offre però l’opportunità di studiare a fondo i problemi dei gruppi sociali minoritari negli Stati Uniti. Illich porta a compimento una ricerca esemplare per profondità ed acutezza, che lo spinge anche ad estendere le sue già vaste competenze linguistiche. Vicedirettore dell’università di Portorico, grazie all’interessamento del cardinale Francis Spellman, che aveva apprezzato le sue doti di brillante sociologo e di sensibile intellettuale, egli non resiste a lungo alla passione di trasferire la sua analisi e se stesso nel cuore dell’ area geopolitica del mondo che più aveva subito la colonizzazione culturale ed industriale americana, il Messico. Nella città di Cuernavaca, vivacissimo riferimento anche per la teologia della liberazione e per tutti i pensatori liberi messicani e del continente centro e sud americano, Ivan Illich fonda il CIDOC (Centro Interculturale di Documentazione). Da questo osservatorio critica sempre più decisamente il ruolo della Chiesa Cattolica nello scenario dell’America Latina: l’istituzione, invischiata com’è in burocrazie e connivenze, è ormai incapace a far fronte al dettato della propria missione evangelica. Incalzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex Santo Uffizio, il sociologo si rifiuta di rispondere ad un minuzioso questionario consegnatogli dalla Santa Sede e composto - si dice - da più di duecento domande. Censurato nel 1968, l’anno dopo decide di tornare laico, accetta incarichi in varie università, scrive numerosi libri La convivialità (1975), Energia ed Equità (1976), Nemesi medica: l’espropriazione della salute (1977), Per una storia dei bisogni (1978), Lavoro – ombra (1981), Nello specchio del passato, Nella vigna del testo (1991); è autore di appassionati articoli in molte riviste quali
Ciascun istante è un incrocio, ma non lo si percepisce sempre.

Gennaio 1976, è una bella giornata di sole a Cuernavaca , è una buona idea pranzare sulla terrazza del “Casa Blanca”, intorno al tavolo ci sono Michel Bosquet e la moglie Doreen, Heinz e Mai von Foerster, Jean Robert e Dupuy . Essi partecipano ad un seminario del CIDOC, ed è proprio il padrone di casa che li ha riuniti, Ivan Illich, che non ha ancora rivelato a nessuno che quella sarà l’ultima manifestazione del Centro di Documentazione. Certo è un peccato chiudere il Centro Ricerche, installato in una piccola villa, che fino a quel momento si è messo in luce come una sorta di università libera, che attira da tutto il pianeta ricercatori indipendenti. Un anno prima, nello stesso periodo, Dupuy e Illich hanno messo a punto il terzo capitolo della Nemesi medica, una ventina di pagine dense in cui si trova il nocciolo della critica illichiana dell’economia, fondata sul concetto di controproduttività. E’ una critica al modello di società industriale che produce effetti indesiderati, non intenzionali, contrari ad ogni ragionevole aspettativa. Ecco dunque che la medicina rende addirittura malati, la scuola inebetisce, il trasporto immobilizza (chi non ha provato la sensazione di impotenza di trovarsi a bordo di un’auto bloccata dal traffico cittadino?), le comunicazioni rendono sordi e muti. L’”uomo industriale” è ostaggio dell’esito deformante di istituzioni che sono eteronome nel senso peggiore del termine, assolutamente lontane e insensibili alle esigenze degli individui e dei piccoli gruppi, che vorrebbero invece sviluppare una propria autonomia. La salute, il lavoro, la cultura, l’istruzione sono valori che si costruiscono intorno alle persone, valori che nascono nella autonomia degli individui, che al massimo hanno bisogno di istituzioni che, nella loro eteronomicità, non distruggano quanto viene prodotto dal sentire e dal bisogno del singolo e del gruppo. Illich produce metafore attinte dalle religioni antiche come quella greca, ricorre al sacro per descrivere la condizione dell’uomo moderno (von Foerster ricorre al concetto di meccanismo, Girard, a metà strada tra i due, di processo automatico dentro il quale la totalità sociale si esteriorizza in trascendenza).
Scrive Illich: “L’uomo deve sopravvivere al suo sogno malsano, quello al quale, in tutte le culture anteriori alla nostra, i miti hanno donato forme e limiti. L’uomo non ha potuto realizzarsi che all’interno di una società della quale i miti circoscrivono e moderano gli incubi. Il mito ha sempre avuto la funzione di rassicurare l’uomo su questo fronte, a condizione che egli non oltrepassi i limiti sacri (…). Soltanto colui che trasgredisce la condizione umana diviene la preda di Nemesis per aver recato ombra agli dei” . E ancora: “L’apparenza di Nemesi è cambiata, e non per sua natura. Il linguaggio cibernetico nasconde la origine onirica della voracità distruttrice e saturnina che il mito rivela. Con l’industrializzazione del desiderio, l’Hybris è divenuto collettivo e la società è la realizzazione materiale dell’incubo”. Prometeo incatenato, il supplizio di Tantalo, nessuna delle immagini usate da Illich è così efficace quanto quella della Nemesi, parola che in greco significa sdegnarsi. Quella Nemesi, che in Omero non è ancora personificata, che gli antichi pensarono dea rendendole un culto per pacificarla, è diventata solo oggi una realtà concreta?
Il concetto di autonomia comincia a farsi strada e il circolo del CIDOC è un formidabile incubatore di concetti e un perfetto luogo di incontri, in un tempo in cui ogni istante è davvero un incrocio. Per capire qualcosa della rete che si va tessendo intorno alle iniziative di Illich, basti ricordare che la presenza di Heinz von Foerster non è affatto di poco conto. Pioniere della cibernetica, segretario dei famosi “Incontri Macy” che, negli anni 50, riuniscono John von Neumann, Norbert Wiener, A. Rosenblueth, Warren Mac Culloch, Gregory Bateson, Margaret Mead e molti altri (da questo sforzo congiunto nascono l’antropologia sistemica e una nuova teoria generale dei sistemi), egli è il fondatore del Biological Computer Lab dell’università dell’Illinois, che ha in forze sia W.R. Asby che Humberto Maturana. E’ curioso pensarlo: dal CIDOC di Cuernavaca, alle soglie della chiusura, riparte una meravigliosa avventura intellettuale che, agli inizi degli anni ottanta, coinvolge oltre allo stesso Jean Pierre Dupuy, anche il neurofisiologo cileno Francisco Varela (allievo di Maturana) e il biofisico franco – israeliano Henri Atlan, impegnati a costruire nuovi fecondi formalismi intorno al concetto di autonomia, diventato ormai generativo. Autonomia nella critica sociale radicale, autonomia nella filosofia della natura e della vita, autonomia nella filosofia del sociale e della politica. Una prima carta nautica vede in questo percorso Atlan, Varela e Maturana (autonomia del vivente), Illich (autonomia della gente e dei piccoli gruppi), Castoriadis (autonomia del sociale).
I temi superano ormai le tematiche dominanti, a testimoniargli il fermento di numerosi intellettuali, emarginati eppure destinati al successo, e a confortarlo nelle scelte cognitive intraprese, Dupuy scopre che Henri Atlan, insieme ad Attali, lavora all’interno del cosiddetto “Gruppo dei Dieci”, animato da Jacques Robin, composto da persone quali Michel Serres, Edgar Morin, Joël de Rosnay, Michel Rocard, Jacques Delors, René Passet. Tra di essi Morin sarà il più accanito disegnatore di quel nuovo paradigma che tenterà di cogliere l’unità complessa conflittuale, contraddittoria, paradossale, suggestiva come l’immagine di una nuova noosfera, di una nuova società, di una visione rinnovata dell’universo.


E in questo scenario ad Ivan Illich spetta il ruolo del primo profeta che ci ha chiaramente messo in guardia dagli eccessi delle moderne istituzioni, il cui meccanismo incontrollato ha finito per globalizzare selvaggiamente il pianeta. Egli ha spogliato questi grandi organismi sovranazionali della loro sacra oggettività, li ha considerati quali essi sono: infaticabili opifici di liturgie sociali intese a celebrare certezze, a vendere schemi di esistenza, lontani dall’autentica esperienza dell’essere vivente. Del resto anche Serge Latouche ha scritto: “Se sviluppo non è altro che la continuazione della colonizzazione con altri mezzi, la nuova globalizzazione è, a sua volta, la continuazione dello sviluppo con altri mezzi”.
Un po’ luna e un po’ commesso viaggiatore. La mia specialità è di trovare le ore che hanno perduto l’orologio”, recita una poesia del cileno Vicente Huidobro, che Illich sceglie per l’introduzione al suo bellissimo libro “Nella vigna del testo”, in cui, ripercorrendo gli scritti di Ugo di San Vittore (il Didascalicon, primo libro sull’ “arte di leggere”), costringe ad una originalissima riflessione sul libro e la lettura, prima del loro trasfigurare nella multimedialità.
Cercare le ore, guardare le ore, stabilire il tempo guardando il cielo e le stelle (horoscopi), baciarsi mescolando il fiato come gli adepti di una religione proibita (cospirare), chi ci aiuterà a farlo ora che Illich è scomparso? Chi resisterà all’omologazione?

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