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L’eredità di Francisco Varela
Diego Altomonte - 28-05-2004

Il 28 maggio 2001 moriva a Parigi Francisco J. Varela, certamente uno dei più creativi e originali pensatori che abbiano arricchito lo scenario della biologia e della scienza cognitiva.
Era nato in Cile il 7 settembre 1946, dove si era laureato in biologia. Dottore di ricerca presso la Harvard University (1970), aveva svolto attività di insegnamento in Europa, Sud America e Stati Uniti. Docente di fisiologia alla Universitè P. et M. Curie (Paris VI), membro del CREA (Centre de Recherche en Epistémololie Appliquée (Ecole Polytechnique), destinatario di numerosi e prestigiosi riconoscimenti internazionali, consigliere consultivo di numerose riviste scientifiche e centri di ricerca, autore di più di trenta libri di successo (tra le opere più famose “Autopoiesi e cognizione” e “L’albero della conoscenza: un nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche della conoscenza umana”, realizzati insieme al neurobiologo cileno Humberto Maturana), Francisco Varela era diventato direttore di ricerca al Centre National de Recherche Scientifique, dove dirigeva il gruppo di lavoro su Dynamique des Ensembles Neuronaux (dinamiche degli insiemi neuronali) del laboratorio LENA (CNRS), Neurosciences Cognitives et Imagerie Cérébrale, presso l’ospedale La Salpêtrière di Parigi.
E’ praticamente impossibile circoscrivere la sfera dei suoi interessi che erano vastissimi e dominati da una intelligenza vigorosa, guidata da una naturale capacità di integrazione tra discipline differenti, illuminata da una grande sensibilità verso il pubblico dei non specialisti, che lo induceva ad esporre i propri punti di vista in maniera estremamente chiara, pur nel rigore e nell’eleganza dello stile. Varela si era occupato dei meccanismi neurologici e cibernetici dei fenomeni conoscitivi, in particolare della percezione, e si era interessato anche alle numerose tematiche epistemologiche ad essi connesse. Studente di Chögyam Trungpa e del venerabile tibetano Nechung Rinpoche, Varela aveva praticato il buddismo per parecchi anni ed era stato protagonista del recente dialogo tra il buddismo e la scienza, pubblicando sull’argomento numerosi articoli. Ricordiamo “Sleeping, Dreaming and Dying” (Wisdom, 1997), uno dei dialoghi “Mente e Vita” che egli iniziò con il Dalai Lama ed altri scienziati circa dieci anni fa. Dal 9 al 16 giugno Varela avrebbe tenuto un corso per l’Istituto Shambhala, insieme a Peter Senge e Margaret Wheatley, sull’apprendimento collaborativo in comunità, anche attraverso la meditazione e il processo artistico.
Per Varela la difficoltà che si incontra nella comprensione del cervello consiste nell’integrare due piani: il primo livello (locale) riguarda i neuroni e la loro configurazione, il secondo livello (generale) è quello creato dall’organizzazione dei web neuronici in moduli più complessi da cui emergono proprietà nuove. Il mistero è che un individuo costituisce una unità, ma essa è il risultato di un insieme di attività cerebrali distinte. La conoscenza non è la ricezione passiva di immagini e contenuti dal mondo, al contrario è “la danza dell’organismo in congiunzione con il suo ambiente”, è l’organismo, autonomo, a muoversi, ad andare incontro al mondo, ad abbracciarlo, quasi a crearlo e a dargli senso. Le percezioni sono l’effetto di una serie di attività, non esiste da solo un particolare colore o profumo, ma esiste soprattutto l’organismo che li sperimenta attraverso un corpo e attraverso un ambiente. Il significato, secondo Varela, è un atto costante di creazione proprio perché è un atto cognitivo. Per questo motivo non può esserci alcuna analogia tra la mente e il computer, essa è una metafora sbagliata in quanto i computer sono soggetti a ricevere dall’esterno una informazione, gli organismi viventi la creano dinamicamente al proprio interno.
A Tucson, sponsorizzato dal Centro sugli Studi della Coscienza dell’Università dell’Arizona, è in programma dall’8 al 12 aprile 2002, un grande convegno dal titolo “Verso una Scienza della Coscienza. Qui era atteso l’intervento di Varela e del vasto gruppo che intorno a lui gravitava, un ventaglio di ricerche sotto il nome di “Fenomenologia e Scienze Cognitive”.
Come il matematico Gian Carlo Rota, pure recentemente scomparso, anche Francisco J. Varela si era dichiarato fermamente convinto della necessità di una diffusione, rielaborazione e assimilazione delle idee di Husserl nella comunità scientifica. La tradizione di pensiero inaugurata dal filosofo tedesco e proseguita, con diverse impostazioni, da altri pensatori, tra cui Heidegger e Merleau Ponty, non è un vecchio arnese polveroso, ma può essere la base di un nuovo approccio per creare una cornice naturalistica alla analisi dell’esperienza. Già Merleau Ponty aveva impiegato i risultati della ricerca neurologica e psicologica del suo tempo per rivitalizzare la fenomenologia e metterla in grado di affrontare l’io “incarnato”, il racconto in prima persona, il resoconto soggettivo che mai aveva avuto dignità e statuto di oggetto di ricerca scientifica. Varela era dunque intenzionato a stabilire un fruttuoso legame tra il metodo fenomenologico e le neuroscienze, oggi in espansione esponenziale, coniando il termine, per questa nuova branca di ricerca, di neurofenomenologia.
Dall’impatto tra le due aree (Varela era l’apprendista stregone principale di questa operazione) viene fuori un nuovo contesto che vede ristrutturate le scienze cognitive, ma anche rivisitata la fenomenologia. Essa era stata pensata in origine come un metodo di isolamento della soggettività dai condizionamenti del mondo oggettivo (agli inizi del ‘900 si trattava di tirannie), un modo di sottrarre il dominio della coscienza dal potere delle scienze naturali, una via “trascendentale” contrapposta alla “naturale”. Appare quindi provocatoria, anche se non proprio dirompente, rispetto a quel disegno, lo slogan scelto di naturalizzare la fenomenologia per tale progetto.
Sarà mediante l’istituzione di una fenomenologia naturalizzata (1), consapevole dei traguardi raggiunti dalle scienze naturali, che si potrà realizzare oggi una intesa che non era stata possibile ad Husserl, che doveva confrontarsi con un sapere scientifico – naturalistico ancora molto rigido. Oggi, con lo sviluppo delle teorie della complessità, la scienza si presenta dopo un lavacro (a cui tanti hanno contribuito: da Godel a Prigogine) che le permette di confrontarsi utilmente con la percezione diretta del mondo, quel feno – mondo che era tenuto a distanza dall’accademia.
In un articolo che acquista adesso il sapore della profezia Varela afferma che “Una lezione fondamentale è che l’impresa della neurofenomenologia ci ha condotto all’interno di un intricato rinnovamento filosofico e metodologico. Se questa direzione di ricerca deve fornire una risposta all’altrimenti insormontabile divario esplicativo tra la mente cognitiva e quella fenomenologica, non può ignorare le stesse basi costitutive della mutua reciprocità che mantiene uniti il mentale e l’esperienziale, il fisico e il neurale. E’ perciò evidente che solo su questa base rinnovata la neurofenomenologia può essere diversa da una ripetizione del passato, sotto forma di ricerche di corrispondenza, attraverso la linea del mistero.” Più avanti, mettendo insieme i tre poli del livello formale (cioè la descrizione dei contenuti mentali partecipabile), del processo naturale (neurale, corporeo), del livello pragmatico (corpo vissuto / corpo organico), Varela parla di “relazione reciprocamente generativa”, di “ghirlanda a tre fili”, auspicando un importante rinnovamento filosofico e scientifico “nella direzione di un pensiero non dualista”.
E’ un vero peccato che egli (prematuramente come fu per Merleau Ponty) non possa continuare il cammino insieme alle stesse idee che ha largamente contribuito a mettere in movimento. Verrebbe voglia di dedicargli le ultime parole dell’epigrafe che Felix Klee fece incidere sulla lapide del padre Paul:
Più vicino di altri al cuore della creazione
Ma sempre troppo lontano
”.
Ed oggi siamo più consapevoli, anche grazie a Varela, che nel termine “creazione” siamo tutti coinvolti come co – autori.


(1) Cfr. Naturalizzare la fenomenologia è anche il titolo del testo composto dal gruppo di “Fenomenologia e Scienza Cognitiva”: Francisco J. Varela, Bernard Pachoud, Jean Michel Roy, Naturalizing phenomenology. Issues in contemporary phenomenology and cognitive science a cura di Jean Petitot, Stanford University Press, Standford, 2000 (641 pagine)
Francisco J. Varela, Quattro pilastri per il futuro della scienza cognitiva, in Pluriverso, trimestrale diretto da Mauro Ceruti, n. 2 /2000, pp. 6 - 15



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