Scuola libera se statale
Redazione - 29-05-2004
Il 16 febbraio 2002, organizzato dall' Associazione Libero Pensiero Giordano Bruno, si è tenuto a Roma un convegno dal titolo: Scuola libera se statale. Poiché il tema ci sembra di stringente attualità pubblichiamo il testo della relazione introduttiva.


Scuola e libertà

di Maria Mantello

Il titolo che abbiamo scelto per questo convegno credo sia eloquente: Scuola libera, se statale…. E' un appello alla società civile, perché rifletta su quanto sta accadendo nel campo dell'Istruzione, e si mobiliti per impedire la morte della Scuola Statale, dell'unica scuola che educa istituzionalmente alla libertà, alla laicità, alla democrazia. Una scuola che rappresenta oggi, per gli scenari che si stanno prospettando, forse, l'ultimo baluardo del pluralismo e della coscienza critica. Cose assai scomode per chi vorrebbe una società tutta asservita ad un pensiero unico, celebrante e celebrato nei rituali della virtualità mass-mediatica.

La scelta di schierarsi in difesa della scuola statale deve essere allora un impegno etico, perché mai dalla nascita della Repubblica italiana si era operato un attacco tanto grave all'Istituzione Scuola come quello che si sta compiendo oggi. E' un attacco al cuore dello Stato, al diritto-dovere dello Stato democratico di formare coscienze critiche, le sole in grado di garantire la vita stessa della civile convivenza democratica.

Le tappe dello smantellamento:

Si è iniziato con l'autonomia, col sistema paritario di formazione e relativo finanziamento delle private, per giungere all'ultimo atto (se non lo si impedirà): la clericalizzazione della stessa scuola statale.

Andiamo con ordine:

Con l'autonomia si è intaccato il principio dell'unitarietà dell'istruzione, creando i presupposti per l'assoggettamento delle scuole al particolarismo degli interessi dei centri di potere economico ed ideologico presenti sul territorio (aziende e parrocchie). Centri che condizioneranno pesantemente ed irreversibilmente la progettualità pedagogico-didattica all'interno delle scuole e quindi la formazione delle future generazioni.

E' il sistema della scuola azienda. E' iniziato con la flessibilità del monte ore annuale dei curricola, prevedendo di inserire materie, togliere ore: ogni scuola per suo conto, in base alle richieste del territorio. Un principio aziendalistico che adesso la destra al governo sta perfezionando riconoscendo alle Regioni un peso reale nella definizione dei programmi di studio delle singole scuole. La conseguenza sarà la fine del valore legale del titolo di studio, il pesante condizionamento sulla libertà di apprendimento e d'insegnamento esercitato da maggioranze di turno, che in spregio dei supremi valori democratici oggi pretendono, ad esempio, di riscrivere la storia a loro uso e consumo per cercare una rivincita che proprio la storia ha loro negato. (Non ci siamo certo dimenticati dei tentativi messi in atto dal Governatore della Regione Lazio, o di quelli intrapresi dalla Regione Lombardia).

Il finanziamento alle private, è avvenuto, aggirando l'art. 33 della Costituzione, che prevede per i privati, sì il diritto di istituire loro scuole, ma senza oneri per lo stato. Questo principio lo si è aggirato, all'interno di quel pasticcio giuridico che è il sistema paritario integrato, in base al quale si sono fatte diventare le scuole private pubbliche. Queste, infatti, da istituzioni a cui la nostra Costituzione riconosce la parità nel poter dare titoli di studio equipollenti a quelle delle statali: titoli che hanno quindi valore legale, sono assurte allo status di erogatrici di un servizio pubblico identico a quello delle scuole statali, addirittura il loro è diventato un servizio che integra il sistema dell'istruzione statale. Come se lo Stato per poter "far scuola" non potesse fare a meno delle private.

Vale la pena ricordare che i nostri Padri Costituenti, in nome del supremo principio della laicità dello Stato, respinsero un emendamento che per legittimare il finanziamento proponeva proprio di assimilare le private alle statali nel ruolo di "comune servizio pubblico".

E vale appena ricordare che nel giugno del 1964, proprio sul finanziamento delle scuole private, dopo un vivacissimo dibattito parlamentare, cadde il II governo di centrosinistra, presieduto da Moro.

Evidentemente… quod non fecerunt Barbari, Barberini fecérunt.

Ma torniamo al sistema paritario integrato. E' proprio in questa parità così congeniata che sta il grave vulnus alla democrazia, alla libertà, alla laicità dello Stato.

Se infatti le scuole private, che in Italia nella stragrande maggioranza dei casi sono scuole cattoliche, sono state rese funzionali alla formazione, quindi giuridicamente necessarie allo Stato perché ne integrerebbero e completerebbero il ruolo istituzionale, significa che questo Stato necessariamente deve assumerne il confessionalismo. E poiché tutto questo è inconciliabile con il principio costituzionale di laicità, è evidente il gravissimo vulnus operato per la stessa pratica della democrazia.

Come possono essere sullo stesso piano, infatti, una scuola privata che per suo stesso statuto deve obbedire all'impostazione fideistica a cui è chiamata e una scuola dello Stato repubblicano e democratico, per sua istituzione sede di pluralismo e di coscienza critica, quindi necessariamente antifideistica e antidogmatica?

Quale garanzia di formazione del cittadino democratico, proprio in termini di servizio pubblico, può dare la scuola privata, che fa della sua ideologia un nucleo blindato ed autorefenziale; una scuola dove -forse non tutti lo rammentano- gli insegnanti debbono per contratto obbedire all'impostazione ideologica dell'azienda per cui lavorano?

Come si può sostenere che una scuola siffatta svolge il servizio pubblico della formazione del cittadino?

Come può essere assimilata alla scuola statale?

E' un non senso. Un non senso divenuto legge.

E tuttavia fu rivendicato a gran voce, giocando sui termini di servizio per la collettività, di diritto delle famiglie alla scelta, usando strumentalmente la parola "libertà".

Le scuole private erano spacciate per libere contro lo statalismo. Ricordate?

Una propaganda ben orchestrata, grazie ai servilismo anche di tanti intellettuali "pedanti"

- avrebbe detto Giordano Bruno: che vanno al mercatocome sardelle), Una propaganda che evidentemente ha messo nello stato confusionale anche tanta sinistra, che nel clima giubilare si affrettava ad omaggiare il Vaticano.

Per la libertà delle scuole cattoliche sono scesi in campo sacerdoti, cardinali, il papa in persona, rappresentanti dello Stato italiano in una nauseabonda gara di servilismo, in nome della sacrosanta difesa della famiglia cattolica e del diritto di questa di dare un insegnamento cattolico ai figli. Come se i figli potessero essere proprietà di una famiglia-clan con licenza di liberarli dall'incomodo del libero pensiero, del confronto e del dialogo.

La libertà di queste scuole (oggi paritarie) allora è l'esercizio del confessionalismo, è quella dell'obbedienza ad un progetto che esclude a priori pluralismo, dissenso e diversità, perché vuole che ciascuno individuo sia omologato ai modelli comportamentali di una morale che si vorrebbe unica ed eterna, vincolata alla mitologia creazionistico-provvidenziale dell'uomo essenza che è libero nella fede, dove il singolo non è proprietà di se stesso, ma di un dio suo Signore e Padrone, di cui la Chiesa si dice interprete.

Queste critiche furono ignorate, ci si autoconvinse che finalmente si era compiuta la Costituzione: il sistema paritario era stato pienamente realizzato, e che anzi lo Stato ne usciva rafforzato nella salvaguardia del pluralismo e della democrazia perché finalmente, con questa legge, le scuole "di tendenza" potevano essere controllate.

Ma chi, all’interno di queste scuole, dovrebbe assicurare il pluralismo, se dirigenza, insegnanti, genitori, e gli stessi alunni opportunamente ammaestrati sono tutti chiusi in un sistema dottrinario? I funzionari di un ministero che non si chiama più della pubblica istruzione? Sappiamo con quanta fatica molti docenti, ispettori, presidi lottino per non essere fagocitati nell'omologazione governativa attuale e rivendichino il ruolo Istituzionale di funzionari dello Stato Laico e Democratico,

o ci penserà la "commissione per la realizzazione e il controllo del sistema paritario integrato" istituita da questo governo e tutta infarcita di cattolici?

Resta comunque un fatto che ben tutti sanno: queste scuole fanno capo al Vaticano, uno Stato straniero, indipendente e sovrano, pertanto, la giustificazione che finalmente lo Stato Italiano possa controllarne realmente l'affidabilità è menzogna.

Veniamo adesso all'ultimo atto: la fine della scuola statale

Attuato il vulnus costituzionale di cui abbiamo detto, oggi la Chiesa romana gioca al rialzo, per la debolezza di una sinistra che non sa riattivare il proprio glorioso patrimonio storico: culturale e politico, che pure nell'Italia democristiana, grazie alla capacità di fare opposizione, aveva costruito progresso civile e giustizia sociale, una sinistra che oggi è allo sbando: in preda a morbi dirigenziali o a vocazioni suicide…

E allora ecco una chiesa che gioca al rialzo, dicevamo, perché non c'è opposizione, e perché c'è una destra clericale, confindustriale, una destra (neo)e(post)fascista, una destra di governo che ormai procede senza remore sulla via della clericalizzazione della scuola statale, pronta ad assecondare le richieste di Woytila di istituire cattedre di verità rivelata e cattolica. Una richiesta ribadita il 31 gennaio ultimo scorso, all'inaugurazione dell'anno accademico, di un ateneo statale, invitato dal rettore, alla presenza di ministri ed ex ministri, che gli consentono di considerare lo Stato italiano sua colonia.

Nella scuola, la colonizzazione vaticana avverrà in particolare attraverso due provvedimenti che stanno passando sotto silenzio:

Uno di questi riguarda l'immissione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica.

Questi, attualmente insegnano una materia che è facoltativa e sono nominati annualmente dal Vicariato, ma retribuiti con il pubblico denaro, (e già su questo ci sarebbe molto da dire). Ebbene presto costoro, con apposito provvedimento legislativo, verranno immessi in ruolo, e poiché alla Chiesa romana verrà lasciato il potere di "sollevarli" dalle cattedre di religione cattolica, essi rimarranno a carico dello Stato andando a ricoprire altri insegnamenti. Così Santa Romana Chiesa nel giro di pochi anni, attraverso il progressivo accaparramento delle cattedre delle materie obbligatorie per tutti da parte di insegnanti cattolici a "denominazione di origine controllata", potrà finalmente occupare dal di dentro la scuola statale e cercare di far penetrare nelle coscienze dei giovani la propria univoca visione del mondo.

Ma non è finita qui. I docenti dello stato, presto dovranno subire gli effetti della libertà di colonizzazione di Santa Romana Chiesa, visto che il Ministro Moratti, ha pensato bene di istituire un codice comportamentale per gli insegnanti statali redatto da una commissione il cui presidente onorario è il cardinale Tonini, ma di cui fa parte, ad esempio, anche il direttore del Centro diocesano per la "pastorale cultura", Giuseppe Savagnone, per altro anche responsabile dell'Ufficio regionale "scuola e università" della Conferenza episcopale siciliana.

Il sogno della controriforma evidentemente non è finito a Westfalia (1648).

La situazione è grave perché l'esercizio della libertà nella scuola statale, si andrà progressivamente riducendo e lo stato sarà sempre più relegato a quel semplice ruolo sussidiario (quello rivendicato dal cardinale Ruini oggi e da sempre dalla Chiesa: Pio XI, ad esempio, nell'anno del concordato fascista (1929) ricordava nella "Divini illius magistri": La scuola… è di natura sua istituzione sussidiaria e complementare della famiglia e della Chiesa …tanto da poter costituire, insieme con la famiglia e la Chiesa un solo santuario, sacro all'educazione cristiana).

Lo stato italiano, allora relegato al ruolo di sussidiarietà sarà lo sponsor dei processi d'indottrinamento ecclesiastici e dei disegni confindustriali.

Ma la pressione vaticana per il controllo dell'educazione (datemi un fanciullo e ne farò un uomo, come dicevano i gesuiti) si sta esercitando anche sulla futura carta costituzionale europea, a cui la riforma Moratti non a caso si richiama.

Nella bozza della Convenzione Europea c'è un articolo tutt'altro che innocuo, che prevede il diritto delle famiglie ad educare i figli secondo i propri principi religiosi.

Che ogni genitore faccia questo è legittimo, ma se i suoi principi religiosi vengono trasformati nel diritto di imporli agli altri, siano pure i figli, è evidente che si creerebbe un palese contrasto col diritto dovere degli Stati Democratici di favorire lo sviluppo di ciascun individuo, rimuovendo i condizionamenti (quelli familiari compresi) che ne impediscono l'autonomo sviluppo, che mettono in pericolo l'esercizio a scegliere, a sperimentarsi al di fuori di schemi e modelli dogmaticamente imposti. Un diritto all'autodeterminazione, che è la più grande conquista della laicità. Allora, nessuno può essere sacrificato sull'altare del potere di una Chiesa, che avendo perduto terreno nella società civile, cerca di imporre vincoli legislativi, servendosi delle famiglie a lei affiliate, dove un genitore-padrone possa far valere il principio del cuius regio eius et religio.

Se il diritto di educare i figli secondo le convinzioni religiose dei genitori, divenisse legge, addirittura principio costituzionale europeo, questi potrebbero richiedere di eliminare dai programmi di studio tutti gli autori che contestano la loro religione, potrebbero chiedere di scegliere gli insegnanti in linea con le loro convinzioni, potrebbero chiedere l'obbligo di dire le preghiere, di portare la croce, di indossare il chador…un servizio medico che insieme alle vaccinazioni, pratichi quelle escissioni agli organi sessuali che si dicono sancite dalla propria religione ….. Anche questo va messo in conto.

La situazione potrebbe diventare davvero difficile, complicata… perché sarebbe la fine dello stato di diritto e della democrazia.

La scuola potrebbe celebrare solo il suo funerale.

Speriamo che ci consentano il rito civile.


interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Visconti Giuseppe    - 30-05-2004
L'invito ad essere moderati dovrebbe essere vicendevole; non si può far finta di ignorare la storia della scuola italiana, da quando è nata nella sua forma moderna (1597); non si può far finta di non sapere la distinzione tra "pubblico" e "statale" che non coincidono affatto; non si può combattere la battaglia della scuola libera soltanto in nome di una ideologia, quella del vecchio e trito liberalismo anticlericale di fine ottocento, o del marxismo leninismo che in molte scuole italiane ancora detta legge confondendo la libertà vera con la difesa dell'ideologia di questo o quel docente.
L'autore, evidentemente, non conosce la dinamica presente nelle "scuole pubbliche non statali", probabilmente perchè schifa di entrarci. Se invece di chiudersi gli occhi o di turarsi il naso, si aprisse al dialogo, così come una sana democrazia vuole, si accorgerebbe delle grandi menzogne che ha detto e se ne vergognerebbe.

 gp    - 31-05-2004
Rispondo a questa nota riportando intergralmente le osservazioni (che condivido) di Rossella D'Alfonso che conservavo in archivio. Con l'auspicio che - su un tema così scottante come la parità pubblico/privato (nella scuola) - possa svilupparsi una discussione ampia, seria e approfondita e, soprattutto, senza forzature ideologiche.


I. Innanzi tutto, convengo che pubblico e statale non sono sinonimi, giacché pubblico può definirsi un servizio che si conforma ai parametri fissati dallo Stato indipendentemente dall’ente che lo eroga. Ora, la carta costituzionale sembra intendere – correggimi se sbaglio - nel II comma dell’art.33 che la Repubblica è tenuta ad assicurare a tutti l’offerta formativa per ogni ordine e grado scolastici, e non si ravvisa in alcun modo l’ipotesi di una supplenza da parte di “Enti e privati”, che aggiuntivamente “hanno il diritto di istituire scuole”. Ma all’interrogativo se sia opportuno che lo Stato (o altro ente pubblico) possa appaltare ad altri i suoi servizi là dove non riesca ad attivarli, si obietta piuttosto che, come la giustizia, la scuola non è definibile come un servizio, alla stregua della sanità o dei trasporti, ma è un’istituzione che fornisce un servizio, ed è la sua natura istituzionale a dettare le finalità e le norme che regolano, nel rispetto della Costituzione, l’accesso del personale come quello degli “utenti”, il valore legale dei titoli di studio come il riconoscimento della parità degli esiti di percorsi formativi compiuti fuori della scuola pubblica. Ebbene che ne direbbero, i cittadini, se lo Stato oberato appaltasse a tribunali privati le cause che non riesce a smaltire? O se si assumessero per cooptazione, senza concorso, giudici e procuratori? Non si nego affatto che una scuola privata possa gestire in luogo dello Stato o dell’ente locale l’istruzione, ma per accedere al sistema pubblico deve condividere in toto le finalità ed i valori civici e democratici comuni. Ora, non solo la scuola cattolica, espressione prevalente dell’istruzione privata in Italia, non può prescindere dalla gerarchia ecclesiastica, ma perde la sua ragion d’essere se non educa alla verità cristiana, bandendo “ogni forma d’insegnamento che metta in discussione la rivelazione di Cristo” (E.Severino). E che dire se altre confessioni avanzeranno pretese analoghe? Considereremo pubbliche anche scuole improntate ad ideologie politiche precise? Saranno dunque da valutare con ben altra consapevolezza le regole per attribuire la qualifica di ‘pubbliche’ alle scuole paritarie.

II. E’ certamente necessario ad uno Stato moderno che nella ricerca scientifica come nell’economia sia superato il monopolio statale della gestione per garantire libertà, efficienza e standard qualitativi più alti anche attraverso la competizione. Tuttavia, la ‘gestione’ delle istituzioni è cosa diversa dagli altri settori, perché esse sono res omnium, non obbediscono a logiche di parte, e in esse si sostanzia e si costruisce il rispetto della fonte del diritto nel nostro Paese, la Costituzione. Anche in uno Stato regolatore e non gestore non basta che le regole siano severe sui parametri di qualità fissati. Si deve garantire che le scuole paritarie ottemperino alle finalità primarie della scuola pubblica, istruire ed educare nel e al rispetto della Costituzione: la scuola seminarium rei publicae, diceva Calamandrei, democratica e aperta a ogni pensiero ispirato a valori civici comuni, luogo di confronto e di integrazione. Nessuna scuola che si conformi ad una dottrina, qualsiasi dottrina, religiosa o politica, può dunque essere e dirsi pubblica, perché non è di tutti, non integra ma separa, non promuove il riconoscimento paritario di sé e dell’altro ma esaspera la propria identità e la distanza dall’altro, che ambisce invero a catechizzare.

III. La salvaguardia del pluralismo e della libertà d’insegnamento è affidata esclusivamente all’assunzione dei docenti e dei dirigenti attraverso pubblico concorso: questo è lo strumento che fin dal 1951 forze politiche pur diverse – liberali, socialisti, comunisti – indicarono come garanzia indispensabile per creare il nuovo istituto sulla parità previsto dalla Costituzione. Chiedevano anche rispetto del principio della libertà d’insegnamento, stabilità e trattamento economico pari a quelli statali per il personale docente e direttivo, controlli per contrastare il proliferare di scuole private che in assenza di normativa godettero d’indiscriminate agevolazioni fin dalla prima legislatura. Ma nel ’51 come nel ’59 e ancora nel ’96 fu il nodo del reclutamento lo scoglio contro cui s’infranse, giustamente, ogni proposta: la scuola pubblica non può subordinare l’accesso del personale docente all’adesione all’identità culturale dell’istituto. Non si nega il diritto di esistere a nessuna scuola privata (lo sancisce la Costituzione), né di scegliere docenti che ne condividano il progetto educativo. Ma se questo è di parte non si dà scuola pubblica. Si confuta perciò recisamente che il denaro di tutti finanzi istituti che reclutano personale in modo discriminatorio e per imporre dottrine: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art.3 della Costituzione). Le risorse di tutti devono obbedire alle leggi di tutti. La legge assicura agli alunni delle scuole non statali un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art.33, IV comma) con il riconoscimento del titolo di studio: ma il II comma dell’art.3 che assegna alla Repubblica ”il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che […] impediscono il pieno sviluppo della personalità umana” non consente finanziamenti o accreditamenti agli istituti, bensì “borse di studio, assegni alle famiglie, altre provvidenze […] attribuite per concorso” (art.34), una migliore ripartizione dei fondi per il diritto allo studio proporzionalmente al reddito, eventuali ulteriori detassazioni (ma non si detrae già la retta corrispondente alla tassa pubblica?). Ogni finanziamento pubblico a scuole che si discostino dalle finalità pubbliche è palesemente anticostituzionale.

IV. Attraverso il pluralismo e la tutela della libertà di coscienza che lo garantisce e sottende e della libertà d’insegnamento che lo realizza si assicura poi, ed è il fine più rilevante, il rispetto della libertà, più vulnerabile, di chi apprende: il primo fra i Diritti universali dell’Uomo è l’autodeterminazionee gli alunni vanno considerati liberi ed educati a scegliere liberamente. Pericoloso sarebbe, e in palese contrasto con gli art.2, 3,4 della Costituzione e col nuovo diritto di famiglia, che riconosce al minore il diritto al rispetto delle proprie aspirazioni e a scelte familiari non pregiudizievoli per le sue libertà future, assegnare ai genitori la titolarità esclusiva delle scelte formative dei figli, sulla cui tutela non può prevalere la libertà delle famiglie. Eppure, non dovrebbe esserci conflitto tra il dovere/diritto educativo delle famiglie, che fanno parte della società alle cui leggi e principi debbono conformarsi e non contrapporsi, e la società stessa che, organizzata giuridicamente nello Stato, attraverso la scuola istruisce ed educa ai valori comuni.

Rossella D'Alfonso