Aldo E. Quagliozzi
Ove si parla di remoti risultati elettorali, già allora condizionati pesantemente dal controllo della metà almeno dei moderni mezzi di comunicazione di massa da parte dell’ egoarca, che non contento e per storiche responsabilità ed insipienze politiche successive, di altri che nel tempo non presero a cuore il problema della comunicazione nel ventesimo secolo, ha potuto consolidare tutto il suo impero ed estenderlo, almeno nel controllo, a quella parte virtualmente libera al che oggi, 28 aprile dell’anno del signore 2004, a dieci anni e più da quelle elezioni, il nostro può ben controllare, e comodamente disporre, di tutta la televisione italiana che conta.
E nel contempo ci pone nei confronti degli altri Paesi della unione europea come cittadini di seconda categoria, e pertanto come degli osservati speciali.
E dove flebile torna la speranza di poter rintracciare, nelle lettere successive del carteggio, uno scritto, uno scritto almeno, del nostro egoarca.
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Glagow, 3 aprile 1994
Caro Berlusca,
l’inizio amichevolmente confidenziale di questa lettera è dettato dall’euforia per l’esito delle elezioni italiane che hanno avuto in Lei l’indiscutibile vincitore.
( … ) Forza Italia ha ottenuto il 21 per cento dei voti e ha superato il Pds, che, di gran lunga lo schieramento più forte del fronte progressista, è rimasto di poco al di sopra del 20.
Rispetto agli anni in cui la Dc si avvicinava al 40 per cento ( a volte superandolo ), il Pci oscillava attorno al 30 per cento e il Psi attorno al 15, quella che si è verificata il 27-28 marzo 1994 è una bufera certamente benefica.
Lo scudo crociato, simbolo una volta della Dc e ora dei popolari, ha conservato solo un quarto del vecchio elettorato democristiano.
I socialisti, dopo la cura Craxi, sono precipitati a poco più del 2 per cento.
( … ) A me, sinceramente, la frammentazione scaturita dalle urne sembra un fattore di rischio, tanto più che anche l’astensionismo ha toccato vertici da primato.
Lei può essere orgoglioso del Suo 21 per cento; ma, se tiene conto di coloro che non sono andati a votare, oppure hanno votato bianco o nullo, risulta in termini rigorosamente matematici che a Forza Italia hanno dato il voto 15 italiani su cento.
E’ pochino, soprattutto per un partito che, a quanto mi dicono parenti e amici italiani, ha fruito negli ultimi giorni della campagna elettorale di un martellamento andato ben oltre gli spazi istituzionali previsti per una corretta propaganda televisiva.
E’ vero che la ex cantante Iva Zanicchi, in una popolare trasmissione di Canale 5 intitolata OK, il prezzo è giusto, alla vigilia del voto, ha detto che Berlusconi sarebbe il buon papà ideale per tutti gli italiani?
E’ vero che il presentatore e apprezzato attore comico Raimondo Vianello, in una trasmissione di commento alle partite di calcio domenicali, ha fatto un’esplicita dichiarazione di voto a Suo favore?
E’ vero che anche il popolarissimo Mike Buongiorno ha invitato dal video Fininvest a sostenere Forza Italia?
Spero che Lei smentisca le voci che mi sono giunte in proposito, perché i dubbi sulla correttezza della Sua campagna elettorale offuscherebbero in me la felicità per il successo della Sua iniziativa politica.
In ogni caso, Lei ha vinto. Insieme con i Suoi associati – Alleanza nazionale e Lega Nord – ha ottenuto il 41 per cento del voto popolare, che non è la maggioranza ma che, in virtù della legge maggioritaria, costituisce una quota vincente.
( … ) …, come la metterà con Gianfranco Fini, che, eccitato dall’aver condotto la fiammella missina a superare il 13 per cento ( livello mai raggiunto dal Msi ) in un’intervista alla < Stampa > ha indicato in Mussolini il più grande statista del secolo? I giornali britannici hanno ripreso quel giudizio con allarmata evidenza.
Ma anche l’altro Suo alleato, il leader della Lega Umberto Bossi, presumibilmente seccato di un esito elettorale inferiore, sia pure di poco, a quello conseguito nel 1992, sembra intenzionato a procurarLe fastidi.
( … ) In un’intervista radiofonica del 20 marzo, il Suo alleato Bossi ha detto: "Berlusconi è un grosso imprenditore che ha mille interessi e, se fosse presidente del Consiglio, si troverebbe a discutere dei suoi interessi una legge sì e una no"
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La fluidità della lingua non è un capolavoro, ma il pensiero è chiaro: il leader della Lega esclude che un finanziere così condizionato dai propri interessi privati, di gran peso, possa diventare capo del governo.
Giusto il giorno prima, 19 marzo, in un discorso elettorale a Vicenza, Bossi aveva detto anche di peggio: " Mancino è preoccupato dal fatto che Berlusconi gli sta portando via tutti i collegamenti e i voti, anche quelli mafiosi, che erano stati del suo partito. Noi non possiamo dire che Berlusconi sia un mafioso: non lo sappiamo".
Ho scelto quasi a caso due frasi da un florilegio bossiano pubblicato dalla Stampa del 1° aprile 1994.
Che dice Lei della battutina sulla Sua ipotizzata mafiosità? ( … ) E’ vero che il boss mafioso Piromalli ha fatto propaganda elettorale per Forza Italia e che Lei si è guardato dal rifiutare pubblicamente quei voti?
( … ) Ebbene, in tutto questo friggere di ostilità, Lei ostenta serafica sicurezza e fiducia nella perpetuità della Sua buona stella. A Gianni Riotta, che, intervistandola per il Corriere della sera, Le domanda se ritiene di aver sufficiente esperienza internazionale per guidare il paese, Lei risponde: " Chi ha avuto le esperienze aziendali che ho avuto io, certo conosce l’Europa e conosce il mercato internazionale"
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( … ) Nella già citata intervista concessa a Riotta per il < Corriere > c’è una Sua risposta che francamente – e Glielo dico sempre da ammiratore – mi lascia perplesso.
< Sì, ho il polso del paese. L’ho sentito – Lei afferma – in anni e anni lavorando con i nostri collaboratori, con i clienti dell’azienda, durante le convention, durante gli incontri quando, tavolo per tavolo, azienda per azienda, manager per manager, andavo discutendo e cercando di rendermi conto di quali fossero i problemi. ( … ) Così ho tenuto il polso dell’Italia >.
Attento, Cavaliere, quello potrebbe non essere stato il polso dell’Italia. Forse era il polso di Gullit. Non se la prenda per le mie battute: noi vecchi, o siamo arcigni brontoloni, o, se scherziamo, a volte valichiamo i confini della creanza.
Mi perdona? In attesa di ricevere presto Sue felici notizie ( dai giornali certo, ma ora non dispero che Lei, finita la campagna elettorale, trovi il tempo di scrivermi ) La prego di gradire cordiali saluti e l’augurio più sincero di rapido successo nella corsa alla presidenza del Consiglio.
Adam Smith “
( da “ Lettere di Adam Smith al Cavalier Berlusconi “ di Sergio Turone – Laterza – 1995 )
Red - 04-06-2004
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A proposito di Adam Smith
Il filosofo e il tacchino
La riforma della scuola decretata nei giorni scorsi mi ha fatto venire in mente una pagina dell'Abbozzo della Ricchezza delle nazioni (probabilmente del 1763; la prima edizione italiana si deve a Valentino Parlato). Scrive Adam Smith: in realtà la differenza del talento naturale tra i diversi uomini è molto minore di quanto noi riteniamo, e il diverso ingegno che sembra distinguere uomini di diversa professione, quando costoro siano pervenuti a maturità, forse non è la causa, ma l'effetto della divisione del lavoro. Che cosa può esservi di più diverso di un filosofo e un facchino? Tuttavia tale differenza sembra nascere non tanto dalla natura, quanto dai costumi e dalla educazione. Quando vengono al mondo, e per i primi cinque o sei anni della loro esistenza, filosofi e facchini sono molto simili, e né i loro genitori, né i loro compagni di gioco possono scorgere differenze notevoli.
A quella età, o poco dopo, i bimbi sono avviati a differenti occupazioni. Cominciamo allora a notare delle differenze in ciò che chiamiamo ingegno, e la differenza si accresce fino a quando la vanità del filosofo rifiuta qualsiasi somiglianza.
Senza l'inclinazione a trafficare, barattare, scambiare - seguita Smith - ciascun uomo dovrebbe procurare a se stesso tutte le cose necessarie della vita; ciascun uomo dovrebbe impegnare tutto se stesso in ogni cosa.
Tutti dovrebbero fare lo stesso lavoro e adempiere agli stessi compiti, e non vi sarebbe quella diversità di occupazione che è la sola causa della diversità dei caratteri. È per questo motivo che presso i selvaggi si nota una uniformità nei caratteri, maggiore che non presso le popolazioni civili. Tra i primi vi è una divisione del lavoro limitata e dunque non vi è alcuna differenza importante nelle occupazioni; mentre tra i civilizzati vi è una quasi infinita diversità di occupazioni, con mansioni che determinano grandi differenze tra l'uno e l'altro.
Vi sono molte razze di animali, tutte della stessa specie, nelle quali la natura ha impresso una diversità di intelligenza e di inclinazioni molto più accentuata di quella che si trova tra gli uomini, prima che sugli umani agiscano il costume e l'educazione. Per ingegno e tendenza, in natura un filosofo non è diverso da un facchino, neanche la metà di quanto lo sia un mastino da un levriero.
Tuttavia queste differenti razze di animali, benché appartenenti alla stessa specie, non sono di nessuna utilità le une alle altre. Un animale è obbligato a provvedere a se stesso e a difendersi da solo, e non ricava alcun vantaggio dalle diverse capacità di cui la natura ha dotato i suoi simili. Tra gli uomini, invece, i diversi ingegni sono utili gli uni agli altri, poiché i diversi prodotti delle loro diverse inclinazioni, a causa della generale disposizione a barattare, trafficare e scambiare, costituiscono un fondo comune.
Un facchino è utile a un filosofo non soltanto perché qualche volta gli porta un peso, ma perché gli rende più agevole ogni commercio. Il filosofo, d'altra parte, è utile al facchino, non soltanto perché talvolta ne è un cliente, ma per molti altri aspetti. Se le speculazioni del filosofo si sono dirette al progresso delle arti meccaniche, il beneficio di esse può diffondersi al più umile degli uomini.
Secondo Adam Smith, la divisione del lavoro può dunque giovare a un maggior benessere dell'intera specie umana. Tuttavia la divisione del lavoro, proprio nell'età scolare, farà sì che un bimbo diventi facchino, un altro filosofo, anche se il loro talento naturale è uguale. Poche pagine prima il vecchio Adamo - un «fatalista classico», secondo Marx - così scriveva:In un paese civile i poveri provvedono a se stessi e al lusso enorme dei loro signori. La rendita che sostiene lo sfarzo del padrone indolente è stata tutta guadagnata dalla laboriosità del contadino. Chi possiede denaro, indulge a ignobile e sordido libertinaggio a spese del mercante e dell'artigiano, ai quali presta a interesse il suo capitale.
Allo stesso modo, le frivole e indolenti persone addette alla Corte sono nutrite, vestite e alloggiate da coloro che pagano le tasse per mantenerle. Tra i selvaggi, invece, ognuno gode dell'intero prodotto della propria attività. Non ci sono tra loro né padroni, ne usurai, né esattori di tasse.
GIORGIO LUNGHINI sul MANIFESTO
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