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Distinguiamo il grano dal loglio
Federico Niccoli - 24-04-2004
Il Tempo Pieno che vogliamo

Ho letto con particolare interesse l’intervento di Claudia Fanti all’interno del dibattito aperto su “ScuolaOggi” a proposito del modello di tempo-pieno che difendiamo.
Perché, dice Claudia, giocare in difesa e non all’attacco ?
In verità né Gianni Gandola né tutti gli altri (me compreso) che finora sono intervenuti nel dibattito hanno lontanamente pensato di arroccarsi in difesa di un mitico tempo-pieno delle origini, che sarebbe stato contaminato dal tempo-pieno attuale.
Si tenta solo di dire che, per evitare di essere catalogati fra i nostalgici di un modello e per evitare una difesa “a prescindere”, è necessario mettere in luce gli indicatori di qualità della migliore esperienza della scuola elementare italiana per contrastare (- e quindi con un gioco “di attacco”-) la miserevole proposta del cosiddetto tempo-pieno Moratti.

Partiamo dagli indicatori di qualità del tempo pieno attuali evidenziati con molta precisione da Claudia Fanti. Credo che nessuno dei 23 punti evidenziati sia una novità, introdotta a modifica e/o integrazione dei principi fondanti del tempo pieno originario, che ( scusandomi sin d’ora per una categorizzazione veloce non compatibile con una discussione fine e approfondita dei vari punti ) possono essere così riassunti :

- la pluralità delle figure educative : assoluta parità degli insegnanti con alternanza di ruoli e di orari
- il rispetto dei ritmi di apprendimento dei bambini in tempi distesi, che presuppone e postula l'assoluta unità didattica mattino/pomeriggio con articolazione della giornata senza subordinazioni gerarchiche tra le attività da svolgere al mattino o al pomeriggio, con riconoscimento della piena e paritaria valenza formativa delle educazioni, con il "pranzo insieme"
- solo in una giornata di 8 ore i bambini hanno la possibilità di alternare momenti di massima concentrazione a momenti di libertà espressiva nel pieno rispetto dei loro ritmi di attenzione/concentrazione . Il tempo disteso assume in modo intenzionale, deliberato e controllato il significato strategico di risorsa formativa
- utilizzare la diversità come risorsa : se la diversità è la norma (e cioè la descrizione normale della condizione infantile e non solo infantile) la scuola deve strutturarsi normalmente in modo da operare una discriminazione positiva e attiva nel senso che discrimina non già i soggetti cui si rivolge ma la intensità e complessità del proprio intervento in ragione delle esigenze diverse cui deve dare risposte efficaci
- Differenziare la proposta formativa rendendola proporzionale alle difficoltà e alle esigenze di ciascuno: a tutti gli alunni deve essere offerta la possibilità di sviluppare al meglio le proprie potenzialità
- Valorizzare le molteplici risorse esistenti sul territorio (enti locali, associazioni culturali e professionali, società sportive, gruppi di volontariato, ma anche organismi privati) allo scopo di realizzare un progetto educativo ricco e articolato affinché l'offerta formativa della scuola non si limiti alle sole attività curricolari e assuma un più ampio ruolo di promozione culturale e sociale

Da un’impostazione generale come quella sopra indicata, abbiamo fatto discendere una precisa strategia metodologica, centrata fondamentalmente su modalità di insegnamento/apprendimento in grado di qualificare la proposta formativa:

- il metodo del problem-solving
- la predisposizione di un ambiente motivante
- il rispetto dei ritmi dei tempi e delle modalità di apprendimento
- Progettazione di un modello curricolare che riconosca, al suo interno, oltre ai codici verbali normalmente utilizzati, pari dignità a tutte quelle forme di espressione che non sono veicolate prevalentemente dalla parola:
. educazione iconica
. educazione corporeo-gestuale
. educazione musicale

E’ sicuramente vero quel che dice Claudia nel suo comma 22 : “”Nel tempo pieno, gli insegnanti possono correggere costantemente il tiro delle loro scelte metodologiche e relazionali proprio perché essi sono costantemente in situazione di rapporto sia con la/il collega sia con le alunne e con gli alunni””.
Ma è proprio nella declinazione di quell’articolo al singolare (la/il) che noi del tempo pieno originario abbiamo molti motivi di disappunto e di critica, in quanto “il tiro” si corregge solo in una situazione relazionale larga e non confinata ai rapporti di sola coppia. D’altra parte, Claudia nelle sue argomentazioni tira in ballo i 2 insegnanti ben 8 volte e questo a me sembra il limite più grosso delle pur validissime motivazioni. Strutture modulari, anche all’interno del tempo pieno, consentono meglio di non incorrere nelle secche della rigidità dei modelli organizzativi.

A scanso di equivoci : nella mia lunga carriera di dirigente scolastico di scuole a tempo-pieno, a tempo normale, a tempo modulare, a coppia chiusa, a coppia aperta e via elencando ho constatato che l’elemento decisivo per affermare i fattori di qualità del servizio scolastico risiedono nella motivazione e nella voglia di futuro degli insegnanti in qualunque situazione si trovino inseriti. E, quindi, ho trovato splendide realizzazioni dei “sacri” principi del tempo pieno in classi “a coppia”, così come ho trovato pessime realizzazioni in classi a tempo pieno modularizzato.
Ma, a parità di “prerequisiti” positivi/negativi/mediani la struttura condiziona sempre positivamente o negativamente la sovrastruttura . Più esplicitamente : una conduzione rigorosamente a coppie separate corre più facilmente il rischio della chiusura delle discipline in gabbie orarie . Non può esserci rispetto dei ritmi di apprendimento se il tempo è rigidamente prefissato con scansione settimanale. La programmazione per unità didattiche plurisettimanali, calibrate sul monte ore annuo assegnato ad ogni singola disciplina, è l’unico tipo di programmazione che si avvicini alle finalità dichiarate. Ma altrettanto da evitare è la chiusura delle discipline nei singoli insegnanti : non può esserci transfert delle conoscenze se solo chi insegna musica può far cantare, solo chi insegna matematica può far misurare, solo chi insegna geografia può far leggere una carta geografica,… All’interno di ogni ambito disciplinare, e anche di ogni singola disciplina, è importante mantenere e rispettare l’interdisciplinarità delle conoscenze, stimolando gli alunni a coglierla e favorendo l’utilizzo di competenze acquisite in altri ambiti.

Dopo la legge di riforma della scuola elementare, è cresciuto considerevolmente e costantemente di anno in anno il numero delle classi a tempo pieno soprattutto nel centro-nord. A Milano registriamo addirittura percentuali bulgare di classi a tempo-pieno.
Questo fenomeno è senz’altro positivo ed “innovativo”, in quanto , quali che siano state le motivazioni -anche spesso non molto “nobili”- di questi ingressi a valanga nella nostra “creatura”, una moltitudine di insegnanti ha imparato concretamente e sul campo a misurarsi con le categorie della contitolarità, collegialità e corresponsabilità.
Ma - e a questo proposito chiederei alle colleghe come Claudia, Elena, Clara, Marta, che sono state e sono protagoniste della “meglio scuola” uno sforzo di approfondimento per distinguere il grano dal loglio - il tempo pieno che noi vogliamo non corrisponde a quel che, in politica, è il maggioritario.
In occasione delle elezioni politiche tutti siamo costretti a votare non per il “meglio” che vorremmo, ma per il “meno peggio” che il mercato elettorale ci propone.
Quando parliamo di scuola non possiamo accettare (e considerarli alleati) tutti i progetti che incontriamo sol perché, magari, hanno l’etichetta del tempo-pieno.
Per non restare sulle nuvole, intendo dire esplicitamente che siamo ormai abbastanza maturi e sicuri per non restare “compagni di merenda” di quei colleghi che si sono “intruppati” (non ho la certezza che questo sia avvenuto altrove, ma a Milano è avvenuto sicuramente) nel tempo-pieno a coppia chiusa, perché hanno potuto assimilarlo e digerirlo benissimo come struttura di “doppio insegnante unico” .

Infine, insieme alla necessità di estirpare le situazioni patologiche del modello, anche nelle situazioni fisiologiche bisogna fare uno sforzo per introdurre tutti quegli elementi di flessibilità (“la flessibilità buona” , come l’ho definita in altro contesto) che l’autonomia delle istituzioni scolastiche esigerebbe, ma che non sono costume quotidiano della stragrande maggioranza delle scuole italiane, anche nei casi in cui abbiamo avuto organici di base docenti più compresenze più contemporaneità. Se vogliamo mantenere gli organici che giustamente reclamiamo , dobbiamo utilizzare una o più delle ipotesi di flessibilità previste dal regolamento sull’autonomia:
- l'articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività;
- la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l'unità oraria della lezione e l'utilizzazione, nell'ambito del curricolo obbligatorio, degli spazi orari residui;
- l'attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale dell'integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione agli alunni in situazione di handicap secondo quanto previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104;
- l'articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso;
-l’impiego dei docenti con modalità organizzative coerenti con il pof
-l’organizzazione dell’orario complessivo del curricolo e delle singole discipline anche su base plurisettimanale.

Se, invece, non ci sporchiamo le mani seriamente con questi esemplari paradigmi di qualità del servizio scolastico, saremo costretti a fare i conti con la flessibilità cattiva, che tenta di predeterminare centralmente il Miur - con una organizzazione a compartimenti-stagno tra attività obbligatorie, attività facoltative ed attività aggiuntive - con una gerarchia tra docenti addetti alle varie attività - con una sorta di curatore (il tutor) , che coordina l’èquipe pedagogica che entra in contatto con gli allievi, esercita la funzione di tutorato personale degli allievi, cura la documentazione pedagogica (in particolare il portfolio delle competenze individuali) A questa precarizzazione dei percorsi formativi si applicherà poi l’organico di istituto, desumibile dalle “Indicazioni” ed “Esemplificazioni”, nelle quali assistiamo ai seguenti eventi :
- rottura della collegialità, contitolarità, corresponsabilità tra docenti
- disparità di insegnamenti
- aumento del tempo dedicato agli insegnamenti frontali (persino durante le attività di laboratorio affidate a specialisti)
- tempo mensa e ricreazione decontestualizzati dal progetto formativo unitario
- confusione tra insegnamento individualizzato (ricerca del punto di contatto tra le esigenze di generalizzazione e le esigenze di individualizzazione) nel contesto del gruppo-classe ed insegnamento personalizzato (come puro “servizio alla persona”, anzi alla famiglia, che contratta i percorsi) , che può rendere “prescrittiva” la diversificazione dei percorsi e dei risultati

Per concludere , vorrei invitare tutti quelli che hanno/abbiamo realizzato la “meglio scuola” a non commettere lo stesso errore praticato in occasione della Riforma Berlinguer. Il percorso di quella Riforma è risultato fortemente accidentato, anche perché da sinistra non solo sono state presentate critiche argomentate ad alcuni passaggi non condivisibili, ma è stato effettuato qualche bombardamento sul quartier generale anche a quelle parti del progetto che contenevano una idea forte di continuità dei percorsi educativi (in orizzontale e in verticale) , che, poi, è l’unica struttura ordinamentale in grado di assicurare il successo formativo di tutti e di ciascun alunno .
Ed oggi ci troviamo scodellata la bruttissima pietanza somministrata dalla riforma Moratti che fa terra bruciata dei sentieri della continuità con una rigida separazione tra i vari ordini e gradi di scuola e con un’idea burocratica di sviluppo dei percorsi, tutti affidati a documenti cartacei (il pecup, i psp, il portfolio) e alle virtù salvifiche del tutor.
Ritroviamo tutti l’entusiasmo del bel tempo che fu (in fondo, paradossalmente, la Moratti ci ha fatto l’enorme piacere di farci incontrare nuovamente decine di migliaia di genitori ed insegnanti “di lotta e di governo”) ed identifichiamoci nei piloti pazzi del “Comma 22” (“chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di guerra, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo”) Torniamo ad essere quei pazzi-non pazzi che hanno rivoluzionato, a suo tempo, la vecchia scuola ossificata ed inventiamoci un modello più forte di tempo-pieno , in grado di resistere agli attacchi del “futuro ricco di passato” del modello Bertagna-Moratti.


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 Angela Bedoni    - 25-04-2004
Condivido l'analisi fatta da Niccoli. Credo che la sfida fatta dal tempo pieno in questi anni sia stata quella di coniugare una proposta aperta, solida, capace di dare senso al futuro dei giovani cittadini con le esigenze sociali delle famiglie e della comunità.
Dobbiamo rafforzare questa sfida facendo incontrare realmente i ragazzi con le discipline, non chiuse in rigidi settori, ma nel senso più ampio e culturale.
A volte uno dei rischi maggiori come insegnanti è l'essere " gelosamente custodi" della propria materia che si insegna da anni. Occorre avere la capacità reale di capire, studiare e conoscere che le discipline acquistano senso proprio attraverso l'interdisciplinarietà. Su questo si poteva fare una reale riforma della scuola e non " smantellare" l'idea stessa di formazione come sta facendo la riforma Moratti. Occorre RESISTERE attraverso la capcità di "pensare insieme" progetti che da una parte si aprano ad una maggiore corresposabilità e condivisione tra docenti e dall'altra potenzino tutto ciò che ha dato forza al tempo pieno. (Penso all'esperienza del Movimento di Cooperazione Educativa, a M.Lodi, a Rodari, a Freinet, a B.Ciari ...e a tantissime altre esperienze italiane). E' oggi il 25 aprile la lotta partigiana deve essere per noi testimonianaza per continuare, senza scoraggiarci, la lotta intrapresa con il movimento in difesa della scuola pubblica.