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L'ora di religione
Pierangelo Indolfi - 24-04-2004
Intervengo da cattolicissimo e chiaramente come la penso io non è uguale a come la pensa il cardinal Ruini.

Affrontiamo prima di tutto un aspetto. L'ora di religione, per come è impostata attualmente, rientra in maniera chiarissima tra le attività facoltative e opzionali, data la possibilità per lo studente di dichiarare di non volersene avvalere. Bisognerebbe trarne le conseguenze, perché è
uno scandalo che se l'80% di una classe non si avvale, il collega di religione fa lezione a due tre persone, cosa non consentita a nessun insegnante di nessun'altra materia. Come minimo la decenza dice che in questi casi vanno accorpate le classi durante l'ora di religione. Questi colleghi fanno sballare la statistica del rapporto docenti/alunni, e invece la croce è sempre stata messa finora addosso agli ITP. Non mi sembrerebbe quindi particolarmente scandaloso e discriminatorio che l'ora di religione venisse messa in coda all'orario normale o addirittura di pomeriggio e che si lavorasse per classi aperte, facendo gli organici alla luce di questo criterio. Non per niente; ricordiamoci che dall'anno venturo tutte le "educazioni" nella scuola media diventano opzionali e facoltative e i colleghi inizieranno a vivere con il patema d'animo che i genitori possano decidere di non avvalersi di musica o di ed. artistica. Perché mai ci devono essere invece i figli della gallina bianca?

Alla Chiesa l'ora di religione non serve. Annunciare il Vangelo è un compito della comunità cristiana, che si concretizza sul territorio con le parrocchie. L'annuncio presuppone la possibilità di sperimentare la vita cristiana all'interno di una comunità accogliente e formativa e lo si può fare soltanto in parrocchia o nei gruppi ecclesiali giovanili (Agesci, ACR e ACG, Gioventù Francescana, Focolarini e chi più ne ha più ne metta). Il settore della catechesi parrocchiale versa in uno stato pietoso, nonostante lo sforzo che ha fatto la Chiesa italiana fin dal 1970, anno di pubblicazione del documento di base su "Il rinnovamento della catechesi". E non lo dico io ma autorevoli studiosi cattolici (cfr.
http://digilander.libero.it/rinnovamento/documenti/rinn_cate.htm ). In particolare il problema è che il parroco, spesso disperato, recluta i catechisti non sulla base della loro preparazione dottrinale e didattica, ma solo perché in quel momento contingente quelle soltanto sono le persone che si rendono disponibili. Se l'esperienza della catechesi parrocchiale è deludente per il ragazzo e l'adolescente, non sarà certo il presentare il Cristianesimo in ambito scolastico che servirà a limitare i danni. Si rischia anzi di acuirli.

Esiste comunque un problema grave di ignoranza diffusa del contenuto della Bibbia e della storia del cristianesimo, argomenti che non possono essere misconosciuti sia dai credenti che dai non credenti e neanche da chi il problema religioso non se lo pone affatto. Per fare un esempio, come faccio a capire l'arte se non ho neanche idea di che cosa ignificano i simboli religiosi in essa rappresentati? E questo indipendentemente dal fatto che io sia credente. Però si può ovviare affrontando questi contenuti in maniera trasversale nei programmi di lettere, storia, geografia, storia dell'arte, filosofia.

Per ultimo, e non voglio generalizzare, volevo solo osservare che mi sono occupato di pastorale giovanile per tantissimo tempo, ma non mi sono mai sognato di andare da nessun parroco e chiedergli una "spinta" per trovare un posto di lavoro. Esiste invece una grande quantità di persone che hanno visto il volontariato in parrocchia come un investimento e ne hanno ottenuto: visibilità in politica e negli affari commerciali industriali e professionali, posto da insegnante di religione, posto da insegnante di altre materie nelle scuole private cattoliche, servizio civile da imboscato in qualche ufficio, clientela privata per corsi a pagamento di chitarra o di organo, ecc. ecc. Tutte cose che con il Vangelo non hanno molto a che fare.

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 Lorenza Masini    - 25-04-2004
A proposito dell'ora di religione..

Sono ormai stanca, avvilita e offesa dai commenti e dalle facili critiche di coloro che non voglio definire colleghi!
Insegno religione da diciasette anni in un istituto tecnico e devo dire che, seppur faticosamente, mi sono "guadagnata" la stima e la fiducia di molti studenti, famiglie e colleghi.
Una realtà (quella descritta nell'articolo) non è detto che sia la realtà e, volendo dirla tutta, in questi anni mentre cercavo di lavorare seriamente con le classi composte non certo da due o tre alunni, ho fatto la spiacevole esperienza di incontrare insegnanti di altre materie che vivevano il loro lavoro in modo superficiale e senza preoccuparsi troppo di quelle PERSONE che sono gli studenti!
Mi piacerebbe sapere se chi fa critiche sarebbe in grado di sostenere il suo insegnamento qualora fosse facoltativo, opzionabile e quanto entusiasmo ci metterebbe se il suo fosse un precariato lungo diciasette anni.
E' facile parlare, non altrettanto vivere certe situazioni!
Dimenticavo: evangelicamente parlando non sarebbe meglio togliere la trave dal proprio occhio piuttosto che la pagliuzza da quello del proprio fratello?


 Annalisa Santini    - 26-04-2004
Mi sembra una proposta intelligente ed interessante ma non credo sia praticabile perchè nella specifica della ricomposizione delle ore nella nuova riforma (sia della materna che della media), l'unica materia che vede inalterato il piano orario settimanale è proprio religione: credo che la Moratti non consentirà la Sua interpretazione. Tutti sappiamo, d'altro canto, che sono una illusione le materie opzionali perchè queste DIPENDONO dall'organico della scuola.
La riforma continua a non convincermi, anzi ne vedo sempre più i difetti.

 mara    - 26-04-2004
Scusa tanto, cara collega, ma a sottolineare il diverso peso, sul piano dell'organico di diritto, tra docenti di materie fondamentali e facoltative è stato proprio il medesimo ministero che, nello stesso tempo, ha sconsideratamente preteso l'immisione in ruolo di migliaia di docenti su una materia da sempre facoltativa.
Mentre si pensa dove "buttare" i colleghi di educazione tecnica e inglese, che saranno in esubero a causa di incomprensibili tagli su materie considerate fondamentali anche nella scuola di Berlusconi e della Moratti (Informatica, Inglese...), si assumono assurdamente a tempo indeterminato docenti nominati dalla curia per insegnare una materia facoltativa!
Ora, a parte l'indecenza della disparità di trattamento originata dal diverso canale di reclutamento, superficialmente sanata in apparenza da una procedura concorsuale riservata, ma viziata in origine dalla tipologia dei requisiti di ammisione, mi vorresti spiegare per quale motivo ai docenti di religione cattolica, materia giustamente facoltativa in uno stato laico, deve essere riservato un trattamento di ampio favore, rispetto ai docenti delle altre materie, per altro obbligatorie?
Evitami per favore le tirate sulla presunta o reale cultura cristiana o cattolica dello stato italiano. La costituzione, finché non la riscrivono, è l'unica garanzia di uguaglianza e rispetto di ogni credo e fede e, grazie a dio, anche di chi desidera essere rispettato nella sua laicità.

 corrada    - 10-05-2004
Grazie. Mi fa piacere veramente, riscoprire fra i cattolici,quello spirito di onestà intellettuale e di serena obiettività, che ultimamente credevo vicino all'estinzione. Da mesi cerco di esprimere le stesse perplessità che esprimi tu, ma mi si accusa di dare scandalo..per onestà dico che non sono credente, ma il problema è un altro: non si tratta di sradicare la religione dalla vita culturale, sarebbe fuori dalla realtà. Le religioni, che mi piaccia o no, rispondono a bisogni, e spesso lo fanno con efficacia,. Il problema, dicevo è : perchè in questo paese non si riesce a pensare in termini di sano laicismo all' istruzione. pubblica? Perchè lo Stato deve sempre essere parzialmente in ostaggio al potere religioso? In quanto alla cara "collega" di religione che si dedica con tanta passione ai suoi due o tre alunni e guarda con superiorità i colleghi che sono, magari. un po' demotivati , faccio presente che nessuna delle altre cattedre, e relative discipline, verrebbe confermata se scendesse sotto un numero ben superiore ai 3, 4 alunni.

 Pierangelo Indolfi    - 01-06-2004
da L'Unità del 1.6.2004 un intervento sul tema a firma di Don Enzo Mazzi

La religione è una cosa da insegnare?


ENZO MAZZI



Dovrebbe far riflettere la sensibilità che ha indotto il mondo laico e anche parti significative del mondo cattolico a reagire criticamente di fronte alla notizia di un accordo che prevede una interazione fra l'insegnamento della religione cattolica e le altre discipline, siglato fra Ministero della Pubblica Istruzione e Conferenza episcopale italiana. E dovrebbe indurre a cercare i motivi seri di tali reazioni. S'indugia invece in una sterile polemica.
Chi vive nella scuola sa quanta sofferenza e quali difficoltà crea questa figura anomala dell'insegnamento cattolico. Quanti insegnanti sono messi in crisi e quanti genitori vivono con un senso di angoscia la scelta fra avvalersi e non-avvalersi. L'accordo Moratti-Ruini tende a sanare sofferenze, discriminazioni e difficoltà o è destinato ad aggravarle?
Anche chi vive l'appartenenza ecclesiale in forma non puramente gregaria conosce il dramma di un insegnamento che produce crisi di coscienza in tanti credenti sinceri.
Questa “interazione” contribuirà a superare le crisi oppure le amplierà?
C'è inoltre il fatto che il bilancio dell'insegnamento cattolico è inquietante. Su questo merita soffermarsi. Il problema è serio. Riguarda direttamente la religione, Dio e il Vangelo; ma investe la società intera: l'etica, la politica, la cultura e anche l'economia.
Il novanta per cento degli italiani di ogni età e condizione ha rapporto con un qualche tipo di insegnamento cattolico. C'è un corso di religione o di catechesi per tutte le varie fasi della vita. Ai corsi c'è da aggiungere omelie o prediche seminate ovunque: culto festivo, amministrazione di sacramenti e benedizioni, celebrazioni ufficiali di ricorrenze varie, inaugurazioni e funerali pubblici e privati. Chi vuol sposarsi in chiesa deve imparare il catechismo. Poi c'è il corso di preparazione al battesimo. I genitori che vogliono far battezzare il proprio figlio devono impegnarsi e prepararsi a dargli un'educazione cristiana. Niente impegno, niente battesimo. Il novanta per cento dei genitori accetta liberamente o subisce. Il battesimo non è solo un sacramento della fede. È anche un'anagrafe parallela. Il battesimo è una condizione per il futuro inserimento del loro figlio nella società. Il bambino non battezzato è un diverso, in una società in cui la cultura della diversità è ancora molto osteggiata.
Appena il bambino incomincia a frequentare la scuola materna è sottoposto per due ore la settimana all'insegnamento cattolico. Pochi genitori ne fanno a meno. È pura ipocrisia la libertà di scelta. In realtà tutti sanno benissimo che ci vuole eroismo per “non avvalersi”. È una tortura il cucciolo fuori dal branco. E così, con le buone o con le cattive, siamo di nuovo al novanta per cento.
Non cambia molto alle elementari: due ore settimanali di insegnamento della religione per la stragrande maggioranza degli alunni. Alle medie e alle superiori le percentuali calano. Ma anche qui, tra interesse spirituale, interesse materiale e disinteresse, l'insegnamento religioso coinvolge la maggior parte degli studenti.
Con tanta dottrina la società dovrebbe essere perfetta e santa, per quanto possono esserlo le cose umane. Invece son pianti e lamenti: la società di oggi è scristianizzata, la Parola di Dio è ignorata e i valori cristiani disattesi. Più aumenta la presenza del dogma, più Dio è in ombra. Maggiore è il volume dei megafoni ecclesiastici, più tenue giunge alle persone la parola del Vangelo. Più ingrossa il fiume di danaro che la Chiesa ha a disposizione per l'evangelizzazione e minore è la forza della buona novella di giustizia ai poveri. Qualcosa non funziona. Ma cosa?
I motivi sono certamente molteplici e complessi. Non possono però costituire un alibi. E se fosse proprio questa onnipresenza ecclesiastica il nocciolo del problema? Se fosse colpa del metodo dell'insegnamento cattolico e perfino dei suoi contenuti?
È una cosa da insegnare la religione? Se la religione è innanzitutto iniziativa di Dio, come vuole la teologia, ci può essere un “magistero” dell'iniziativa divina? Molti anche credenti, perfino teologi e vescovi ritengono impossibile “insegnare” la religione. Sarebbe come pretendere di insegnare a un bambino l'amore di sua madre. Se ne farebbe una caricatura. Così è dell'amore di Dio. L'insegnamento religioso è insegnamento di un amore divino che non si può insegnare, ma che è possibile solo testimoniare con la vita.
E non basta all'autorità ecclesiastica insistere sul dogma e rifuggire da un insegnamento laico dell'esperienza religiosa dell'umanità; impedisce che una tale esperienza sia insegnata da altri. In Italia non c'è una facoltà universitaria laica di teologia. Solo l'insegnante riconosciuto idoneo dall'autorità sacra può parlare di Dio con parole di verità. E la Bibbia non può esser letta e studiata come libro di letteratura, di storia, di sapienza o di etica, senza l'assenso e il controllo dei gestori del sacro. Quando qualche anno fa il quotidiano l'Unità ha voluto pubblicare il Vangelo, si è trovato a chiedere il placet della Gerarchia ecclesiastica e a usare la traduzione della CEI aggiungendo al testo le spiegazioni della stessa. Senza l'insegnamento cattolico c'è il vuoto di educazione religiosa. È una perdita culturale e morale incalcolabile per la società intera. Il Vangelo ha bisogno di profeti e non sopporta gli insegnanti di religione. L'insegnamento della religione è oggettivamente contro il Vangelo.
Qui la contraddizione si ingigantisce. Chiama in causa lo stesso potere ecclesiastico. La gerarchia reagisce di fronte a questa parola: “potere”. Non se la vuol sentire addosso. Il potere della Chiesa è definito un servizio. La parola potere non è considerata appropriata a una realtà sacra come la Chiesa. E comunque è un potere che viene direttamente da Dio in funzione della evangelizzazione e della salvezza. Questo si dice e si insegna. È legittimo quantomeno dubitarne. La spoliazione e la povertà totale, fino alla nudità della croce, non è un incidente. È la condizione permanente richiesta agli evangelizzatori. Tu devi scegliere: o il potere o il Vangelo. È una scelta troppo drastica? È vero. Nei fatti la coerenza è sempre parziale e i compromessi inevitabili. Un minimo di potere l'abbiamo tutti. Solo l'ultimo dei viventi forse ne è esente. Importante è liberarsi e liberare dal potere. Il problema del potere richiama la questione del metodo d'insegnare religione. Un potere autoritario usa inevitabilmente un metodo autoritario. Uscire dalla logica autoritaria è impossibile senza profonde riforme nella struttura della Chiesa. Non si può riformare la catechesi, ad esempio, senza riformare radicalmente il “magistero”. E infatti la riforma conciliare della catechesi si è arenata. Un muro invalicabile l'ha fermata: il processo di riforma portava a intaccare l'essenza stessa del magistero. Ci sono state scomuniche, condanne ed emarginazioni. Ogni essere umano - vien detto - è sì alla ricerca della verità divina e della salvezza eterna, e qualche briciola di verità è anche capace di trovarla, ma solo il magistero possiede le risposte totali, vere e salvifiche: questo principio è in radice autoritario e fonte di autoritarismo. Ed è un autoritarismo violento, pur dietro la maschera di bontà e amore materno. Il suo amorevole abbraccio è mortale per la crescita delle coscienze. L'essere umano è e deve restare un eterno lattante, attaccato alle mammelle della madre Chiesa distributrici di verità assolute, di valori assoluti, di norme assolute. Essere depositari della verità divina assoluta, essere addirittura infallibili nell'insegnare la verità della fede e della salvezza, significa espropriare della verità chiunque altro. E soprattutto vuol dire svilire la ricerca umana.
Non potrebbe trovarsi proprio lì, nel potere, una delle cause per cui il Vangelo non arriva alle donne e agli uomini di oggi?
Scrive don Severino Pagani, rettore del Biennio Teologico del Seminario di Milano, in uno studio apparso su La Rivista del clero italiano (4 aprile 2001): «Questa (l'attuale) situazione culturale ed ecclesiale ci mostra che ci troviamo di fronte alla fine di una “pastorale del controllo totale” … Le “agenzie di religione”, ad esempio le Chiese (e la Chiesa cattolica è ancora un'agenzia molto forte), non riescono più come prima a raccogliere e a organizzare nell'ortodossia e nella prassi in modo completo coloro che ad esse fanno riferimento. I pensieri, il comportamento, la coscienza morale, la nozione di verità, i meccanismi di aggregazione e di gratificazione si sono liberati dalla organizzazione ecclesiastica, che governava i tratti di una società meno complessa e monoculturale, e si organizzano in maniera più libera e individualista, attingendo a un mercato di significati e di gratificazioni più secolarizzati e neosacrali, comunque meno ecclesiastici. Ci troviamo di fronte a un nuovo assetto del vivere democratico ancora incompiuto…. La forma tradizionale della cura pastorale di questi ultimi secoli scompare inesorabilmente e, rispetto al venir meno di questa tradizione storica, si rende necessaria la gestione di una transizione che ha i tratti della “elaborazione del lutto” … ». Qualcuno pensa ancora a un recupero, a una ripresa delle forme del passato. È difficile pensare che possa avvenire. Pagani non è il solo teologo che sostiene queste cose. È infatti ormai ben radicato all'interno della Chiesa cattolica un forte senso critico nei confronti dei tentativi di tornare al vecchio Concordato che recitava all'art, 36: «L'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica».
Moratti e Ruini sono avvertiti. Non si torna nemmeno surrettiziamete, con accordi equivoci, al tempo del “controllo totale”. È meglio “elaborare il lutto”. In sostanza, invece di crescere, la presenza ecclesiastica dovrebbe diminuire. Piuttosto che firmare accordi col potere civile, l'autorità ecclesiastica sarebbe meglio che si ritraesse un po'. Farebbe posto finalmente a Dio e al suo Spirito. La “solidarietà” primigenia del cristianesimo, e forse di ogni religione, è con i senza-potere anzi con i colpiti dal potere. Solo all'interno di una tale solidarietà costituzionale il “servizio” alla Parola di Dio cesserà di essere ostacolo alla evangelizzazione.

 Pierangelo Indolfi    - 08-09-2004
da il manifesto - 08 Settembre 2004 - pag. 10

Milano diserta l'ora di religione
Prof senza alunni in 183 classi, nonostante il «regalo» della Moratti
GIORGIO SALVETTI
MILANO

Ormai solo l'Altissimo e santa madre chiesa possono soddisfare le supplicanti preghiere degli insegnanti di religione della diocesi di Milano. Il potere terreno del ministro Letizia Moratti in tre anni e mezzo di governo ha già fatto miracoli fuori dal mondo: un concorso solo per professori di religione, che spiana la strada alle altre cattedre, ben 15 mila assunzioni in Italiaa fronte di appena 12 mila nuovi posti per gli insegnanti di tutte le altre materie, e copertura di oltre il 70% dei posti non ancora assegnati mentre solo il 20% degli altri precari è stato messo in ruolo. Solo in Lombardia, oltre 900 aspiranti si sono sottoposti al concorso per ricevere la manna provvidenziale dispensata dalla Moratti (le graduatorie sono state pubblicate da pochi giorni). Più di così è impossibile chiedere alla misericordiosa ministra. Forse per questo, ieri, i 1800 docenti cattolici milanesi già in ruolo, si sono recati in pellegrinaggio dall'abate di sant'Agostino Erminio De Scalzi. A fare che? Sono angosciati da un "pericolo" che ormai da anni incombe inesorabile sulle loro anime - e sul loro posto di lavoro. A Milano e dintorni sono sempre di più gli studenti grandi e piccoli che non hanno alcuna intenzione di avvalersi dell'ora di religione: 60 mila nella diocesi di Milano, 30 mila solo a Milano città, con ben 183 classi in cui tutti gli alunni, nessuno escluso, dicono "no" all'ora di religione.

Per il dogma della domanda e dell'offerta non c'è decreto ministeriale che tenga: contro la minaccia dal basso degli studenti e delle famiglie senza dio, nulla può neppure l'intercessione ministeriale. E allora i docenti cattolici disperati, per voce del loro presidente Alberto Giannino, possono solo lanciare un misto di strali e lamentose questue in tutte le direzioni. Verso la curia, il cui ufficio diretto da don Giovanni Giavini "in questi anni ha tirato a campare come se questo dato fosse ineluttabile", e persino verso il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, lui "deve andare meno ai convegni e dedicarsi di più ai problemi spirituali della diocesi elaborando un piano per contenere il fenomeno". Loro, gli insegnanti, prenderanno corsi di aggiornamento e faranno mea culpa.

Ma la vera colpa, tanto per non cambiare, è del Demonio. I giovani d'oggi: "Senza dio, non vanno a messa, non si accostano ai sacramenti, non conoscono la bibbia e il credo; sono edonisti, scelgono il sesso sfrenato e la discoteca, aspettano il sabato sera per ubriacarsi e sballarsi fino alle 6 del mattino, amano gli abiti firmati, le macchine, le moto, la play station e l'impianto hi-fi, non leggono quasi niente, prediligono il quotidiano sportivo, amano la tv e hanno un debole per quella deficiente". Magari quella di sua Emittenza.

Penitenza prof, non si sputa nel piatto in cui si mangia...due padre nostro e tre ave maria.

 Pierangelo    - 15-10-2004
da Repubblica Palermo del 15.10.2004

LA SCUOLA E I DOCENTI CRISTIANI

C´è un fantasma che si aggira nelle nostre aule scolastiche: il fantasma della religione. Su "Repubblica" di domenica scorsa, Maurizio Barbato ha efficacemente descritto la situazione incresciosa in cui versa la cultura religiosa dei nostri studenti. Parlo volutamente di "cultura religiosa" perché è sulla distinzione tra religione e cultura religiosa che è possibile costruire le premesse di un dibattito che metta al centro la possibilità di far chiarezza rispetto al ruolo che la religione e, soprattutto, le religioni possono assumere nel percorso formativo di uno studente.
Si ha infatti la sensazione che nelle nostre scuole si viva una sorta di ambigua polarità tra un insegnamento della religione cattolica rivolto soltanto a coloro che non vogliono rifiutarlo, ed un insegnamento dei saperi della scuola che, seppur impregnato in ogni suo anfratto di cultura religiosa, cerca diligentemente di tenersi al riparo da discorsi che potrebbero far sorgere il sospetto di confessionalismo.
Peraltro, è notevole che, nella congerie dei progetti che pullula nelle nostre scuole, abbiano scarso diritto di cittadinanza interventi extracurricolari che abbiano a tema, per esempio, la cultura biblica, i grandi monoteismi o, comunque, qualcosa che abbia a che fare con le religioni. Persino la religione cattolica rischia, come scrivevano Barbato e Torcivia, di non incontrare mai gli studenti al livello culturale, cioè a livello delle sue intersezioni con le culture e con i saperi di ogni tempo, proprio perché ogni insegnante avverte più o meno oscuramente che questo è un livello che probabilmente non gli compete, in quanto concordatariamente assegnato ad un altro docente. Con tutto il rispetto per i colleghi docenti di religione cattolica, è da anni che si fa sempre più viva la sensazione che proprio l´insegnamento della religione cattolica stia giocando un brutto scherzo al cristianesimo e, ancor più, alla sua variante cattolica. Intendo al cristianesimo delle fonti, al cristianesimo che favorisce i processi interpretativi sui testi della tradizione, al cristianesimo - inteso nelle tre sue confessioni, cattolica, ortodossa e protestante - che conversa non solo con le altre religioni ma anche con la filosofia, con l´arte, con la scienza, con la letteratura, con la musica.
Di questo cristianesimo, così come delle altre religioni, è intessuto tutto il sapere della scuola, e la titolarità di questa conversazione, che, appunto, è conversazione di cultura religiosa, appartiene a tutti i docenti della scuola, credenti o meno, che, con onestà intellettuale e finezza pedagogica, siano disposti a riconoscere che la cultura religiosa non può essere assente dalla formazione dei nostri studenti. Ogni insegnante, quale che sia la sua disposizione religiosa, è arrivato sulla cattedra dopo un percorso di studi costellato da elementi di cultura religiosa. Chi ha conseguito una laurea in filosofia o in lettere ha potuto conseguirla in virtù della completezza della sua preparazione. Com´è possibile pensare ad una laurea in filosofia senza la conoscenza di Agostino e della Scolastica o in lettere senza la conoscenza di Dante o Manzoni? Dunque com´è pensabile che il solo fornire agli studenti le conoscenze dottrinali (ad es. per il cristianesimo nozioni quali incarnazione o risurrezione) indispensabili per comprendere questi snodi del pensiero europeo possa essere confuso con un atteggiamento confessionale?
Che poi il docente che si professa cristiano non abbia motivo per doversi nascondere come un ladro nella scuola pubblica e laica e debba anche lui portare il proprio contributo intellettualmente onesto alla costruzione di tali conoscenze, magari con un surplus di competenza che gli deriva dalla sua confessione religiosa, non mi pare che debba sorprendere più di quanto sorprenda la competenza sociologica di un insegnante che fa anche il giornalista o la competenza giuridico-istituzionale di un docente che fa politica.
Occorrerebbe, dunque, che si aprisse un dibattito franco e senza preclusioni tra i docenti delle nostre scuole sul ruolo della cultura religiosa nel curricolo scolastico dai 3 ai 18 anni; un dibattito tutto laico proprio perché non si preclude ad alcun contributo; un dibattito in cui chi crede (meglio, chi pensa di credere) e chi non crede possano ragionare insieme sulla questione in termini pedagogici e didattici, che costituiscono lo specifico di tutti i docenti. Occorre, in altri termini, proprio da parte della scuola laica e non confessionale, un grosso sforzo di laicità che sappia riappropriarsi di ciò che le compete, senza confinare, suo malgrado, nell´insegnamento della religione cattolica l´enorme ricchezza culturale che la cultura religiosa può assicurare a docenti e studenti.

Maurizio Muraglia

 Pierangelo    - 15-10-2004
da Repubblica Palermo del 15.10.2004

Gli studenti la religione e la storia dell´Isola

di AMELIA CRISANTINO

Riflettere sul cristianesimo dei siciliani è come imboccare un sentiero all´apparenza piano ed agevole, che porta su un terreno accidentato e spesso infido dove i colori della fede si intrecciano con le ragioni della storia.
Semplificando ma non troppo, possiamo dire che la chiesa siciliana ha sofferto per uno stretto rapporto col potere già a partire dalla conquista normanna. Una chiesa utilizzata come "instrumentum regni", trasformata in roccaforte del privilegio, lontana dalla dimensione evangelica, troppo ricca per essere vicina al popolo. L´originale miscuglio di credenze magico-religiose praticato dal popolo si definiva cristiano perché cristiano era il regno ma, senza nulla togliere all´autenticità di fede e alle tensioni spirituali di pochi spiriti eletti, con maggiore aderenza al vero avrebbe potuto dirsi pagano. O, più semplicemente, era l´eterna aspirazione a superare la dimensione terrena che si ritrova in tutte le culture, con le divinità che cambiano ma esprimono gli stessi bisogni.
Che oggi i ragazzi siano portatori di un indefinito agglomerato di credenze magico-superstiziose non stupisce più di tanto, sono in ideale continuità con la tradizione. E pazienza se stiamo parlando di ragazzi in qualche modo privilegiati e che, nell´esempio portato da Maurizio Barbato domenica scorsa, frequentano l´ultima classe del liceo. I nostri ragazzi sono - orrido neologismo - glocali: oltre ad essere in linea con la tradizione si collegano all´universo postmoderno e globalizzato, veri figli di questo tempo dove la scarsa formazione critica rende problematico l´orientamento nella complessità del mondo, e - restiamo in Occidente - sempre più aumenta la distanza fra la gran massa di consumatori compulsivi di beni e idee smozzicate, sincretisti per sentito dire, ed élites globali che detengono il potere politico ed economico. Dove al diminuire del bagaglio critico corrisponde la crescita dell´incomprensione, finché il mondo diventa come un rumore indifferenziato, in cui niente riesce ad essere percepito e compreso. Chi per suo mestiere pratica quotidianamente i ragazzi sa come tanti vivano in uno stato di frastornata afasia, da cui riescono ad uscire solo percorrendo vie di fuga spesso autolesioniste.
Ma la sfera etico-religiosa non è appannaggio esclusivo delle chiese. Da un punto di vista laico, quello di cui nella nostra regione maggiormente si sente la mancanza è una sorta di religione civile, che coincide con un rassegnato lasciar correre. E anche qui, purtroppo, rispettiamo la tradizione. Per lo meno quella siciliana. Perché, anche restando a Sud, non tutte le tradizioni sono uguali.
Leggendo la "Storia del regno di Napoli", libro famoso quanto poco praticato di Benedetto Croce, si resta ammirati davanti alle fervide pagine che il filosofo dedica alla nascita di una religione civile nel regno di Napoli, sin dall´inizio del '700. Croce scrive che gli illuministi napoletani erano infiammati da una passione che traducevano in zelo riformatore e lotta contro i privilegi baronali ed ecclesiastici. Per niente interessati alle dispute teologiche, tutti intesi alla costruzione di uno Stato in cui riconoscersi, sembravano l´inizio di una nuova possibile storia per il Sud d´Italia. Poi, gli eventi seguirono un corso diverso. Il fragile riformismo borbonico fu terrorizzato dalla rivoluzione francese e in tanti finirono perseguitati, nel 1799 molti persero la vita sul patibolo. Ma sino ad allora e per tutto un secolo ci furono dei maestri, Giannone, Genovesi e Filangieri, che educarono diverse generazioni di giovani napoletani e, come scrisse Eleonora de Fonseca Pimentel - anche lei morta sul patibolo nel '99 - avevano formato fra i napoletani 'quasi una nuova nazione', instillando lo zelo riformatore anche nei giovani appartenenti alla borghesia delle province, che dopo essersi addottorati nella capitale tornavano nei paesi e lottavano contro i baroni e i loro agenti.
In Sicilia non c´è mai stato niente del genere. Sono mancati i borghesi, quelli portatori di una nuova etica per lo meno. La speculazione violenta, prima il grano e poi gli agrumi, sono stati i campi in cui le classi dirigenti hanno accumulato i capitali, e la mafia ne è una diretta filiazione. Ma, soprattutto, sono mancati i maestri. Nessuno che fondasse una nuova religione civile come Giannone, Genovesi e Filangieri hanno fatto a Napoli. Pochi gli intellettuali autonomi, sempre isolati. Gli altri erano a caccia di prebende, pusillanimi, pronti a confondere il municipalismo con l´amor patrio, permalosi oltre ogni dire, convinti fautori delle particolarità e del privilegio. Le voci di denuncia, subito accusate di offendere l´onore della Sicilia.
Così i nostri soli maestri, gli officianti della religione civile di cui tanto avremmo bisogno, sono altri. Sono quegli uomini il cui esempio è come un rigagnolo carsico, disperso fra le rocce e riaffiorante chilometri lontano, che hanno perso la vita nella lotta contro la mafia. Sono in tanti - Umberto Santino ricorda protagonisti ed episodi nella sua "Storia del movimento antimafia" - ma il loro messaggio coincide tutto con la loro vita, con scelte e circostanze che i ragazzi non conoscono, e che sembra aver perso la capacità di attrarre e commuovere. Si punta troppo sulla reazione emotiva, e adesso è tornata la bonaccia. Noi siciliani siamo come passeggeri che stanno sottocoperta, mentre lentamente la nave va alla deriva.

 Pierangelo    - 15-10-2004
da Repubblica Palermo del 10.10.2004

AULE SENZA RELIGIONE

di MAURIZIO BARBATO

Una insegnante di italiano molto credente racconta di una esperienza scolastica che l´ha riempita di stupore. Durante la supplenza in un´ultima classe di liceo ha scoperto che gli allievi ignoravano la Resurrezione.
Non che non ci credessero, o che non ospitassero in se stessi questa speranza. Proprio non lo sapevano, che il cristianesimo contiene come verità fondamentale di fede che alla fine dei tempi il corpo glorificato di ogni giusto si riunirà con la sua anima immortale (una fede condivisa, peraltro, in vario modo anche da giudaismo e islam). Sapevano soltanto dell´immortalità dell´anima: che l´anima sola sopravvive al corpo nell´aldilà. Altro che radici cristiane della Sicilia e dell´Europa. Le radici di questi giovani sono al massimo orfico-pitagoriche-platoniche.
Ma non è la favola delle radici il punto. Quella è una carenza di formazione critica, prima che culturale, che riguarda non solo la religione, ma investe anche, per dire, la comprensione di Dante e di un bel pezzo di storia, filosofia, arte e altri prodotti dell´attività intellettuale. Un´ultima classe di liceo è un campione piccolo ma rilevante. Sono giovani che hanno completato una formazione di base più cospicua della media della popolazione. Se non conoscono, loro, un punto di fede basilare della propria religione, quali abissi di ignoranza si aprono agli strati inferiori? Perciò non è detto sia una perdita di tempo interrogarsi sulle risultanze e le cause e fare qualche modesta generalizzazione. Un paio sono evidenti.
La prima è che non è vero che la maggioranza della popolazione, come si dice, è cattolica o cristiana. Almeno tra i giovani delle scuole (che sono, ricordiamolo, i cittadini più investiti da dibattiti di idee), predomina più un miscuglio di credenze magico-superstiziose sui poteri di una moltitudine di entità soprannaturali. Accompagnato, nei più profondi, da una specie di sensibilità e di sentimenti new age. In pochi poi sono disposti a seguire la Chiesa nei precetti etici e bioetici, o nella illustrazione dei dogmi più controevidenti. Manca la riflessione seria, ogni inferenza dai contenuti spirituali della propria fede. Diceva con efficacia un docente di filosofia: «Ormai dibattiamo liberamente, e senza nessun riserbo nelle assemblee studentesche, di tutti i risvolti della nostra sessualità; ma mai siamo disposti a discutere di ciò che nell´intimo crediamo, di quale sia la nostra vera fede». Come se questa sia la nuova area della vergogna e del pudore.
È uno «scisma sotterraneo», come lo definiscono osservatori dei fenomeni religiosi. La Chiesa continua a emanare precetti e istruzioni, a ribadire monolitica i dogmi, ma il «suo» popolo è disposto a seguirla veramente solo nelle manifestazione più esteriori e legate al culto della personalità. La conseguenza di questo scisma è che la Chiesa ha sempre di più il bisogno dell´appoggio (interessato e volenteroso) del potere politico-statale per mantenere efficacia ai suoi comandi: sempre più gerarchia, sempre meno ecclesia. E appunto in vista di questo risultato la Chiesa non si cura troppo dell´avanzata di questo scisma: l´appoggio dei governi è molto più utile, per la potenza concreta, dell´appoggio sincero dei suoi seguaci.
I preti e i docenti di religione nelle scuole fanno la loro parte. Non frequentando chiese e parrocchie, non ascolto omelie. Negli ultimi anni mi è capitato di sentirne due. Una in una chiesa di un quartiere popolare del centro storico degradato. L´altra in un quartiere borghese. Nella prima il sacerdote discuteva di Satana, e diceva gridando che egli (nessuna spiegazione su chi fosse davvero il diavolo) è ovunque e ci può camminare incontro in ogni momento, in carne e ossa, anche «in via Ruggero Settimo». Nella seconda si parlava della morte: certe morti più dolorose, e che ci sembrano inique, sono perché Dio chiama a sé chi vuole più bene, angeli che non vuole si corrompano, e non dobbiamo disperarci perché da dove sono, accanto a Dio, sono più potenti e possono (citazione di padre Pio) aiutarci meglio da Lassù. Pochi esempi ma, da quel che si dice e che si legge, le omelie mediamente non impegnano spiritualità più alte di queste due dedicate al mistero del Male e della Morte.
Quanto agli insegnanti di religione, la minoranza di loro che vuole e riesce a far lezione si dedica per lo più a ciò che è inteso come religione dal conformismo dominante. Una sorta di educazione civica a lo divino, precetti mondani di una morale spicciola e dogmatica, la disciplina di una salute dei corpi astinenti, l´esaltazione dell´aiuto della carità, la giustificazione di riti e sacramenti. Tanto che se raggiunge i giovani una problematica teologica, essa probabilmente proviene più facilmente dai professori di altre materie, magari non credenti. I cristiani per primi dovrebbero riflettere se non convenga, alla diffusione della spiritualità, che venga tolto alla Chiesa il monopolio dell´insegnamento della religione.
È il divorzio fra fede e religione che l´establishment (ecclesiastico e non ecclesiastico) celebra ogni giorno, in tutti i luoghi possibili. Per questo forse (si stupiva lo storico Lupo l´altro giorno al convegno Alfonsiano) ogni volta che un non credente sente un discorso di un credente di fede pura, si accorge sempre di essere meno anticlericale di lui.