Bande sciamannate
Giuseppe Aragno - 22-05-2004
Tra le bande sciamannate dei liberisti di destra e di sinistra, il dibattito sulla costituzionalità delle rispettive posizioni si sforza di apparire appassionato, ma, per non morire d’inedia, deve separare nella forma ciò che la sostanza unisce. Nell’aula sorda e grigia, sfuggita Dio sa come a bivacchi di manipoli, ciò che pensa la polis non ha più cittadinanza. Giuda, Carneade e Pilato si studiano di toccare i toni alti, ma steccano fatalmente, scatenando la canea. Un modo come un altro per pantomimare forme di dissenso consentito.
Lo spettacolo è grottesco e verrebbe da sorridere se la misura tragica dell’abisso verso il quale precipitiamo non incupisse l’animo.
Gli attori della farsa hanno fatto cartastraccia dell’articolo 11 della Costituzione (1) e non la smettono di accusarsi reciprocamente. In Serbia, però, ci sono andati assieme e in Irak erano alleati sino a poche ore fa.
Accomunati da una visione fortemente deformata del quadro storico e del dibattito politico da cui nasce la Costituzione della Repubblica, si uniscono tutte le volte che sono in discussione i principi ispiratori della carta costituzionale e si separano quando si tratta di trovare un modo per cancellarli.
Accade così per le leggi sulla scuola, che da tempo ignorano uno dei principi che indussero l’Assemblea Costituente ad approvare l’articolo 33 così com’è pensato e scritto (2): quello per il quale il riconoscimento di una regola propria all’ordinamento della famiglia – i genitori hanno il diritto e il dovere di istruire ed educare i figli – si inserisce nel maggiore ambito dell’ordinamento dello Stato e ad esso cede: la famiglia può avere una visione particolaristica della vita, sicché l’istruzione e l’educazione dei giovani sono altresì compiti dello Stato, il quale rappresenta un’idea universale.
Piaccia o meno è così. E’ scritto in maniera inequivocabile nel testo costituzionale, è una convinzione profonda dei costituenti, di cui fanno fede le discussioni di profilo altissimo che essi tennero durante i lavori della Costituente. Sono conservate a futura memoria e i nomi di alcuni dei protagonisti incutono incondizionato rispetto. Maestri, al di là dei “colori politici”: valgano per tutti Pacciardi, Dossetti e Marchesi, per citarne alcuni.
Educare e formare è un “privilegio originario” della famiglia, sostennero i membri dell’Assemblea Costituente; lo Stato, al contrario, adempie ad un dovere che intreccia etica e politica – Machiavelli non me ne voglia – e, attraverso la legge, diventa diritto.
Lo Stato democratico, per suo conto, non presume di possedere una capacità esclusiva di educare e istruire e, anzi, riconosce ad altri ordinamenti giuridici, istituiti a scopi educativi, la libertà di insegnare.
Nessun monopolio della scuola, quindi, da parte dello Stato, ma due sfere ben distinte. E’ questo il quadro etico e giuridico che disegna la Costituzione. Ed in questo quadro non c’è spazio per un sistema integrato, pubblico-privato. Sul piano costituzionale un simile sistema è un controsenso; nei fatti, esso minaccia soprattutto la libertà del privato.
Si tratta di equilibri delicatissimi e non è un caso che il testo costituzionale lasci la famiglia libera di esercitare un diritto-dovere e le riconosca la rappresentanza dell’educando e la decisione di scegliere tra le scuole di Stato e quelle private.
Ove lo desiderino, e quando offrano garanzie di “buona” istruzione ed educazione, queste ultime possono essere parificate alle scuole dello Stato sul piano del trattamento scolastico fatto agli alunni.
La costituzione è attenta a non graduare le libertà: una scelta diversa produrrebbe l’immediata negazione di ogni libertà. E’ nel rispetto di quest’equilibrio che l’Assemblea Costituente tenne a non assicurare posizioni di privilegio alle scuole dello Stato, a non determinare costrizioni, a non indurre in alcun modo le famiglie a mandare gli alunni alle scuole statali.
Non soltanto, quindi, essa volle garantire la libertà dell’insegnamento e quella della scelta dell’indirizzo educativo (in quanto espressione elevatissima della libertà dì pensiero e della sua manifestazione) ma affermò di fatto, con lucida chiarezza, che la massima garanzia di libertà della scuola privata riposa nella sua capacità di vivere e far concorrenza alla scuola statale, contando esclusivamente sulle proprie attitudini organizzative, sul valore ideale e alternativo dei propri metodi didattici.
L’arte e la scienza sono la libertà stessa, ebbe a dire in Assemblea Concetto Marchesi: un’arte finanziata è un’arte ingabbiata, così come ingabbiata è la scuola privata finanziata dallo Stato. E quando mai De Sanctis e Puoti, con le loro splendide scuole private, avrebbero contribuito a forgiare la borghesia risorgimentale, se fossero andati a chiedere soldi alla corte dei Borboni? Ne era ben conscio Epicarmo Corbino, liberale d’una razza che non esiste più, quando, replicando a Gronchi, che faceva il paladino delle scuole comunali e sosteneva che “è estremamente inopportuno precludere per via costituzionale allo Stato ogni possibilità di venire in aiuto a istituzioni le quali possono concorrere a finalità di così aita importanza sociale”, rispose con estrema chiarezza: “noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato" (3). In casi eccezionali e non per regola, per motivi contingenti e mai per diritto di legge. Era la sola scelta possibile se si voleva davvero favorire quella “sana concorrenza” che a chiacchiere è la bibbia delle nuove classi dirigenti. A tutela della libertà l’Assemblea approvò la formula ”senza oneri per lo Stato”.
Quella che abbiamo e che ignoriamo.
A mio parere, questo governo non è solo il più lungo che la Repubblica abbia mai avuto: è di gran lunga il peggiore. Tocca mandarlo via e lo faremo: se ne andrà. Chi si accinge a prenderne il posto, però, sappia sin da oggi che la costituzione non si tocca. Va bene così come ce l’hanno donata, a prezzo di sacrifici atroci, i partigiani.
Non ho timore di dirlo, e so che siamo in tanti a pensarla così. Su questo terreno si potrebbe verificare una rottura gravissima. Chiunque voi siate a voler governare, bene, sappiate che incontrereste una resistenza estrema.


Note


1)
Lo conosciamo tutti, ma giova riportarlo per intero: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, a limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Inconciliabili con questo testo sia l’intervento in Serbia, governo D’Alema, (nessun mandato ONU), sia quello in Irak, governo Berlusconi (contro la volontà dell’ONU).


2) Anche questo articolo, a tutti noto, val la penna di riportare per intero: “ L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. Rimangono, inequivocabili, checché se ne dica, cinque parole che non serve spiegare: “senza oneri per lo Stato”.


3) Assemblea Costituente, pag. 3377-78.


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