tam tam |  storie  |
Quei bambini senza infanzia
Unità on line - 17-04-2004

In Italia centinaia di migliaia di bambini e di adolescenti lavorano illegalmente, senza vedersi riconosciuto il diritto al gioco, allo studio, allo svago.

Per la Cgil, con dati aggiornati al 2004, sono 400 mila (italiani, immigrati e rom), per l'Istat sono 144 mila (solo italiani, come ammette lo stesso istituto, specificando che non ha contato gli immigrati ed i rom).

Per il Governo, infine, - questo Governo, quello delle sedute notturne per approvare la Gasparri, per emanare l'ennesimo condono o legge vergogna, per stravolgere la Costituzione - il problema è solo quello di dire che la Cgil mente, che le cifre non sono esatte e che anzi il sindacato ha le sue responsabilità nel diffondere il lavoro minorile, perché ha impedito la riforma del mercato del lavoro (affermazione del sottosegretario Sestini che probabilmente propone di abbassare la soglia legale per lavorare, dai 15 anni attuali ai 10 o 12, cfr adnKronos del 15 aprile ore 15 e 44).

Questo è il quadro scandalosamente impietoso che Maroni e il centrodestra offrono al paese, dimostrando, come giustamente ha ricordato Anna Serafini dei Ds (e come hanno dichiarato l'Ugl e gli edili della Uil), tutta la propria cattiva coscienza al riguardo.

Basti dire solo questo: nel 1998 fu firmato un protocollo nazionale proprio su iniziativa di Cgil, Cisl e Uil, dopo una lunga campagna di iniziative della stessa Cgil. Un protocollo che prevedeva maggiori interventi sul piano della formazione e dell'inclusione sociale.
Negli ultimi tre anni chi ha disapplicato costantemente quel protocollo? L'On. Sestini e il Ministro Maroni (lasciamo stare Sacconi che parla addirittura di soli 40 mila minori sfruttati, come se anche solo 100 mila bambini in più, privati della loro infanzia, fossero inezie) rispondano a questa semplice domanda.

È stata la Cgil che ha cancellato il reddito minimo di inserimento, abbassato l'età dell'obbligo scolastico, non contrastato l'aumento della povertà (con circa il 30% dei minori meridionali nel 2003 definiti poveri dallo stesso Istat, a cui ora si appellano)?

Il problema non è, allora, quello di innescare una guerra di cifre - che non giova a nessuno, a partire dai tanti bambini coinvolti nel fenomeno - ma ammettere che in questi ultimi tre anni si è fatto poco (e male). Impegniamoci tutti a non fare gli struzzi e si abbia il coraggio di rimettere invece mano alla legge Moratti, alle politiche di tagli al welfare, alla legge Bossi-Fini, alla stessa riforma dei servizi ispettivi di cui il Ministro si vanta e che nulla fa se non trasformare gli ispettori in consulenti delle imprese a pagamento.
La Cgil ha avanzato 15 proposte concrete che vanno da un piano straordinario di repressione a specifici fondi e borse di “studio e per lo svago” contro la dispersione scolastica, da un fondo di premialità per stipulare Carte sociali dei comuni e dei municipi contro le difficoltà di integrazione dei minori stranieri fino al riconoscimento della cittadinanza italiana a tutti i minori che nascono nel nostro paese, clandestini o regolari che siano.

La migliore risposta, non tanto alla Sestini o a Maroni, ma ai tanti piccoli cittadini sfruttati sta per noi in queste 15 proposte (si chiede anche l'istituzione di un Osservatorio super partes, per misurare il lavoro minorile). Quale maggiore responsabilità vi può essere oltre quella di proporre politiche ed interventi che il Governo non ha nemmeno avuto la voglia di leggere e di discutere? La Cgil, così come molti altri soggetti (sindacati e non solo), ha la coscienza a posto. E il Governo?

CGIL Nazionale

Alessandro Genovesi
  discussione chiusa  condividi pdf

 Pierangelo Indolfi    - 18-04-2004
da: L'Unità

Bambini sfruttati, 400mila in Italia. La denuncia della Cgil

Piccoli camerieri, giovanissimi apprendisti muratori sulle impalcature, ragazzine nelle fabbriche tessili che lavorano in appalto per le grosse marche, al nero e per stipendi da fame o nei retrobottega cinesi. Sono quattrocentomila – una cifra enorme che sfiora come ordine di grandezza il mezzo milione - i minori sfruttati in Italia: il 9% dei bambini tra i 7 e i 14 anni sono costretti a lavorare. L’allarme – e il dato così eclatente – viene dalla Cgil nel suo studio sullo sfruttamento del lavoro minorile in Italia. I numeri vengono in particolare dall'Ires-Cgil e sono ancor più drammatici: sui 4 milioni e mezzo di bambini presenti in Italia (compresi quindi gli immigrati) 1 milione e 700 mila sono sotto la soglia di povertà, e una cifra oscillante tra 360 e 400 mila è coinvolta in forme di lavoro precoce.

Sono numeri decisamente superiori a quelli dell'Istat, che parla di “soli”144 mila bambini - senza però contare i figli degli immigrati - e che vedono l'Italia drammaticamente sopra la media dei paesi industrializzati dove lavorano circa 2 bambini su 100. Nell'Europa dell'est 4 bambini su 100, da noi 9 su 100, addirittura più del doppio.

Non solo. Quello del lavoro minorile è un fenomeno che «cresce invece di diminuire», denuncia il segretario della Cgil Guglielmo Epifani. e cresce «per responsabilità dell'azione pubblica, in particolare del governo in carica». Perché tre sono i fattori da cui dipende l'aumento dell'offerta di lavoro minorile: «aumento dell'area della povertà; aumento del lavoro irregolare degli immigrati; dispersione scolastica».

Tre fattori peggiorati a causa delle politiche del governo, accusa il leader della Cgil: «Il governo ha eliminato strumenti che funzionavano, ed è aumentato il numero delle famiglie a rischio povertà», ma soprattutto «ha ridotto l'offerta formativa e l'obbligo scolastico». E il governo non fa nulla neanche dal lato della «domanda» di lavoro minorile, accusa ancora Epifani: «c'è un'assenza totale di controlli, e un fallimento totale delle politiche di emersione del governo», nonostante gli «annunci trionfalistici» del ministro Tremonti, che «in questo caso non se la può prendere con l'11 settembre o con le 5 crisi...».

La Cgil risponde dunque non solo lanciando l'allarme, ma formulando le sue proposte, una «vera e propria piattaforma rivendicativa, che se non potremo discutere con il governo porteremo a bruxelles», perchè «non si può più far finta di nulla, bisogna affrontare il problema». ecco allora «15 proposte, con l'indicazione di come finanziarle». la Cgil chiede un piano straordinario, con specifiche task forces, più risorse al fondo sociale nazionale, vincolate alla promozione dei diritti e delle opportunità dell'infanzia; approvazione di una legge nazionale contro la povertà; rilancio e attuazione delle legge quadro in materia di assistenza sociale; realizzazione piena dell'obbligo formativo fino a 18 anni; coinvolgimento degli enti locali; politiche integrative nei confronti degli immigrati, riconoscendo la cittadinanza italiana a tutti i bambini nati in Italia.

Interventi che coinvolgono anche le imprese, per le quali la Cgil chiede l'adozione di codici di condotta che garantiscano il rispetto dei diritti dei bambini in ogni paese del mondo, indipendentemente dalla legislazione locale, e la subordinazione dell'erogazione dei contributi nazionali o comunitari al rispetto delle clausole sociali. parte dei fondi necessari possono essere reperiti- suggerisce la Cgil- stornando il 2% dell'iva applicata ai prodotti di lusso.

Entrando nel dettaglio dei dati, la fotografia scattata dall'istituto di ricerca del sindacato è ancora più preoccupante: se la metà circa dei minori coinvolti lavora per aiutare la famiglia, il 32% è invece impiegato stagionalmente per più di 4 ore al giorno. e il restante 17% (circa 70 mila bambini) lavora le canoniche 8 ore al giorno, se non di più. ricevendo in cambio una paga compresa tra i 200 e i 500 euro al mese. il settore prevalente dilavoro è il commercio, 57%; seguono artigianato (30%) e edilizia (11%).

 Pierangelo Indolfi    - 17-04-2004
dal Corriere della Sera del 15.4.2004

Indagine Cgil sull’abbandono scolastico


«Sono 400 mila i baby-lavoratori Al Sud per aiutare la famiglia al Nord per comprare il cellulare»

In situazioni di redditi bassi e istruzione elementare, solo un figlio su due prosegue gli studi


ROMA - Al Nord per comprarsi il telefonino ultimo modello, al Sud per aiutare la famiglia. Sono spesso diverse le motivazioni alla base dell’abbandono scolastico e del lavoro minorile (fino a 14 anni d’età) o giovanile (poco sopra). Lavoro illegale quello dei ragazzi con meno di 15 anni, ma che tuttavia riguarda fra 360 mila e 400 mila soggetti, secondo l’Ires, il centro ricerche della Cgil. A quattro anni dalla prima indagine sul lavoro minorile nel nostro Paese, il sindacato rilancia il tema con uno studio che conferma quei dati (anzi «riteniamo che il fenomeno sia in aumento», dice il leader della Cgil, Guglielmo Epifani) e li integra con tre indagini sul campo condotte a Milano, Roma e Napoli per capire come questa piaga sociale si articola sul territorio. Questo aspetto, sottolinea il presidente dell’Ires, Agostino Megale, «ci interessa di più rispetto alla guerra di cifre con l’Istat», secondo la quale il lavoro minorile interesserebbe 144 mila adolescenti. Questo dato, dice l’Ires, «sottostima il fenomeno e non tiene conto dei minori stranieri presenti in Italia, circa 330 mila, 100 mila dei quali non frequentano la scuola». Ma ciò che ai ricercatori preme sottolineare sono le correlazioni tra il lavoro minorile e le condizioni di reddito e di istruzione. Risulta così che dove il capofamiglia non ha un titolo di studio e il reddito non supera i 13 mila euro all’anno solo il 45% dei figli prosegue gli studi oltre la scuola dell’obbligo. Questa percentuale sale al 99,1% quando c’è la laurea e un reddito di almeno 27 mila euro. Sarebbe però sbagliato concludere che tutto il lavoro minorile deriva da condizioni di disagio. C’è anche una zona di confine, tra lavoro minorile e lavoro precoce che, secondo l’indagine Ires, si osserva soprattutto al Nord, come testimonia la ricerca su Milano, che è legata alla voglia di lavorare il prima possibile e realizzare modelli di consumo a lungo inseguiti (il telefonino multimediale, la moto, i vestiti e le scarpe di marca). Un fenomeno, dice l’Ires, che trova riscontro anche in un dato che rappresenta il «rischio abbandono» delle scuole superiori: il 28% degli studenti di Milano e provincia risulta infatti in ritardo negli studi rispetto a una media italiana del 24%.
«In molti casi - scrivono i ricercatori - è la famiglia stessa a non considerare come primario il valore della scuola» mentre «il lavoro precoce è stato introiettato come esperienza vantaggiosa». È il caso di Massimo, 15 anni, «una grande forza fisica e la capacità di riparare qualunque guasto tecnico». Lavora «quando ha voglia e lo fa per se stesso, perché la famiglia non ha bisogno». Oppure il caso di Ugo, che lavora da quando aveva 14 anni in un’impresa che produce plastica. «La sua passione assoluta è l’automobile, che è sempre lucidissima». Per combattere il lavoro minorile la Cgil propone la creazione di un Fondo nazionale finanziato con il 2% dell’Iva sui beni di lusso.

 Pierangelo Indolfi    - 17-04-2004
LAVORO MINORILE: UNA BATTAGLIA DA VINCERE

“Gli Stati riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale[…]”
Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, art. 32

Nel mondo, 211 milioni di bambini e bambine lavorano. Hanno meno di 14 anni, dovrebbero andare a scuola, giocare, avere tempo per riposare, e invece lavorano: nei campi, nelle discariche, sulla strada, ovunque vi siano opportunità di guadagnare qualcosa per aiutare a sopravvivere sé e la propria famiglia. Alcuni riescono a trovare il tempo per frequentare la scuola, ma la maggior parte di essi non ha mai messo piede in un’aula scolastica, ed è probabile che non lo farà mai. A meno che qualcuno li aiuti.

Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori vivono soprattutto in Asia, ma che è l’Africa il continente in cui, in proporzione, è più alta la probabilità che un bambino sia costretto ad un’occupazione precoce. Tuttavia, i baby-lavoratori sono numerosi nei paesi a medio reddito (5 milioni nell’Est europeo, e il dato è in crescita a causa della difficile transizione all’economia di mercato), e non mancano neppure nei paesi industrializzati: in Italia, l’ISTAT ne ha censiti circa 145.000, mentre la CGIL ne fa una stima quasi tre volte superiore

[Continua su http://www.unicef.it/lavoro_minorile.htm ]