Tutti a scuola?
Anna Pizzuti - 26-05-2004
Tutti a scuola fino a 18 anni è il titolo del comunicato trionfale di viale Trastevere, inteso ministro dell’Istruzione.

Comunicato che, per accentuare il trionfo, reca in allegato (ma solo in allegato, quindi per i più pazienti, per quelli che il trionfo lo vogliono assaporare fino in fondo) la tabella che riporto, nella quale lo schema di decreto sul diritto dovere appare come il punto terminale e risolutivo del faticoso cammino dell’obbligo scolastico.



Tutti a scuola fino a 18 anni, hanno ripetuto i giornalisti della tv e di parte della stampa, senza pensarci due volte e senza nemmeno sognarsi di leggere il testo.

Che invece, come tutti gli atti legislativi firmati da questo ministro, richiede una lettura profonda, che va fatta andando ad esaminare per bene tutti i riferimenti e le citazioni di cui sono corredati. Lavoro certosino, faticoso da fare e da leggere, ma che riserva molte sorprese. Per chi le voglia e le sappia intendere.

Lavoro che potrebbe evidenziare l’esistenza di una sorta di “retrodecreto” che , nel momento dell’applicazione dei singoli passaggi, rivelerà le vere intenzioni del legislatore.

Che appaiono, immediatamente sopra le righe, visto che inizia confondendo se stesso con LA REPUBBLICA e che si attribuisce il potere di riformare la Costituzione dichiarando che: L'obbligo scolastico di cui all'articolo 34 della Costituzione, (…..) è ridefinito ed ampliato, secondo quanto previsto dal presente articolo, come diritto all'istruzione e formazione e correlativo dovere. Il che, spero, non sfuggirà a qualche attento costituzionalista.

La lettura dell’articolo primo del decreto ci riserva però altre sorprese.

Tale diritto si realizza nel primo ciclo del sistema dell'istruzione, che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e nel secondo ciclo che comprende il sistema dei licei e il sistema dell'istruzione e della formazione professionale, nonché nel sistema dell'apprendistato di cui all'articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276

Visto che ha modificato la Costiuzione, il legislatore è in pieno diritto di:

a) legiferare con riferimento a qualcosa che – per quanto ci risulta- ancora non esiste, cioè il “sistema dei licei e il sistema dell'istruzione e della formazione professionale” o che esiste solo nelle intenzioni di una legge delega

b) agganciare l’apprendistato a questo sistema .

E andiamolo a vedere come è l’apprendistato di cui all'articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 che attua la legge 30 sul mercato del lavoro.

Iniziando però dall’articolo 47, che riserva un’altra sorpresa:





1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di diritto-dovere di istruzione e di formazione

Inizia così, l’articolo 47: dichiarando “vigenti” il 10 settembre del 2003 disposizioni che stanno iniziando appena oggi il loro cammino.

Ma non è solo questione di vigenza o preveggenza: c’è dell’altro.

Se la virgola posta davanti al “nonché” nell’articolo 1 del decreto poteva far sorgere qualche dubbio sull’effettiva introduzione dell’apprendistao nel sistema di istruzione e formazione, la lettura dell’articolo 48, ma anche di quelli precedenti e successivi lo elimina.

Il 10 settembre del 2003 veniva stabilito che con l’apprendistato possono conseguire diplomi e qualifiche.

Ed anche il monte ore di formazione, che in base alle norme precedenti doveva essere svolto a scuola, ora può essere svolto in azienda.

Il che è anche logico, se è l’azienda a rilasciare il diploma.

Queste e molte altre osservazioni andrebbero fatte sull'apprendistato (non ultima quella che non si comprende perché, nello schema sia citato solo l'articolo 48 del decreto attuativo della legge Biagi) ma c’è una domanda che mi preme porre, riprendendo la citazione dall’articolo 1 del decreto:

se l’obbligo scolastico si può svolgere nell’apprendistato e se si può avere un contratto di apprendista solo se si è compiuto il quindicesimo anno di età, e se dalla scuola media si esce a 13 anni o anche prima, in caso di anticipo, nel trionfale percorso del diritto dovere viene ad ingenerarsi un buco, un bug, come direbbe il ministro che sa l’inglese, che non riesco a capire come e dove possa essere colmato.

All’atto della stesura della legge 53 è stato necessario ricordare al legislatore un’altra norma, da lui ignorata:

Decreto legislativo 4 agosto 1999 n.345: protezione dei giovani sul lavoro.

Il D.Lgs.n.345/99, emanato in attuazione della direttiva 94/33/CE, in un’ottica di rafforzamento della tutela dell’integrità psico-fisica del minore, nel sostituire, all’art.2, la terminologia usata dal legislatore del 1967, che distingueva tra "fanciulli" ed "adolescenti", vieta, all’art.6, che modifica l’art.4 della L.977/67, il lavoro dei "bambini", individuati nei minori che non hanno ancora compiuto 15 anni di età o che sono ancora soggetti all’obbligo scolastico.
Come si vede, dunque, la definizione di "bambino", preliminare ai fini della verifica della legittimità dell’adibizione del minore al lavoro, viene ancorata a due diversi requisiti: da un lato quello dell’età anagrafica, dall’altro quello dell’adempimento dell’obbligo scolastico.
In linea con tale impostazione generale, che ha tenuto conto, in via prioritaria, di quanto disposto in materia di obbligo scolastico dalla legge 20 gennaio 1999, n.9, "Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione", gli artt.5 e 6 del suddetto decreto prevedono due distinte fattispecie di reato diversamente sanzionate dall’art.14, che ha modificato l’art.26 della legge 977/67.
L’art.5, che ha sostituito l’art.3 della legge 977/67, stabilisce che l’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore a quindici anni compiuti. La violazione di tale norma è punita con la pena alternativa dell’arresto non superiore a sei mesi o dell’ammenda fino a lire dieci milioni
.

E così ha capito che l’alternanza scuola- lavoro la doveva far iniziare a 15 anni.

Ma ora, come la mettiamo ora? Magari, poiché si è ripristinata la definizione di “fanciullo”, si ritiene implicitamente abrogata a nche questa norma?

Per non parlare poi del fatto che il lavoro, qualsiasi tipo di lavoro, inizia quando si sia adempiuto all’obbligo scolastico.

Che però non esiste più.

E mi fermo qui, altrimenti il discorso, come la realtà disegnata dal decreto, si avvita su se stesso.

Avevo cominciato a scrivere pensando di poter “disvelare” tutte le assurdità del diritto-dovere, ma mi rendo conto che sarebbero necessarie ancora pagine e pagine, quindi mi fermo qui. Per ora.

Solo un’ultima osservazione.

Sempre nell’articolo 1 del decreto, viene detto che lafruizione dell'offerta di istruzione e di formazione come previsto dal presente decreto costituisce per tutti (….) un dovere sociale ai sensi dell'articolo 4, secondo comma della Costituzione, sanzionato come previsto dall'articolo 7 del presente decreto.

Articolo 4 che recita:

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società
.

La Costituzione, misconosciuta o deformata per i loro fini.

Che in realtà sono: “Tutti fuori della scuola”




interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 ilaria ricciotti    - 26-05-2004
Complimenti per il lavoro da te svolto! Spero quanto da te scritto venga letto ,non soltanto da quanti hanno da sempre considerato questa riforma una controriforma, ma anche e soprattutto da quanti la sostengono con tanto calore e spirito "innovativo". In special modo da coloro che si riuniscono in commissione, per modificare la Costituzione,
per far sì che con i due canali, ci sia una scuola per i più dotati e per i più somari.
Tale documento dovrebbe essere fatto circolare per le scuole italiane.