breve di cronaca
Il caso Ritalin, non "drogate" quei bambini
L'Espresso - 06-02-2002
Arriverà a settembre la magica pillola della tranquillità. Terrà fermi bambini irrequieti e renderà attenti alunni distratti. Solleverà i genitori dalla responsabilità di aiutare un figlio difficile e porterà la pace nelle aule scolastiche più turbolente. Un idillio prossimo venturo che, in concomitanza con la scuola riveduta e corretta dalla riforma Moratti, potrebbe cambiare profondamente il nostro modo di guardare all'infanzia e all'adolescenza. La magica pillola ha un nome commerciale che sembra un tintinnio: Ritalin . Ma in realtà il suo rumore è più sordo. È composta di metilfenidato, sostanza che non dice granché ai non addetti ai lavori, mentre molto dice la famiglia farmaceutica di appartenenza. Che è quella degli stupefacenti, la stessa delle anfetamine e della morfina. Il Ritalin è famoso nel mondo non tanto per la sua efficacia, quanto per l'utilizzo indiscriminato che se ne è fatto. Nell'ultimo decennio il consumo del medicinale negli Stati Uniti è infatti cresciuto del 650 per cento e oggi si calcola che ne facciano uso quattro milioni di piccoli americani, compresi bambini di due o tre anni. Come questo sia potuto accadere, come milioni di genitori, medici e insegnanti si siano trovati a delegare alla chimica il controllo delle nuove generazioni è un fatto che affonda le radici nella cultura americana, nella sua impazienza di felicità e di benessere psichico, e nel trionfo della medicina organicistica.La malattia che ha permesso il successo del Ritalin è nata ufficialmente nel 1980 ed è conosciuta con la sigla Adhd , che significa «disturbo da deficit di attenzione e iperattività». È diagnosticata in bambini particolarmente irruenti, incapaci di concentrarsi e di restare fermi a lungo. Ma, a riprova di quanto scriveva Kant già due secoli fa («C'è un genere di medici, i medici della mente, che pensano di scoprire una nuova malattia ogni volta che trovano un nome nuovo»), i suoi sintomi erano noti da molto tempo. Infatti non esistono prove strumentali o analisi cliniche che attestino con certezza la diagnosi di Adhd, mentre è forte il rischio di definire "iperattivi" gli stessi bambini che una volta venivano indicati come troppo vivaci o con l'argento vivo addosso. Per sapere quanto il bambino sia patologico, ci si affida soprattutto a dei questionari. Bastano alcune risposte affermative su una ventina di domande che indagano se il piccolo è spesso «sbadato nelle attività quotidiane», se perde «gli oggetti necessari per i compiti», se «è facilmente distratto da stimoli estranei», se «parla troppo», se «interrompe gli altri» o addirittura se «spara le risposte prima che le domande siano state completate», e sarà addomesticato con qualche ciclo di Ritalin. Che, peraltro, è un farmaco vecchio, scoperto nel 1937 dal ricercatore italiano Leandro Palizzon (che lo chiamò così in onore della moglie Margherita) e usato anche in Italia per diete dimagranti e per la cura dell'epilessia, prima di essere bandito in quanto droga nel 1989. Ma se è vero che il nostro paese accoglie e ricalca, con un ritardo fisiologico di una decina d'anni, quello che passa nella cultura americana, ora tocca a noi. La diffidenza verso le scorciatoie chimiche, con l'aiuto di periodiche alzate di scudi della stampa, aveva finora tenuto a bada l'introduzione del Ritalin. Però un anno fa, con Umberto Veronesi ancora ministro, la Commissione unica del farmaco aveva invitato la casa produttrice Novartis a fare richiesta per la registrazione del medicinale. L'anomala procedura era stata sollecitata da un appello di pediatri e dalle pressioni di una parte della neuropsichiatria infantile a orientamento organicistico. L'aspetto curioso e tutto italiano sulla pasticca calma-bambini è infatti il movimento a suo favore che si è formato trasversalmente tra i neuropsichiatri dell'età evolutiva. Ne è leader Alessandro Zuddas dell'università di Cagliari, che somministra da tempo il Ritalin a una sessantina di piccoli pazienti e fa propaganda al farmaco sostenendo che in base a ricerche epidemiologiche condotte in Umbria e in Toscana l'incidenza del disturbo da iperattività colpirebbe quattro bambini su cento, cioè la bellezza di circa 300 mila piccoli agitati. Lo segue Michele Zappella dell'università di Siena, mentre Gabriel Levi, titolare di una delle cattedre del famoso Istituto di neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli a Roma, starebbe iniziando una sperimentazione. Anche dando credito ai mormorii che indicano la lunga mano delle case farmaceutiche dietro a molte scelte cliniche, si deve prendere atto che una parte dei nostri esperti dell'età evolutiva è ormai sinceramente convinta che i problemi siano localizzati in qualche punto del cervello. E che, incoraggiando qualche neurotrasmettitore, si risolva gran parte della fatica di crescere. Ma i veri carbonari del Ritalin, quelli costretti a muoversi nell'ombra e nella cospirazione, sono i pediatri. A loro non è concesso, come agli psichiatri dei centri pubblici, di somministrare ciò che vogliono previo permesso di un comitato etico. Loro devono tramare, rischiare, importare clandestinamente il farmaco, spedire le famiglie a Lugano o a Belgrado per comprarselo. Il loro leader è Francesco Renzulli, pediatra romano, così coinvolto nella sua missione da non usare prudenze: «Trasgredisco, ne sono fiero e andrei anche in galera per questa battaglia. Ho 170 bambini che curo con il Ritalin e 170 famiglie che mi ringraziano per la pace ritrovata».Renzulli, che incolpa i «tromboni freudiani» di ostracismo culturale perché ancora pervicacemente convinti che tutti i problemi nascano in famiglia, fa incetta di Ritalin come può, convincendo un vecchio farmacista irpino a preparazioni galeniche o seducendo turiste americane che attraversano spesso l'oceano. Sente che la «vittoria culturale» è vicina, ma teme che gli sarà ugualmente impedito di dare il Ritalin secondo i suoi personali criteri. Infatti, come già avviene in Francia e in Inghilterra, l'aria che tira è quella di affidare il farmaco all'esclusiva gestione dei centri psichiatrici.Lo zucchero per mandar giù il fatale arrivo della pillola americana sta, per ora, nella prudenza conclamata del ministero. Nello Martini, direttore del Commissione unica del farmaco, ci va con i piedi di piombo. Sa che questo è uno di quei temi che spaccano in due l'opinione pubblica e non ha nessuna voglia di dar fiato a uno scontro di culture. Promette analisi, verifiche, concertazioni tra pediatri e neuropsichiatri, rigidi protocolli, ma garantisce anche che per la fine dell'estate avremo il Ritalin sui banconi delle nostre farmacie. L'intenzione è di «non rischiare che vengano impasticcati bambini che hanno disagi familiari o sociali, ma assicurare il farmaco ai pochissimi che hanno davvero la malattia». È il punto su cui è d'accordo anche il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell'istituto Mario Negri, per il resto poco affascinato dal Ritalin e dubbioso sulla diagnosi di malattia. Il temuto scontro è comunque già cominciato nei numerosi siti Internet dedicati al tema. Vi si trova di tutto: associazioni di famigliari che invocano il medicinale; psicoterapeuti che ne spiegano gli effetti fuorvianti; psichiatri che predicono a chi non lo prenderà un destino da baby delinquente; pediatri che raccontano di aver visto ragazzacci problematici diventare in un mese bravissimi a scuola; appassionati di musica che ricordano come Kurt Cobain, mitico leader dei Nirvana, fosse un bambino Ritalin passato poi ad altre droghe e al suicidio; specialisti americani del farmaco che hanno l'ingenuità di fare diagnosi postume di malattia Adhd a uomini come Galileo e Leonardo da Vinci, Carroll e Picasso, Pasteur e Tolstoj, Einstein e Mozart. Come a dirci che il Ritalin avrebbe reso tranquilli (e forse non creativi) un buon numero di geni dell'umanità. Su Internet si trova anche un lungo articolo di Tom Wolfe, dal titolo "Il cervello senz'anima". Lo scrittore americano lancia un j'accuse senza appello al farmaco-droga, alla società che ne ha fatto un obbligo, agli psichiatri e ai medici scolastici, che definisce «pusher di fiducia». Andrebbe letto con attenzione per preparare gli animi all'arrivo del Ritalin nell'unico paese al mondo (il nostro) dove da trent'anni non esiste discriminazione scolastica verso alcun tipo di handicap.
Il dibattito che accoglierà la pillola per tenere buoni i bambini, anche se potrà restare un dibattito di nicchia, dirà molte cose sul tipo di società che stiamo costruendo
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Stefania Rossini




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 laura de laurentiis    - 16-03-2004
credo che chi ha scritto l'articolo non abbia un'idea neanche pallida di che cosa significhi avere un bimbo e poi un adolescente con ADHD. La sofferenza di questi ragazzini si esprime con una rabbia sorda e comportamenti volti a danneggiare se stessi e gli altri. Nella tarda adolescenza la sindrome si complica (si parla di commorbilità) in disturbo provocatorio-oppositivo o, nei casi peggiori, in disturbo della condotta. Le mamme degli adolescenti ADHD spesso pensano al suicidio come all'unica via di uscita: la sofferenza del figlio, che nulla può sollevare, è intollerabile. Il ritalin salva la vita, nei casi accertati di ADHD: negarlo è solo ideologia. Anche con la depressione e la fluoxitina era accaduto lo stesso.

 Paolo    - 21-08-2004
La non discriminazione a scuola di cui si parla in chiusura dell'articolo è, purtoppo, solo un'ipocrita affermazione formale. I bambino con deficit mentali sono giocoforza discriminati per la loro stessa natura e contro questo dato di fatto non ci si può fare nulla. Non è proclamando che tutti i bimbi sono uguali che si risolvono le disuguaglianze. Accogliere i bambini handicappati nelle scuole per bambini sani non appiana certo le differenze tra le due categorie, ma anzi forse le rafforza, per via del costante confronto. In particolare, i bambini ADHD godono di ben poca popolarità tra i compagni: se in loro prevale l'iperattività sono fuggiti come la peste perchè disturbano, portano scompiglio, sono violenti e irritanti. Se il sintomo prevalente è invece la disattenzione passano per tonti e vengono derisi, esclusi, umiliati. Questa è la realtà dei fatti, da cui non si può prescindere. Ed è da questa realtà che si sviluppano nel bambino ADHD la disistima di sè, la consapevolezza di non essere accettati, l'idea di valere poco nulla che rappresentano le premesse per un'adolescenza drammatica. Come genitore di un bambino ADHD vorrei che tutti coloro che scrivono di questa malattia con talmente scarsa cognizione di causa da metterne perfino in dubbio l'esistenza si informassero meglio sul tema, magari consultando il sito dell'aifa, supervisionato dai più autorevoli nomi della neuropsichiatria infantile italiana.

 Serenella    - 11-09-2004
Sarebbe meglio astenersi dal trattare un tema così delicato usando come criterio unico la spinta emotiva a sua volta prodotta dalla non conoscenza del problema. Gli specialisti di tutto il mondo occidentale si sono più volti riuniti per definire meglio la sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività e sul DSM IV, l'autorevole manuale americano che cataloga tutte le patologie mentali, l'ADHD è descritto nel dettaglio. Il Goodman stesso, testo di farmacologia adottato anche in Italia dalla facoltà di medicina e chirurgia descrive i preparati attivi sull'ADHD, cioè il ritalin. Renzulli non è un pazzo nè un fanatico: è un anziano pediatra che, senza mai farsi pagare una parcella, dà una mano a genitori disperati. Avere un figlio ADHD sarà meno terrificante solo quando tutti gli specialisti (e non solo due o tre in tutta Italia) chiamati a valutare bambini ingestibili a casa e a scuola, prima di cercare la colpevolezza nei genitori (facile da trovare perchè con un bambino ADHD sbagliare è come respirare), prenderanno in esame la possibilità che ci sia invece nel piccolo paziente (e poi nel paziente adolescente) qualcosa che non va dal punto di vista neurobiologico.

 angy.s    - 27-04-2007
Come insegnate di sostegno mi trovo in netto disaccordo con chi ha postato prima di me. Certo i soggetti con ADHD, ove certificati, sono bambini ad alta "pertubazione" scolastica. Ma dalla mia personale esperienza devo dire che il quadro che finora ne avete tracciato può anche non essere vero. La bambina che seguo io sta in classe... studia (ovviamente in base alle sue capacità attentive...e a quel poco che fa in classe dal momento che a casa è completamente lasciata sola a se stessa) e lavora anche insieme ai compagni, gioca con loro. E' anche vero che precedenti suoi comportamenti ( in anni in cui non l'ho seguita io) hanno pregiudicato la sua "integrazione" nel gruppo classe. Ma quella stessa pregiudiziale è venuta meno grazie ad un intervento educativo-didattico mirato...
Quest'anno ho affrontato con tutti loro il discorso dell'ADHD e se andate sul loro blog ne potrete conoscere il loro pensiero...
http://blog.libero.it/discipuli

 Roberto    - 20-08-2009
Voglio rispondere ad Angy.S che scrive dei bambini ADHD che sono ad "alta perturbazione scolastica". Pertubazione? Non sono condizioni atmosferiche,,, Prosegue con capacità "attentive"... ma che termine è? Ok che è di sostegno, ma è sempre un insegnante: in barba a Bossi sarebbe auspicabile che conoscesse almeno l'italiano. Per quanto riguarda le sue riflessioni sull'ADHD non ho parole... l'unica cosa che mi chiedo è come è possibile che in una solo piccola lettera ci sia un tale concentrato di superficialità, presunzione, banalità.