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La passione di Cristo
Vincenzo Andraous - 21-04-2004
Il film sulla passione di Cristo è ormai scivolato via però una riflessione è doverosa, dopo tutti gli affanni delle critiche e la creatività delle censure, e gli sforzi all’intorno per travestire di mutamenti antropologici i libri sacri, che invece non affittano maschere né interpretazioni a tempo.
Il film di Mel Gibson è tacciato di violenza gratuita? Ha preferito del Cristo il martirio figurato e non quello meglio raccontato?
Eppure il Re è stato inchiodato alla Croce, nell’ingiustizia dell’inumanità, Egli non ha sorriso alla morte, né di coraggio ha taciuto al dolore, anzi, ha gridato al cielo…. ostinato, il Suo male, la Sua resa, il Suo abbandono.
Lo ha gridato al Regista da Maestro sgangherato, ma così perfetto e inavvicinabile nello stile di vita, che nelle rivoluzioni che sono seguite non vi è neppure l’ombra di un doppio possibile per tenacia e fortezza innanzi agli uomini, a se stesso, alla morte.
Romantici e nostalgici, atei e credenti, in questo senso non hanno frecce nelle loro faretre, non posseggono campioni credibili da opporre a questo rivoluzionario Unico, che ha insegnato l’arte del vivere povero nella ricchezza e del morire per scelta di fede e di amore.
Nonostante ciò, le sofferenze inumane sopportate da questo Signore umano, hanno creato sconcerto e imbarazzo, quasi paura per gli uomini che verranno….che forse dovranno solo essere uomini che al sangue versato sulla Croce non preferiranno un ricordo sbiadito.
Siamo inondati di immagini da ieri a domani, e non ci scomponiamo oltremodo sul come e sul perché di tanti tragici eventi trapassati-ripetuti.
Ne rammentiamo le urla per le percosse, i tagli, gli scavi nelle carni, ne ricordiamo in bella vista anche la disposizione dei fori di proiettile, mentre dimentichiamo l’odore del sangue raggrumato.
Non è il rumore delle nocche infrante sulle labbra di Gesù che precede la profanazione della dignità di un uomo, non è il corpo piegato e piagato nell’insopportabile accettazione del dolore a renderci meno imbroglioni, quanto trattandosi di Dio meglio porgere la guancia attraverso la metafora, gli accenni, e lasciare alle spalle, cioè dietro gli occhi della storia, ogni cosa intessuta di in-umana colpa.
Riconosciamo che qualcosa è bello, è vero, perché assume un suo particolare tono di voce, questo vale anche per i personaggi che ne fanno parte, ognuno con il suo abito mentale, ciascuno con il suo vissuto e la sua storia.
Non siamo forse noi quelli che l’abbiamo crocifisso e umiliato? Allora perchè dobbiamo solo scriverne i comportamenti e non fotografarne le mosse, dove anche il cuore più impavido urla per il dolore, per la rabbia, per i rimorsi, e i pentimenti.
Non occorre guardare il film della passione di Gesù con il dovere del rigore biblico o per alcuni a-morale dei nostri anni, infatti come ha detto un mio amico, non si può tornare sui passi per riviverne un pezzetto, ma forse neppure addolcirne il ricordo per la festa che verrà.

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 Anna Pizzuti    - 22-04-2004
Ieri anche io ho visto questo film. Con i miei alunni. Ho dovuto farlo, altrimenti non avrei potuto discuterne con loro. Confesso, però, di essere fuggita via poco dopo l'inizio del secondo tempo. Non per la crudezza delle immagini, ma per un disagio profondo, che sentivo crescere dentro di me e che poi mi ha accompagnato per tutto il giorno.
Ho provato a raccontarlo a qualche persona amica, per spiegarlo anche a me stessa, senza riuscirci.

Il fatto è che la domanda che mi urgeva dentro, via via che guardavo era: perchè proprio ora, questo film? Una domanda molto laica, che prescinde dall'argomento specifico.

So bene che l'opera d'arte o pretesa tale nasce e vive di vita propria e che la contestualizzazione è un'operazione meccanica e limitante, ma so anche che esiste uno "spirito dei tempi" che permea ed emana da ogni singolo atto e pensiero, da quello piccolo nostro a quello grande o preteso grande.

Perchè ora, mi chiedevo, che la confusione più grande regna sotto il cielo dei rapporti tra fedi, culture, modi di essere? Perchè ora, nel momento in cui i più avveduti scoprono, se pure ce n'era bisogno, quanto complesso, quanto diverso, quanto non categorizzabile sia l'oriente, vicino o lontano, mentre trionfa, per responsabilità del più cieco occidentalismo, il pensiero rozzo, tagliato con la scure? E la visione corrispondente si trasforma in bombe e cannonate da una parte e genera altrettante bombe e cannonate dall'altra?

Quella polvere, quelle masse urlanti, quella violenza del Crucifige, che sono state lette come un volerci ricordare la colpa atavica attribuita ad un popolo, io l'ho letta, attraverso il personaggio di Pilato anche come un volerci dire: ecco di cosa sono capaci da quelle parti, quelle genti. Tutte.

"Esageri, come sempre" mi diceva stamattina una collega e sicuramente aveva ragione, eppure so che viviamo tempi in cui bisogna stare attenti, più che mai attenti, ai messaggi che ci arrivano, soprattutto a quelli sui quali si mette la maschera delle emozioni, complesse ed elementari allo stesso tempo.

Altri invece mi dicevano: così è stato e così va rappresentato. Ed è vero che così è stato, ma è la funzione della rappresentazione che non comprendo.

Una storia LA STORIA più conosciuta e raccontata, per secoli e secoli, aveva bisogno di questa ulteriore rappresentazione? Così consona ai tempi, così appiattita su quanto di peggiore c'è nei nostri tempi: l'assuefazione alla violenza rappresentata, esasperata sempre di più, perchè sempre di più ci sconvolga?

Ai ragazzi però è piaciuto, ne hanno riportato un'emozione viva.
Qualcuno, certo, è fuggito via sconvolto, dalle immagini.
Altri, sprovveduti ed acuti allo stesso tempo, hanno colto e registrato l'essenza della figura del Cristo: il discorso della montagna. Mi hanno detto: che belle quelle parole... come se le sentissero per la prima volta, o meglio, come se le comprendessero per la prima volta. Una vittoria del film o un fallimento nostro?